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Ricehouse, la start up innovativa che parte dagli scarti del riso per creare la casa del futuro

Alessia Rossi
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    Generare un impatto positivo nel mondo, come quando si butta un sasso nell’acqua, la cui onda si propaga e diventa sempre più grande, cercando di rispondere ad alcuni dei problemi più urgenti del nostro millennio. Questo l’ambizioso obiettivo di Ricehouse, una start up innovativa tutta italiana nata nel 2016, e che da allora cerca di promuovere un cambiamento responsabile nel settore dell’edilizia – ma non solo – a partire da un semplice chicco di riso. Anzi, meglio: a partire da tutto ciò che del riso non possiamo mangiare, ossia riutilizzando quei prodotti di scarto della filiera risicola, che ogni anno contribuiscono all’inquinamento globale per lo smaltimento, immettendo nell’atmosfera tonnellate e tonnellate di CO2.

    Da un problema – per gli agricoltori e per l’ambiente – a una vera e propria risorsa che porta alla produzione di materiali edili puliti ed ecologici per creare nuovi modelli abitativi all’insegna dell’economia circolare e di “un’architettura eticamente, culturalmente, tecnicamente e profondamente impegnata a far tornare il territorio, la città e l’edificio a essere un organismo vivente”.

    Ma Ricehouse è molto più di questo: ce ne parla l’architetta Tiziana Monterisi, co-fondatrice e CEO della start up, che abbiamo intervistato per scoprire tutto quello che si cela dietro a uno dei cereali più coltivati al mondo e alle sue (infinite) possibilità.

    L’impatto ambientale dei sottoprodotti risicoli in Italia e nel mondo

    Crisi climatica, sistemi produttivi eccessivamente energivori e che consumano preziose risorse idriche e, ovviamente, tutti gli sprechi lungo le filiere agroalimentari e l’inquinamento derivante dal loro smaltimento. Questi sono solo alcuni dei grossi problemi cui oggi è necessario trovare una risposta urgente. E se una tra le tante e possibili soluzioni fosse a portata di mano e arrivasse proprio dalle risaie? Come abbiamo visto nel nostro approfondimento dedicato alla coltivazione risicola nel mondo, si tratta di una delle principali attività economiche, che conta di circa 162 milioni di ettari coltivati a livello globale, ossia circa l’11% dell’intera superficie arabile del pianeta, distribuita in 122 Paesi di tutti i continenti, e la cui produzione sfama il 66% della popolazione mondiale. E l’Italia è il primo produttore d’Europa con il 50% di tutto il riso prodotto in continente.

    sottoprodotti risicoli

    ricehouse.it /facebook.com

    Ma dietro a questo cereale importantissimo dal punto di vista economico e nutritivo si nasconde un problema enorme, ossia quello dello smaltimento dei sottoprodotti di scarto. L’architetta Monterisi ci racconta che, quando si è ritrovata a vivere a Biella, in Piemonte, non conosceva il mondo della risaia: “ma l’idea di Ricehouse è nata proprio da lì, dal vedere i risicoltori bruciare in campo qualcosa e dal porsi la domanda: ma cos’è che stanno bruciando?”. La curiosità ha spinto l’architetta a scoprirne di più, approdando così nel complesso settore risicolo. “Un ettaro di risaia produce 7 tonnellate di riso, quindi di nutrimento effettivo, e oltre 10 tonnellate di scarti, composti in parte dalla paglia che sta in campo e che gli agricoltori bruciano, in parte dalla lolla (la pelle del chicco) e dalla pula, ma non solo”.

    Tutti questi sottoprodotti, non essendo edibili, finiscono per essere smaltiti ed è proprio questa operazione che, oltre a rappresentare un problema per i produttori, inquina. “Se invece di incendiare la paglia di riso e la lolla, ad esempio, li utilizzassimo per la creazione di prodotti per il settore edilizio, andremmo ogni anno a sottrarre nel mondo un milione e mezzo di tonnellate di CO2, di cui in Italia circa 2mila tonnellate, e questo solo per non averla bruciata”.

    Da problema a opportunità: perché proprio il riso?

    Capiamo quindi come sottrarre allo smaltimento quegli scarti avrebbe già di per sé un impatto enorme a livello ambientale. Ma non solo, perché, come ci spiega l’architetta, c’è tutta la questione del reimpiego di questi “rifiuti” che diventano invece risorse, permettendo di continuare a sequestrare CO2. Ma cosa l’ha portata a scegliere proprio questo cereale?

    “Dal 2016 ad oggi, mi sono concentrata solo sul riso. Prima usavo anche altri materiali naturali, come la paglia di canapa o la lana di pecora. Ma il riso è presente in tutti e cinque i continenti e ogni anno io ho materia prima in quantità elevatissime, al punto che si potrebbe sostituire annualmente più del 75% di tutti i materiali edili”. Una materia prima quindi che non manca mai ed è presente sempre e ovunque. “Anche la canapa o altri cereali hanno le stesse caratteristiche tecniche, di isolanti e di riduzione di CO2. Ma dal punto di vista di economia circolare e di impatto sull’uomo, la coltivazione del riso è l’unica che non rende necessario sottrarre terreni per la coltivazione per avere materia prima a sufficienza a differenza di altri alimenti, e per me questo è stato un punto fondamentale per la scelta di questo cereale rispetto ad altri. Noi chiediamo semplicemente al risicoltore di darci tutto quello che non è commestibile e, grazie alla ricerca, riusciamo a utilizzare tutti gli scarti: la lolla, la paglia, la pula, le ceneri, l’amido, l’acqua di cottura… tutto quel 30% che viene scartato e non si può mangiare, per noi diventa materia prima utilizzabile”.

    riso scarti

    ricehouse.it /facebook.com

    Ricehouse, start up innovativa nel segno dell’architettura rigenerativa

    “Ho sempre cercato soluzioni sostenibili per l’uomo e l’ambiente che davvero potessero costruire quella che io definisco la nostra ‘terza pelle’, che è quel contenitore – quell’edificio – che ci accoglie per quasi il 90% delle nostre giornate, che poi sia una casa o una scuola”. Così nel 2016 è nata Ricehouse, start up innovativa che, a partire dal riso, cerca di avviare un cambiamento positivo e responsabile, nel segno di quella che va oltre la semplice architettura naturale o la bioarchitettura. “A me piace fare un passo ulteriore, che è quello dell’architettura rigenerativa, per cui non solo si costruisce senza avere un impatto sull’ambiente, ma rigenerandolo. Senza creare problemi alle generazioni future per lo smaltimento degli edifici, ma anzi dando loro una nuova risorsa”.

    Ricehouse oggi si basa su tre ambiti:

    • Prodotto: consiste nello sviluppo e commercializzazione di materiali edili 100% naturali con particolare attenzione all’utilizzo dei prodotti secondari della produzione del riso con precise caratteristiche. L’obiettivo finale è quello di proporre, attraverso l’utilizzo di questi materiali e il marchio “RISORSA”, la realizzazione di “Case di Riso”.
    • Progetto: progettazione di nuovi organismi di vita abitativa completamente autosufficienti e in completo equilibrio con i sistemi presenti in natura.
    • Open Innovation: l’attivazione di collaborazioni con aziende inserite in diversi settori che intendono sviluppare soluzioni innovative nei diversi ambiti attraverso la conversione dei loro sistemi produttivi secondo nuovi paradigmi di sviluppo sostenibile.

    Ricehouse, quindi, è molto più di semplici prodotti. “Progetto è quello da cui è nato tutto, perché continuiamo a progettare la casa che abbiamo definito col brand Risorsa, che è sia l’insieme di tutti i prodotti sia una visione progettuale ecologica. A seconda di dove si costruisce, si sfrutta ciò che la natura e il clima offrono. L’insieme dei prodotti Ricehouse ci permette di costruire una casa che è davvero una risorsa al 100% naturale, a impatto e a impronta zero. Abbiamo circa una ventina di prodotti che vanno a comporre l’intero edificio, dalla pittura all’isolante, fino al pavimento, ad esclusione dell’elemento strutturale della casa”.

    I punti di forza dei prodotti Ricehouse

    Immaginate la casa del futuro: costruita con i Milk Brick, i mattoni ottenuti a partire dagli scarti della produzione casearia, oppure un’intera Casa di Riso, realizzata con ecopittura e pannelli isolanti a partire dalla paglia e dalla lolla. Il tutto a impronta zero. Ma cosa contraddistingue i prodotti realizzati a partire dagli scarti del riso?

    prodotti ricehouse

    ricehouse.it /facebook.com

    • Qualità estetiche: cura del dettaglio e finiture di alta qualità.
    • Salubrità e benessere: “non sono solo materiali belli esteticamente, ma non hanno nemmeno un impatto sull’uomo, inteso anche come lavoratore che li utilizza per costruire, perché sono naturali e non di derivazione petrolchimica”; inoltre, permettono di migliorare il comfort interno dell’abitazione, regolando l’umidità e riducendo l’inquinamento tramite la sottrazione di CO2.
    • Qualità tecniche: “sono molto performanti dal punto di vista del riscaldamento e dell’isolamento e sono a energia zero; l’edificio quindi non ha bisogno di impianti per stare caldo o fresco”; hanno anche un’ottima resistenza al fuoco, durabilità e isolamento acustico, agli agenti biologici e alle muffe.
    • Qualità ambientali, grazie alla riduzione delle emissioni dovute alla combustione degli scarti del riso, ma anche a quella dei consumi energetici. Hanno un basso impatto ambientale e utilizzo ridotto di energia grigia.
    • Impatto sociale, permettendo la creazione di nuove economie in aree vulnerabili e lo sviluppo della consapevolezza rispetto alle problematiche sociali e ambientali
    • Facilità di posa con tecniche tradizionali: “abbiamo cercato di lavorare sia sulla facilità e la velocità di posa. Non chiediamo al muratore di cambiare la sua tecnica: il materiale viene posato come quelli standard, proprio per renderlo più vicino all’operaio e al mondo dell’edilizia tradizionale”.
    • Sostenibilità economica: “non hanno prezzi elevatissimi, anzi, sono molto concorrenziali rispetto ad altri materiali naturali e anche rispetto ad alcuni competitors costruiti con materiali standard sono molto competitivi. L’idea e l’intento è quello di portare l’edilizia tradizionale verso una a impatto zero”.

    Dal risicoltore al cittadino: un esempio di economia circolare

    Ricehouse ha dato vita quindi a una vera e propria filiera che parte dall’agricoltore e arriva al cittadino. Valorizzare gli scarti risicoli significa innanzitutto ridurre CO2 immessa con lo smaltimento, ma non solo. Si riduce in maniera drastica l’estrazione di materie vergini per realizzare prodotti edibili e, in aggiunta, “tutti questi materiali che noi produciamo non diventano rifiuti: a fine vita diventano nuove risorse, molte delle quali tornano al campo sotto forma di compostaggio e fertilizzante. Inoltre, vuol dire ridurre l’uso dell’acqua perché i nostri prodotti non hanno bisogno di subire grandi trasformazioni industriali e quindi non sono energivori come gran parte delle altre produzioni industriali”.

    “Il nostro è davvero un modello di economia circolare. Partiamo dal campo di riso, senza sottrarre ulteriori terreni. L’agricoltore quindi continua a produrre cibo che ci sfama, e noi in cambio gli chiediamo non solo di darci lo scarto, ma di darcelo lavorato in un determinato modo secondo un determinato protocollo, e questo è un lavoro che noi paghiamo. Valorizziamo il lavoro umano che l’agricoltore fa per rendere quel sottoprodotto agricolo un materiale che dialoga col mondo del cantiere. Questo materiale viene poi lavorato e mandato nei centri di produzione, tutti italiani; infine, noi immettiamo i prodotti nel mercato attraverso B2B o B2C”.

    ricehouse edilizia

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    Ricehouse e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile

    Come dicevamo, trovare soluzioni innovative per rispondere a problemi urgenti, come quelli in linea con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) dell’Agenda 2030, perché l’ambiente ha urgenza che il cambiamento avvenga ora. E come ci racconta l’intervistata, questo è il cuore del lavoro di Ricehouse, che non è solo una startup innovativa, ma anche una società benefit. “Perché noi vogliamo fare profitto in maniera etica e sostenibile, sia dal punto di vista ambientale che  sociale. Profitto, ambiente e risorse umane non possono essere più l’una svantaggiata rispetto all’altra”.

    Riguardo agli SDG, ad oggi ne perseguono in maniera diretta 8, tra cui:

    • il 3, salute e benessere,
    • l’8, lavoro dignitoso e crescita economica,
    • il 9, industria, innovazione e infrastrutture,
    • l’11, città e comunità sostenibili,
    • il 12, consumo e produzione responsabile,
    • il 13, agire per il clima,
    • il 15, la vita sulla terra,
    • il 17, partnership per gli obiettivi.

    “Oltre agli altri che tocchiamo in maniera indiretta, come ad esempio la riduzione del consumo dell’acqua. I nostri valori sono proprio questi, arrivare a un modello rigenerativo a impronta zero. Questo cerchiamo di non scriverlo soltanto, ma di applicarlo in maniera molto seria e molto attenta”.

    Non solo edilizia: gli scarti del riso come materia prima che guarda al futuro

    Ma Ricehouse non si ferma solo al settore dell’edilizia e guarda altrove. Perché gli scarti della filiera risicola, oltre a essere facilmente disponibile in quantità elevatissime, hanno caratteristiche tecniche che si prestano a tantissimi usi. “Con la parte di Open Innovation, stiamo lavorando con varie aziende per ampliare i campi d’azione. Ad esempio, stiamo progettando un tessuto ottenuto a partire dalla lolla o anche la suola delle scarpe”, progetti che si vanno ad aggiungere a quelli che stanno nascendo degli ultimi anni, che permettono di ottenere fibre tessili, finte pelli o altro ancora grazie al riutilizzo degli scarti alimentari nel settore della moda. Per non parlare poi di oggetti di design stampati in 3D o di packaging più sostenibili. Insomma, le possibilità sono tantissime. “Da una parte ci siamo noi, piccoli, è vero, ma agili e innovativi, dall’altra invece ci sono le grosse aziende che hanno le economie ma faticano a cambiare velocemente. Start up innovative e grandi aziende, insieme, possono avviare un cambiamento positivo in poco tempo”.

    Chissà che davvero, in futuro, non vivremo tutti in una casa costruita con gli scarti di riso o altri materiali per aiutare davvero uomo e ambiente, valorizzando gli scarti e trasformandoli invece in nuove risorse.

    È nata vicino a Bologna, ma dopo l'università si è trasferita a Torino per due anni, dove ha frequentato la Scuola Holden. Adesso è tornata a casa e lavora come ghost e web writer. Non ha molta pazienza in cucina, a parte per i dolci, che adora preparare insieme alla madre: ciambelle, plumcake e torte della nonna non hanno segreti per lei. Sta imparando a tirare la sfoglia come una vera azdora (o almeno, ci prova).

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