Vino sostenibile: nuovi approcci per un calice che fa bene al pianeta!

Natascia Rioli
3 minuti

     

    Se dovessi dire qual è la parola più importante per il settore vitivinicolo nel 2022 non avrei dubbi: sostenibilità. Ho sempre pensato che le caratteristiche di un buon vino fossero l’assenza di difetti o odori sgradevoli, l’equilibrio, e il giusto rapporto qualità prezzo. Fortunatamente, grazie anche a nuovi processi produttivi e tecniche enologiche innovative, non è difficile trovare anche al supermercato vini che soddisfano questi requisiti. Sono sempre più convinta, però, che ormai queste qualità non bastino più per consigliare una bottiglia. No, nel 2022 il mio vino ideale dev’essere anche sostenibile.

    La sostenibilità è uno dei temi più discussi negli ultimi anni, e non è più un argomento di nicchia: la troviamo al centro dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, chiamata proprio “Agenda per lo Sviluppo Sostenibile”, di cui abbiamo già parlato ampiamente sulle nostre pagine. Tra i suoi 18 obiettivi include azioni urgenti per contrastare il cambiamento climatico, la creazione di modelli produttivi e di consumo rispettosi dell’ambiente, la conservazione e rigenerazione dell’ecosistema terrestre. Allo stesso modo, anche la strategia “Farm to Fork” dettata dall’Unione Europea, si propone 4 ambiziosi obiettivi legati alla sostenibilità ambientale, da raggiungere proprio entro il 2030. 

    I giovanissimi sono tra i più attenti e sensibili promotori del cambiamento, ma tutte le generazioni sembrano finalmente essersi rese conto che il futuro del mondo dipende dalle nostre azioni quotidiane, e dalle nostre scelte come consumatori.

    E vista la sua influenza, in particolare nel nostro Paese, il settore vitivinicolo non può certo sottrarsi alla conversazione! Ma cosa vuol dire “vino sostenibile”? Quali sono i criteri che lo rendono tale? Vediamolo insieme!

    Vino sostenibile: cosa intendiamo esattamente?

    La parola sostenibilità si riferisce alla possibilità di soddisfare i nostri bisogni, senza compromettere questa facoltà per le generazioni future. Questo concetto si basa su tre pilastri – ambiente, economia e sociale –, e proprio su questi le aziende oggi stanno ripensando i loro prodotti. In questo articolo ci concentreremo principalmente sull’aspetto ambientale legato al settore vitivinicolo.

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    Affinché la parola “sostenibilità” non rimanga un’etichetta vuota, è necessario fornire gli strumenti per riconoscere i prodotti e le aziende “green”. Un aiuto ci arriva anche dalla legislazione e dal diritto agroalimentare, che si sta muovendo in tema di certificazioni ed etichettatura. D’altronde, gli utenti premiano sempre più le aziende che si distinguono per l’adozione di modelli sostenibili, adottandoli nella vita quotidiana. Si capisce, quindi, quanto sia importante aiutare i consumatori a scegliere in maniera chiara e consapevole.

    Anche il vino fa parte delle nostre scelte di tutti i giorni. Per questo, a tutti i livelli della filiera produttiva ci si pone delle domande sugli impatti ambientali, non più trascurabili, di un prodotto di così largo consumo.

    Ma quali sono effettivamente gli elementi da prendere in considerazione per valutare la sostenibilità di un vino?

    La Carbon Footprint del vino

    Uno dei metodi più accreditati per valutare l’impatto ambientale del settore vitivinicolo, in particolare sul clima, è il calcolo della Carbon Footprint, o impronta di carbonio. Si tratta della misura dell’anidride carbonica (o CO2, responsabile primario dell’effetto serra), emessa durante tutto il ciclo di vita di un prodotto.

    La maggior parte dei beni che consumiamo quotidianamente lascia un’impronta ben definita: il “piede” più grosso, come abbiamo già avuto modo di scoprire parlando delletichetta climatica sui prodotti alimentari, è quello degli allevamenti intensivi di bovini. Purtroppo, però, anche il nostro calice di vino non cammina senza lasciare impronte: uno studio ha analizzato il ciclo di vita medio di una bottiglia, un Verdejo spagnolo, dalla nascita del grappolo in vigna al momento in cui buttiamo la bottiglia in vetro, e ha calcolato un’emissione di circa 1,2 kg di carbonio a bottiglia. Non si tratta proprio un’impronta trascurabile! Quali sono gli aspetti che più incidono sulla carbon footprint nel settore vitivincolo?

    Packaging 

    La componente che incide di più sulla sostenibilità del vino è il suo packaging, ovvero il recipiente in cui viene trasportato e arriva sulle nostre tavole.

    La maggior parte del vino viene imbottigliato in vetro, che è sì riciclabile, se smaltito correttamente, ma resta un materiale pesante e delicato da trasportare. Nello studio già citato sul Verdejo, la bottiglia in vetro è responsabile di quasi la metà delle emissioni rispetto a tutto il ciclo produttivo! Se si considera il totale delle bottiglie vendute, questo dato diventa davvero impressionante: secondo nel 2020, solo nel Regno Unito, le bottiglie di vino in vetro non riciclate hanno prodotto 726 milioni di kg di carbonio.

    Ad oggi, in particolare per vini di pregio, è difficile pensare di poter sostituire la bottiglia in vetro, dal momento che è l’unico recipiente in grado di garantire una conservazione ottimale per anni. 

    La situazione appare più confortante se si pensa che le bottiglie da lunga conservazione costituiscono solo una piccolissima parte del totale venduto: la maggior parte dei vini, infatti, vengono consumati immediatamente dopo l’acquisto, o entro poche settimane. Per questi prodotti, packaging alternativi e più green sono la soluzione ideale!

    Il trasporto

    Anche il trasporto ha il suo peso sull’impronta di carbonio, e dipende moltissimo proprio dal packaging.

    Come abbiamo già accennato il vetro, essendo fragile e pesante, è il materiale più costoso e impattante da trasportare. Proprio per questo motivo, per le lunghe distanze, sta prendendo sempre più piede il trasporto di vino sfuso, che viene poi imbottigliato nel paese di destinazione. Basti pensare che un container riempito con vino sfuso può trasportare quasi il triplo della quantità di vino che trasporterebbe se fosse riempito di bottiglie di vetro.

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    Viticoltura sostenibile e tutela del suolo: l’importanza delle certificazioni

    Pesticidi, fertilizzanti e erbicidi chimici, o meglio, di sintesi, sono utilizzati nell’agricoltura convenzionale da decenni, per difendere le colture dai parassiti e per apportare i nutrienti di cui la vite ha bisogno. L’utilizzo massivo di pesticidi in agricoltura non è solo fortemente inquinante, ma impoverisce il suolo, uccide i microrganismi che lo popolano e ne disgrega la struttura, causando frane, erosione, e difficoltà di ritenzione dell’acqua. Si crea così un circolo vizioso, in cui sono necessari sempre più prodotti per rendere nuovamente fertile un terreno distrutto. Antiparassitari e pesticidi si depositano sull’uva, sul terreno e penetrano fino alle falde acquifere.

    È evidente che siamo ben lontani dal concetto di sostenibilità ambientale. Quali sono allora le alternative e come può il consumatore scegliere un vino più rispettoso dell’ambiente?

    Uno strumento utile per orientare la nostra scelta di acquisto sono le certificazioni.  

    In questo senso, la certificazione biologica è ormai uno standard: al bando prodotti di sintesi, per proteggersi dai parassiti vengono utilizzate alternative meno inquinanti. Abbiamo già visto come sia ampiamente adottata dalla viticoltura italiana, tanto da constatare che, a fine 2021, quasi un quinto dei vigneti italiani è biologico.

    Anche della certificazione biodinamica abbiamo già avuto modo di parlare: è importante ricordare che in questo caso è bandito anche il rame, utilizzato in agricoltura biologica come antiparassitario e al centro di dibattiti sulla sua possibile tossicità per il suolo. Al contrario, l’agricolturia biodinamica si avvale di preparati come il cornoletame, e pratiche come il sovescio, che apportano nutrienti e migliorano la struttura del suolo.

    Una certificazione recentissima e che sta suscitando grande interesse nel settore è la ROC. Un attestato conferito solo ai viticoltori che adottano pratiche di agricoltura rigenerativa, e in particolare di Regenerative Organic Viticulture, ovvero Viticoltura Biologica Rigenerativa: questo approccio ha come obiettivo non solo quello di non danneggiare l’ambiente, ma di recuperare la vitalità e la fertilità del suoloUn concetto che supera quello di sostenibilità, basato sull’idea che non basta preservare l’ambiente: possiamo addirittura renderlo migliore, lasciando un’eredità positiva per le future generazioni.
    Per ottenere questa certificazione, è necessario evitare alcune lavorazioni considerate devastatrici del terreno come l’aratura, mentre è richiesta l’adozione di pratiche rigenerative come l’utilizzo di “colture di copertura”, che aumentano la fertilità del suolo, o l’impiego di animali erbivori per mangiare le erbacce tra i filari, eliminando la necessità di pesticidi e fertilizzanti.

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    Quanta acqua in una bottiglia di vino?

    Il vino mediamente è composto all’85% da acqua. Quanta ne serve però realmente per produrre il vino? Molta più di quanto potremmo pensare: uno studio dell’Associazione Idrotectnica Italiana stima che per un calice di vino da 125 ml servano quasi 90 litri d’acqua!

    Un dato impressionante, anche se è bene fare una specifica: quasi l’80% di questo consumo è costituito da “acque verdi”, ovvero quella che la pianta assorbe dall’ambiente naturale in cui si trova, legata al clima, alla stagionalità e alle caratteristiche del suolo. Più è alta l’impronta dell’acqua verde, più possiamo definire sostenibile il nostro vigneto, dal momento che la pianta è maggiormente in grado di sfruttare le risorse disponibili in quel territorio. La restante percentuale è data dalle “acque blu”, ovvero l’acqua prelevata dal suolo o dalle falde per irrigazione, irrorazione con prodotti fitosanitari o lavaggio di attrezzature, e dalle “acque grigie”, cioè l’acqua necessaria per la diluizione degli agenti inquinanti.

    La crisi climatica e la progressiva desertificazione di alcune aree stanno causando un aumento costante delle “acque blu” necessarie, soprattutto per l’irrigazione di emergenza.

    Cosa può fare il settore vitivinicolo per ridurre questa richiesta?

    Negli ultimi anni la ricerca si è concentrata sull’utilizzo di nuovi portainnesti con una maggiore resistenza allo stress idrico, che quindi necessitano fino al 30% in meno di acqua. Un’altra buona pratica è la depurazione delle acque reflue, per reimmetterle nell’ambiente o riutilizzarle per l’irrigazione.
    Non ultimo, le già citate pratiche di agricoltura biologica, biodinamica o rigenerativa, eliminando o riducendo al minimo i trattamenti con agenti chimici, consentono di abbattere la produzione di acque grigie, e di conseguenza l’impronta idrica totale.

    Per un vino sempre più sostenibile: i nuovi trend del futuro

    Abbiamo visto che sono tante le pratiche che ci possono permettere di ridurre l’impatto sull’ambiente della nostra bottiglia. Oltre a quanto già citato, tante novità sono in fase sperimentale, e speriamo di vederle presto adottate su larga scala.

    Una di queste è l’utilizzo in cantina di particolari alghe che, attraverso la fotosintesi, consentono di trasformare l’anidride carbonica prodotta dalla fermentazione in ossigeno da reimmettere nell’atmosfera, producendo inoltre biocombustibile come scarto. Ancora, recentemente abbiamo parlato dell’inserimento dei vigneti Piwi nelle DOC: una minore necessità di trattamenti aiuta a risparmiare acqua e preservare il suolo.

    In tema di packaging, l’alternativa “green” più in voga oggi è la “bag-in-box”, ovvero una sacca di alluminio che contiene il vino, posta all’interno di una scatola di cartone, che si comprime man mano che il vino viene spillato. Con questo sistema, il vino non entra mai in contatto con l’ossigeno e la conservazione è garantita per diverse settimane. L’opzione ideale per vini semplici da bere durante i pasti.

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    O ancora, una confezione che piace soprattutto ai più giovani è la lattina: leggera ed ecologica, colorata, comoda da portare a una grigliata al posto della classica birra!
    Resiste poi il Tetra Pak: leggero, facilmente trasportabile e riciclabile, di contro mantiene il vino intatto solo per pochi giorni poiché non impedisce il contatto con l’ossigeno.
    Alcuni produttori stanno sperimentando materiali ancora più particolari, ad esempio bottiglie in plastica riciclata salvata dagli oceani, o sacchetti di alluminio che, superando il concetto di bag-in-box, eliminano anche l’imballo in cartone.

    Insomma, le alternative non mancano, sta a noi avvicinarci alle novità con una mente aperta, pensando a quanto le nostre scelte possano fare in termini di sostenibilità ambientale. La prossima volta che acquistiamo una bottiglia, o magari una bag-in-box, di vino, ricordiamoci che il futuro del pianeta passa anche per il nostro calice.

    E non dimenticate di farci sapere cosa ne pensate e quali sono i vostri vini sostenibili preferiti: vi aspettiamo nei commenti!

    Nata a Modena, vive a Sassuolo (MO) e lavora a Reggio Emilia. Ufficialmente è Project Manager in ambito Digital, ma la sera è facile trovarla in giro per l'Emilia mentre insegna a degustare il vino. Assaggiatrice di vino e Sommelier, sta studiando per il WSET Diploma. Il suo piatto preferito è senza dubbio la pizza napoletana, tanto da avere in casa un forno dedicato, rigorosamente abbinata a una bollicina. In cucina non può mancare... un calice di buon vino, cos'altro?

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