packaging bio

Il futuro del pack alimentare è “bio”:  il cartone ottenuto dagli scarti dei pomodori 

Alessia Rossi
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    L’abbiamo detto tante volte e lo ripetiamo ancora: in ottica di una maggiore sostenibilità del sistema produttivo agroalimentare combattere gli sprechi è fondamentale e urgente. Non solo a tavola ma anche lungo tutto la filiera. Sono tantissime le iniziative e i progetti che sono stati messi in campo in questi anni che si muovono in questa direzione, come quello del team del Micro4Food Lab della Libera Università di Bolzano che riutilizza gli scarti di mela per farne una farina, o ancora quello che ricicla gusci di cozze e rifiuti plastici della mitilicoltura per realizzare iconici oggetti di ecodesign.

    Ma con gli scarti alimentari non si realizzano solo tessuti innovativi, oggetti di design o farine speciali. Un altro importante settore è quello che riguarda l’imballaggio degli alimenti, che oggi si trova nell’occhio del ciclone, grazie alla consapevolezza crescente dei consumatori riguardo al problema dell’inquinamento ambientale e allo smaltimento dei rifiuti. Per questo, il settore sta continuando a evolversi, iniziando finalmente a cambiare il modo in cui impacchettiamo i prodotti. E se per farlo riutilizzassimo proprio prodotti di scarto della filiera agricola? È quello che ha fatto il Pulp and Paper Institute di Lubiana che ha realizzato una confezione di cartone ondulato composto da gambi di pomodoro e altri scarti agricoli. Il “packaging bio” quindi potrebbe essere il futuro dell’imballaggio sostenibile: scopriamo insieme il progetto!

    L’impatto ambientale del packaging alimentare

    Fare la spesa, al giorno d’oggi, può apparire una sfida. Sono tantissimi infatti gli elementi che dobbiamo considerare se vogliamo che le nostre scelte d’acquisto siano il più possibile sane e sostenibili. Bisogna tenere conto della stagionalità degli alimenti, della loro provenienza e di quanti km hanno fatto per raggiungere le nostre tavole, magari pure dell’impatto ambientale (come vi abbiamo raccontato a proposito dell’etichetta climatica), poi ancora degli ingredienti – quanti additivi, aromi, zuccheri aggiunti contengono? – e infine, anche l’imballaggio. Purtroppo, spesso non prestiamo attenzione a quest’ultimo aspetto, che invece è altrettanto importante se vogliamo danneggiare il meno possibile l’ambiente.

    packaging plastica ortofrutta

    Roman Rybaleov/shutterstock.com

    Il problema del packaging inizia infatti già a monte, ossia nella creazione stessa dell’imballo che produce gas, metalli pesanti e particolati che incidono sull’effetto serra, nonché acque reflue o fanghi con contaminanti tossici. Altro grande problema riguarda l’impiego di alluminio e, ovviamente, di plastica. Per il primo, nonostante sia interamente riciclabile, è pressoché impossibile reimpiegare l’intero volume delle centinaia di miliardi di lattine prodotte a livello mondiale: di queste, si stima che, ogni anno, meno della metà vengano riciclate. Per quanto riguarda la plastica, invece, la maggior parte degli imballaggi alimentari sono realizzati ancora con plastica non riciclata, la maggior parte a base di petrolio.

    Insomma, confezioni usa e getta, voluminose e non ottimizzate per il riciclo, prodotti avvolti in una quantità esagerata di materiale plastico, la maggior parte dei quali finiscono in mare: questi sono i grandi problemi del settore degli imballaggi per alimenti. Come riporta Food Print, le Nazioni Unite hanno dichiarato l’inquinamento da plastica degli oceani “una crisi planetaria”. La Us Environmental protection agency (Epa) ha evidenziato come i materiali di imballaggio del settore del food costituiscono quasi la metà di tutti i rifiuti solidi urbani. Per darvi qualche numero: nel 2014, dei 258 milioni di tonnellate di rifiuti solidi urbani generati negli Stati Uniti, più del 63% era costituito da materiali di imballaggio e, complessivamente, solo il 35% (89 milioni di tonnellate) è stato riciclato o compostato.

    Packaging bio con gli scarti di pomodori: il progetto del Pulp and Paper Institute di Lubiana

    Il problema dell’inquinamento ambientale del packaging, soprattutto plastico, e del suo smaltimento, fortunatamente è sempre più discusso. I consumatori, in questo senso, grazie a una sensibilità maggiore alla sostenibilità ambientale, stanno portando il settore a trasformarsi, cambiando il modo in cui i prodotti alimentari vengono impacchettati. In Francia, ad esempio, dal primo gennaio di quest’anno è vietato l’utilizzo di imballaggio in plastica per una trentina di prodotti ortofrutticoli (a meno che la confezione non superi 1,5 kg). Ma vietare la plastica non basta: occorre trovare altre soluzioni.

    cartone scarto di pomodoro

    outoftheboxmag.it

    Ed è quello che il Pulp and Paper Institute di Lubiana, importante centro di ricerca e sviluppo industriale specializzato nella valorizzazione e applicazione di materiali fibrosi naturali, sta cercando di fare. Consapevole dell’importanza dell’economia circolare, perché non creare un imballaggio che non riutilizzi prodotti organici di scarto, come i residui agri? Ha quindi avviato nel 2019 un progetto per cercare appunto nuove opzioni che non prevedessero l’uso della plastica. L’Istituto ha trovato del potenziale proprio nei… pomodori! In collaborazione con Lušt, il più grande produttore di pomodori in Slovenia, ha realizzato una confezione di cartone ondulato composto da gambi di pomodoro e altri scarti agricoli. Ma come funziona?

    Il punto di partenza sono gambi di pomodori provenienti dall’agricoltura locale, in ottica ovviamente di una circolarità in cui nulla viene sprecato. Infatti, questa preziosa biomassa viene raccolta e trasformata nei rivestimenti e nelle scanalature che compongono il cartone. Il risultato è un prodotto costituito per oltre il 50% di fibra di pomodoro, e poi da fibra di legno già disponibile in commercio, oltreché additivi biologici e coloranti naturali, per assicurare le giuste proprietà di resistenza ad acqua e vapore. Il risultato è quindi un cartone resistente e riciclabile, che però, grazie alla speciale fibra di pomodoro, si caratterizza per la sua estrema leggerezza e flessibilità.

    Insomma, nel prossimo futuro potremmo davvero avere scatole di cartone realizzato con fibra di pomodoro riciclata. I test sono molto promettenti, ma l’Istituto solleva comunque questioni importanti. Infatti, la maggior parte delle materie prime alternative alla plastica e naturali sono soggette a variazioni e a stagionalità dei raccolti. Sarà importante quindi valutare la disponibilità e la reperibilità del materiale organico per la produzione su larga scala, il che si riflette in alti costi logistici. Ma intanto un passo avanti è stato fatto.

    Il biopackaging è la soluzione?

    biodegrapack contenitore uova

    georgebosnas.com/portfolio/biodegrapak

    Come ha spiegato Igor Karlovits, ricercatore presso l’Istituto sloveno in un’intervista rilasciata a Packaging Europe, nonostante i problemi che abbiamo riportato sopra – di reperibilità e disponibilità per una produzione su larga scala – i rifiuti di biomassa hanno un elevato potenziale. Non solo gambi di pomodori, quindi. Infatti, al Pulp and Paper Institute hanno compilato un database di diverse materie prime insieme alle loro quantità disponibili, e hanno ottenuto con successo fibre e carta prodotta da diverse fonti. Frumento, paglia, luppolo, orzo, mais, e non solo: grazie alla collaborazione con partner locali e industrie che mettono a disposizione i loro rifiuti, stanno portando avanti diverse ricerche e testando altri tipi di biomasse.

    Il “ packaging bio”, con cui si intendono degli imballaggi completamente biodegradabili ed eco-friendly, potrebbe quindi essere il futuro del pack. Vi abbiamo parlato, ad esempio, dell’esperimento che Lidl Svizzera sta conducendo, ossia una pellicola compostabile e commestibile che può essere spruzzata sugli alimenti per preservarli più a lungo e proteggerli. Ma non è il solo esperimento che si sta portando avanti. Sprout è il packaging compostabile a base di scarti di ananas con veri semi incorporati, perché si invita il consumatore non solo a riciclare la confezione, ma a piantarla, similmente a come avviene per Biodegrapack. O ancora, vi abbiamo già raccontato del potenziale delle alghe, considerate un vero e proprio “oro verde” per gli scienziati: Seaweed U è una pellicola a base di alghe, edibile e idrorepellente a temperatura ambiente, perfetta per avvolgere svariate tipologie di prodotto.

    Insomma, prepariamoci a dire addio alla plastica, perché il futuro del pack è biodegradabile, riciclabile e sostenibile.

    È nata vicino a Bologna, ma dopo l'università si è trasferita a Torino per due anni, dove ha frequentato la Scuola Holden. Adesso è tornata a casa e lavora come ghost e web writer. Non ha molta pazienza in cucina, a parte per i dolci, che adora preparare insieme alla madre: ciambelle, plumcake e torte della nonna non hanno segreti per lei. Sta imparando a tirare la sfoglia come una vera azdora (o almeno, ci prova).

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