L’Italia leader nella produzione di vino bio: intervista alla presidente di Fivi Matilde Poggi
Il vino biologico italiano la fa da padrone sul mercato del settore, con numeri che pongono il nostro Paese in vetta alla classifica della produzione mondiale. Oltre a sancire questa leadership, i dati dell’ultimo rapporto Mipaaf-Ismea evidenziano la progressiva svolta a favore dell’enologia green, che negli ultimi anni è andata affermandosi, specialmente tra i produttori medio-piccoli. Ma come stanno cambiando domanda e offerta di vino bio? Dopo aver sfatato alcune delle più ricorrenti fake news sul biologico, per saperne di più abbiamo coinvolto Matilde Poggi, presidente della Federazione italiana dei vignaioli indipendenti (Fivi).
Il vino biologico italiano domina le esportazioni: i dati del report Mipaaf-Ismea
Nell’ambito del successo generale dei prodotti biologici, quello del vino è tra i più significativi, grazie a un incrocio proficuo tra domanda di qualità e sostenibilità, evoluzione tecnologica di una viticoltura di precisione che guarda all’ambiente e impatto del marketing. In questa fascia del mercato l’Italia ricopre un ruolo di primo piano, con quasi il 19% di vigneti coltivati secondo i principi dell’agricoltura biologica, secondo l’ultimo report Mipaaf-Ismea dal titolo La filiera vitivinicola biologica. Pur essendo ancora una nicchia tendenzialmente orientata alla gamma medio-alta – nel 2020 nel nostro Paese 4 bottiglie su 100 erano bio – il settore è in netta espansione in tutto il mondo, sia rispetto alle estensioni delle superfici vitate, sia per interesse dei consumatori, sempre più attenti ad ambiente e salute. Primo esportatore europeo e secondo a livello mondiale, l’Italia ha il più alto numero di operatori biologici del vecchio continente, oltre a un bacino di mercato in costante crescita e con ulteriori margini di crescita.
Il bio in Italia e nel mondo
Nel mondo, su circa 7 milioni di ettari di superficie viticola complessivamente censita, il 6,7% è coltivata secondo i metodi dell’agricoltura biologica, per un’estensione complessiva vicina ai 500 mila ettari, più del doppio rispetto a 10 anni fa. In Italia, al 2019 si contano 107.143 ettari di vigneti bio (+109% nel decennio), pari appunto al 19% della superficie vitata complessiva nazionale, la più alta in Europa e nel mondo. A livello territoriale, attualmente la distribuzione è piuttosto omogenea, con le Isole (29,2%), il Sud (25,5%), il Nord (22,8%) e il Centro (22,5%) vicini nelle percentuali. Nel nostro Paese sono oltre 18.000 i viticoltori bio, ma contando tutti gli attori della filiera si arriva a 25.000 operatori. Il vino biologico italiano è molto apprezzato soprattutto all’estero, con la Germania capofila in Europa per l’importazione. Secondo l’analisi, nel complesso il settore avrà modo di svilupparsi ancora, contribuendo alla transizione ecologica del sistema agroalimentare.
Come cambia il mercato e come si adeguano i produttori?
La presidente di Fivi Matilde Poggi ci aiuta a delineare l’evoluzione di questo settore, dove “la richiesta vino biologico è trainata da Usa, Canada e Nord Europa. Sempre più spesso, inoltre, ci sono importatori e attività nell’Horeca che acquistano esclusivamente prodotti bio. I vignaioli si stanno convertendo al biologico con numeri importanti e, da quanto percepisco, lo fanno perché ci credono e non solo sull’onda della richiesta di mercato. Sul fronte commerciale, occorre anche sottolineare come i vini bio non abbiano una vera quotazione al mercato all’ingrosso, e ciò significa che il fenomeno tocca maggiormente le aziende a filiera chiusa, dove l’intero ciclo produttivo è a capo di un unico soggetto”.
Per un’azienda, scegliere il bio rappresenta una sfida ma anche una preziosa opportunità per fare impresa rispettando i canoni della sostenibilità economica, ambientale e sociale, oltreché una possibilità per uscire dalla crisi Covid-19. A questo proposito, la presidente di Fivi sottolinea che “la pandemia ci ha insegnato che occorre più attenzione alla natura, e in questo senso c’è una maggiore consapevolezza sulle tematiche ambientali, tra i produttori in primis ma anche tra i consumatori”.
Diffusione del bio e caratteristiche delle aziende: quali differenze?
Ma in che modo il bio si sta diffondendo tra le aziende italiane? E chi è favorito o agevolato in questo passaggio? La conversione al biologico non è e non può essere uguale per tutti, per motivi di costi, tempi e dimensioni aziendali. Produrre in biologico, precisa Matilde Poggi, “significa cambiare l’approccio alla coltivazione della vigna. Occorre saper osservare ogni minimo segnale sul campo ed essere pronti a intervenire appena le condizioni meteo portano a un rischio di infezione. In questo senso, pertanto, è più facile per le aziende di dimensioni più contenute e per quelle che si trovano in zone dove la pressione di peronospora e oidio (malattie della vite, ndr) è più bassa. In molte zone la transizione al biologico è davvero complicata: penso ad esempio a quelle più colpite dalla flavescenza dorata (fitoplasmosi che colpisce foglie, tralci e grappoli, ndr), che in molti territori del Nord sta diventando un vero e proprio flagello, costringendo le aziende biologiche a rinunciare alla loro certificazione. Per questo motivo è importante che sia sempre garantito lo sviluppo della ricerca e che si faccia assistenza, consulenza e formazione ai viticoltori, per supportarli in un processo difficile ma necessario”. Come abbiamo visto parlando di Agrigenius Vite, la tecnologia può offrire ai viticoltori un importante supporto anche in termini di monitoraggio e gestione.
Vini biologici e vini naturali
Nel mondo di quelli che genericamente si possono definire ‘vini green’, le denominazioni utilizzate sono diverse e possono essere confuse. A questo proposito, la presidente Fivi puntualizza che “il vino biologico risponde a un disciplinare ben preciso, il vino ‘naturale’ si basa su un approccio e su un’enologia poco interventista, non inquadrata in alcuna regola, ma interpretata dal vignaiolo. Il consumatore spesso confonde le due terminologie, ma vedo difficile imbrigliare i vini ‘naturali’ in una legislazione, proprio perché rappresentano una filosofia che varia da produttore a produttore”.
I produttori bio nella Federazione italiana dei vignaioli indipendenti
La realtà Fivi, assai rilevante in Italia, offre un quadro rappresentativo del panorama produttivo nazionale, in particolare anche rispetto alle tante aziende medio-piccole. Infatti, aggiunge la presidente, “più del 50% dei nostri vignaioli sono biologici o biodinamici. Abbiamo inoltre lanciato quest’anno ‘FIVI4Future. I vignaioli coltivano la ricerca’, un progetto strategico pluriennale articolato in numerose azioni, che mette al centro la sostenibilità ambientale e la tutela della biodiversità, da sempre pilastri fondanti dell’associazione. Un programma in linea con il piano decennale Farm to Fork, messo a punto dalla Comunità europea per guidare la transizione verso un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell’ambiente e che prevede in ambito agricolo di ridurre del 50% l’utilizzo di fitofarmaci entro il 2030. La prima azione attivata è un progetto di ricerca, elaborato da Fivi in collaborazione con la società di consulenza Perleuve dell’agronomo Giovanni Bigot e con l’Università degli Studi di Udine, che punta ad aumentare la biodiversità nei vigneti, attraverso la progressiva eliminazione degli insetticidi di sintesi, la riduzione degli insetticidi biologici e il monitoraggio degli organismi utili”.
No al Prošek croato
Poiché si tratta di una notizia che in queste settimane sta facendo molto discutere, in conclusione abbiamo chiesto alla presidente di Fivi una considerazione sul caso del Prošek croato, che recentemente ha visto la sollevazione dei produttori italiani. Secondo Poggi “è a rischio la tenuta di tutte le denominazioni d’origine europee, inutile e dannoso ricordare che si tratta di due vini diversi. La legge Ue tutela le denominazioni d’origine e Prošek non lo è. Se si dovesse autorizzare la denominazione croata si dovrebbe, correttamente, riaprire il caso Tokaij-Tocai, cosa che, considerato il tempo ormai passato, creerebbe ulteriore confusione tra i consumatori. L’Europa ha regole molto chiare sulle denominazioni d’origine e si deve impegnare a farle rispettare in tutto il mondo, invece di assumere provvedimenti che portano a dannose guerre interne”.
Il primato dell’Italia nel mercato dei vini biologici conferma, quindi, che la strada da seguire per il futuro è quella di un’agricoltura di qualità e attenta all’ambiente, valori apprezzati da una fetta sempre maggiore di consumatori. Continueremo a seguire con curiosità questo trend e a raccontarvi del vino biologico italiano, ma intanto per tutti gli appassionati e interessati l’invito di Matilde Poggi è per il Mercato dei vini Fivi di Piacenza, uno degli appuntamenti principali per l’enologia italiana, dal 27 al 29 novembre 2021. Un evento imperdibile, grazie alla presenza di circa 700 produttori, vignaioli e vignaiole provenienti da tutti i territori italiani, e un segnale di ripartenza significativo per il settore.
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