ristorante degli ordini sbagliati

Il Ristorante degli ordini sbagliati: ogni piatto è una sorpresa

Giulia Zamboni Gruppioni Petruzzelli
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    Immaginate di andare al ristorante una sera. Qual è la cosa che vi darebbe più fastidio: attendere a lungo prima di essere serviti? Trovare un cameriere insolitamente distratto? O magari ricevere un piatto diverso da quello che avete chiesto? Tutte queste cose succedono al Ristorante degli ordini sbagliati di Tokyo. Ma la reazione degli ospiti non è affatto stizzita, anzi. Chi viene qui sa perfettamente che vivrà un’esperienza unica, non tanto per il cibo che si troverà a mangiare, ma proprio per il servizio che caratterizza questo posto: tutti i camerieri sono affetti da Alzheimer o da altre forme di demenza. Il risultato? Uno straordinario esempio di inclusione sociale e di contrasto alla discriminazione e alla stigmatizzazione di certe patologie, con benefici evidenti sia per chi vi trova impiego, che per coloro che lo frequentano.  

    Ristorante degli ordini sbagliati: come è nata l’idea 

    camerieri ristorante

    facebook.com/pg/ORDER.MISTAKES/photos

    La prima versione del Ristorante degli ordini sbagliati risale al giugno 2017, quando il suo fondatore, Shiro Oguni, decide di testare questa nuova formula: per soli tre giorni, nel centro di Tokyo, apre un pop-up restaurant e impiega come personale di servizio soggetti con difficoltà cognitive. “Come chiunque altro, la mia conoscenza superficiale della demenza si limitava a immagini negative di persone profondamente smemorate o che girovagavano continuamente senza scopo”, ha dichiarato Shiro Oguni a un sito governativo giapponese. “In realtà, mi sono accorto che possono cucinare, pulire, fare il bucato, la spesa e altre attività in maniera autonoma per prendersi cura di loro stessi. Certamente, può capitare che ogni tanto vadano ‘fuori strada’”. 

    L’idea è stata un successo immediato, tanto da attirare l’attenzione del Maggie’s Centre di Tokyo, da tempo impegnato nella cura e nel supporto dei malati di cancro e dei loro familiari. Grazie a questa collaborazione, il 21 settembre del 2017, in occasione della giornata mondiale dell’Alzheimer, il Ristorante degli ordini sbagliati ha riaperto i battenti in pianta stabile presso il quartiere Roppongi della città. Il nome, che richiama abilmente un racconto molto popolare della tradizione nipponica (The Restaurant of many orders, del 1924), incuriosisce e svela, almeno in parte, la peculiarità di questo locale in cui il sorriso è di casa tutti i giorni. 

    Mangiare al Ristorante degli ordini sbagliati 

    Quando il cameriere ti accompagna al tavolo e poi si siede al tuo fianco come fosse parte del gruppo, o quando al posto dell’hamburger che hai ordinato ti viene recapitata una porzione di gnocchetti di gyoza (i ravioli tipici della cucina giapponese), non puoi fare a meno di sorridere. È esattamente quello che è successo anche a Mizuho Kudo, foodblogger locale, che ha raccontato con toni entusiastici il suo pranzo presso il Ristorante degli ordini sbagliati, in cui, a suo dire, l’ilarità è contagiosa e avvicina ancora di più clientela e personale di sala. Ciò che si esercita qui, infatti, non è solo la pazienza ma soprattutto l’empatia. L’obiettivo di questa iniziativa non è suscitare tenerezza o un senso paternalistico di comprensione, ma di avvicinare per davvero mondi e modi che spesso vengono percepiti come troppo lontani. 

    Il Ristorante degli ordini sbagliati porta i suoi visitatori prima di tutto a vivere un’esperienza umana, di solidarietà e valorizzazione della difficoltà e dell’abilità personale in un contesto leggero, in cui la convivialità è veicolo anche di ironia (dei camerieri in primis) e di commozione (non sono rari i casi in cui i commensali piangono per l’emozione). Non bisogna dimenticare inoltre che le pietanze sono comunque ottime perché, come recita il sito ufficiale del ristorante: “In ogni caso vi rassicuriamo sul fatto che, per quanto il vostro ordine possa essere sbagliato, tutto sul nostro menù è delizioso e unico. Questo sì, ve lo garantiamo”. 

    I numeri dell’Alzheimer nel mondo

    Secondo il World Alzheimer Report del 2016, al mondo sarebbero 47 milioni le persone che convivono con questa malattia, un numero che supera la popolazione dell’intera Spagna e che è destinato quasi a triplicare entro il 2050, coinvolgendo soggetti anche al di sotto dei 65 anni di età. In Giappone, patria del progetto del Ristorante degli ordini sbagliati, i numeri fanno altrettanta impressione: stando a quanto rivelato dal Guardian nel 2018, infatti, si tratterebbe di 4,6 milioni di persone ultra sessantacinquenni, che arriveranno a quota 7,1 nel 2050 (quando in Italia l’Istituto Superiore di Sanità parla di “1 milione di persone affette da demenza, 600 mila colpite da Alzheimer”). Per un Paese con la più lunga aspettativa di vita al mondo, è evidente come iniziative simili a quella realizzata da Shiro Oguni non possano che essere viste di buon occhio da un Governo che si troverà presto a fare i conti con una popolazione sempre più bisognosa di attenzione, cure e stimoli specifici. In questo senso, allora, l’occupazione di alcuni di questi soggetti può essere una risposta valida in più direzioni.  

    I benefici sociali di iniziative simili

    camerieri ordini sbagliati

    facebook.com/pg/ORDER.MISTAKES/photos

    Innanzitutto, lo scopo di realtà come quella del Ristorante degli ordini sbagliati è rivolta a chi soffre di questa progressiva perdita di capacità cognitiva. Infatti, come dimostrato da diversi studi, nelle forme iniziali in cui si presenta il deficit può essere molto utile esercitare le capacità residue dell’individuo per mantenerlo attivo e reattivo, cercando di rallentare la malattia. Ma non solo, anche renderlo partecipe alla vita di una comunità – come quella di un ristorante dove ci si deve relazionare  con colleghi ed estranei – aiuta a prevenirne l’isolamento, una tra le principali cause di deterioramento a cui, spesso, le famiglie non riescono a fare fronte. I nuclei familiari moderni, a differenza di quelli di qualche generazione fa, sono sempre più piccoli e frammentati, ed è per questa ragione che gli anziani si trovano più soli e spogliati anche del loro tradizionale ruolo sociale. Il lavoro, allora, può diventare una forma di auto-aiuto per chi si trova in questa condizione e di vero e proprio supporto per chi si deve occupare della gestione del malato (i cosiddetti caregivers). 

    Non da ultimo va considerato anche il valore intrinseco del progetto di Oguni, e cioè quello di sensibilizzare e modificare l’idea, spesso distorta, che si ha di questi soggetti, senza però farne dei fenomeni da baraccone o ridicolizzarli. Come lui stesso ha dichiarato in precedenti interviste, allo staff sente dire di frequente frasi del tipo: “Sono ancora capace. Questo mi sta dando maggiore sicurezza in me stesso”. Nella visione di Oguni, “la demenza non è l’essenza di una persona, ma solo una parte di ciò che è. Le persone sono persone. Se si diffonde la cultura della tolleranza, quasi tutto può essere risolto”. 

    Forse assumere camerieri che non ricordano la comanda non sarà tra le prime 5 cose da fare per gestire un ristorante, è vero, ma sicuramente potrà renderlo un posto più caldo, accogliente e vero. Progetti come il Ristorante degli ordini sbagliati, o la Mensa più facile e il Tortellante di Modena, nonostante siano molto diversi tra loro, hanno tutti una cosa da insegnare: mangiare è anche, e sempre, un atto di umanità e solidarietà. Non trovate? 

    Giulia è nata a Bologna ma geni, pancia e cuore sono pugliesi. Scrive principalmente di tendenze alimentari e dei rapporti tra cibo e società. Al mestolo preferisce la forchetta che destreggia con abilità soprattutto quando in gioco c'è l'ultima patatina fritta. Nella sua cucina non deve mai mancare... un cuoco!

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