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Mensa aziendale, bar, “schiscetta”: come mangiano gli italiani in pausa pranzo?

Angela Caporale
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    Non per tutti i lavoratori italiani è possibile tornare a casa per la pausa pranzo, cucinando e seguendo i propri gusti tanto quanto le esigenze alimentari personali. La maggioranza, infatti, si trova a trascorrere la pausa pranzo fuori casa e, come abbiamo visto presentando i dati raccolti da Doxa-Ancit, si divide tra l’ufficio, la mensa e le altre opzioni ristorative a pochi passi dal posto di lavoro. Una scelta che, talvolta, può essere limitante: per alcuni dal punto di vista economico, per altri da quello della salute. La pausa pranzo è, però, una priorità per quasi tutti i lavoratori italiani, vediamo allora più nello specifico quali sono le alternative che hanno attualmente a disposizione.

    Pausa pranzo fuori casa: quali opzioni per gli italiani?

    Riprendendo, dunque, l’indagine Doxa-Ancit (2017), emerge come più della metà dei lavoratori contattati trascorra la pausa pranzo fuori casa dividendosi come segue:

    • 24% pranza in ufficio;
    • 20% usufruisce di un servizio di mensa aziendale;
    • 14% opta per bar e ristoranti, talvolta utilizzando i buoni pasto.

    Se nel secondo e nel terzo caso, il lavoratore si affida a professionisti esterni per la preparazione del pasto e, personalmente, opta per la soluzione che ritiene più adatta, nel primo caso invece sono in molti a ricorrere alla “schiscetta”. Negli ultimi anni, l’abitudine di cucinare a casa, la sera prima, il pasto da portare direttamente in ufficio è diventata un trend, come conferma anche il successo di alcuni blog di ricette dedicati proprio a queste preparazioni.

    Ma vediamo quali sono le alternative più diffuse in Italia che, spesso, non dipendono da una scelta dei lavoratori, quanto da strategie aziendali che decidono di investire o meno nell’ambito della garanzia di una pausa pranzo sana per i dipendenti e i collaboratori.

    pausa pranzo mensa aziendale

    foamfoto/shutterstock.com

    Mensa aziendale

    Sebbene si possa far risalire la creazione della prima mensa aziendale già al 1780 in Gran Bretagna, in Italia questi servizi sono comparsi soltanto nel ‘900. Sempre durante il secolo scorso, sono state avanzate le prime proposte di legge per obbligare i datori di lavoro a garantire il “diritto alla mensa” ai propri dipendenti. Una recriminazione che non ha trovato piena applicazione poiché, attualmente, la mensa aziendale è diffusa ancora in maniera diseguale sul territorio.

    Una questione anche di costi, oltre che di scelte manageriali. Infatti, sostenere una struttura ristorativa per la propria azienda non è alla portata di tutti, tuttavia una risposta concreta a questa problematica è rappresentata dalle strutture condivise tra più aziende che si dividono, dunque, l’onere di garantire un pasto pagato ai lavoratori.

    Il funzionamento della mensa aziendale è semplice. Ogni giorno vengono proposti più menù, studiati con il supporto di professionisti dell’alimentazione, in maniera tale che possano rispondere alle esigenze più diffuse tra i lavoratori. Di fatto, la mensa è, attualmente, l’opzione che garantisce al dipendente una pausa pranzo fuori casa bilanciata proprio perché, salvo esigenze specifiche, propone piatti già calibrati da esperti della nutrizione.

    pausa pranzo ristorante

    Lucky Business /shutterstock.com

    Buoni pasto al bar o al supermercato

    A partire dagli anni Ottanta si sono diffusi anche in Italia i buoni pasto, ovvero dei ticket con un valore predeterminato che possono essere utilizzati dal lavoratore per pagare parte dei pasti nei locali convenzionati oppure acquistare beni alimentari. Secondo i dati Anseb relativi al 2018, i buoni pasto sono stati utilizzati da 2,4 milioni di italiani, dipendenti privati e pubblici.

    I ticket hanno riscontrato un certo successo, e tutt’ora continuano ad essere apprezzati, proprio per via della loro versatilità, che lascia al dipendente molta autonomia nella scelta di come e dove impiegarli. Una caratteristica amplificata dal fatto che si possono utilizzare anche nei supermercati, ma solo per acquistare beni alimentari e fino a un massimo di 8 buoni al giorno. Una soglia comunque sufficiente per supportare il lavoratore nell’auto-organizzazione di una pausa pranzo sana, o adatta alle proprie esigenze.

    Bar, tavola calda o ristorante

    Con o senza buoni pasto, la pausa pranzo fuori dall’ufficio per eccellenza è quella che porta il lavoratore in un bar, in una tavola calda o in un ristorante. Tra i motivi per cui questa opzione viene scelta c’è la mancanza di alternative, la praticità di non doversi occupare di nulla, l’opportunità di poter scegliere e selezionare i propri piatti preferiti ogni giorno.

    I limiti sono, però, altrettanto evidenti e si possono riassumere in tre considerazioni. In primo luogo, infatti, è l’opzione più costosa tra tutte quelle proposte. In secondo luogo, non consente un controllo totale su quello che viene portato nel piatto. Infine, lasciati liberi di scegliere, è più frequente che i lavoratori optino per piatti non salutari o non bilanciati. Secondo un’indagine del Censis per Coldiretti, infatti, una priorità condivisa dagli italiani è quella di mangiare sano anche durante l’orario di lavoro, ma di fatto quando si trovano al bar tendono a dimenticarsene e privilegiare piatti più ghiotti, ma meno sani.

    pausa pranzo ufficio

    Viktoriia Hnatiuk/shutterstock.com

    Schiscetta per risparmiare e mangiare sano

    Non esistono dati che mettono in relazione l’impiego dei buoni pasto per l’acquisto di beni alimentari e l’effettivo utilizzo di questi ultimi per la preparazione della schiscetta, tuttavia la percentuale di italiani che mangia in ufficio suggerisce che tale opzione sia molto gradita.

    Tra i vantaggi, quello di poter preparare piatti leggeri e bilanciati, perfettamente corrispondenti ai propri gusti e alla propria dieta, ma anche un concreto risparmio economico rispetto alle ordinazioni al bar. Chi sceglie la “schiscetta” lo fa anche per questioni di igiene e salubrità: l’impressione è quella di controllare maggiormente tutti i passaggi, dalla scelta degli ingredienti al consumo, autocertificando la qualità degli stessi.

    Tuttavia non mancano le criticità: prima tra tutte, il fatto che non è detto che un piatto preparato in casa sia necessariamente più sano, così come potrebbero esserci problemi di trasporto spesso sottovalutati. Infatti, soprattutto durante i mesi estivi, trasportare il pranzo sui mezzi, soprattutto per lunghi tratti, può intaccarne la corretta conservazione. Dal punto di vista sociale, invece, portare il pranzo da casa fa sì che il lavoratore tenda a non uscire dall’ufficio, riducendo il beneficio dato dalla pausa pranzo che separa le due parti della giornata lavorativa e aumentando il rischio di mangiare davanti al pc, abitudine che può portare anche a delle conseguenze sulla salute.

     

    Sono queste, dunque, le opzioni per i lavoratori full time in pausa pranzo. Siete anche voi tra quelli che devono scegliere tra le opzioni per la pausa pranzo fuori casa? Raccontateci nei commenti perché è la vostra opzione preferita!

     

    Angela, con passaporto friulano e cuore bolognese, vive a Udine e si occupa di giornalismo e comunicazione in ambito culturale e sociale. Ha pubblicato due libri e dal 2016 collabora con Il Giornale del Cibo, dove scrive di sostenibilità, sociale e food innovation. Il suo comfort food sono i tortelloni burro e salvia, per i quali ha imparato a fare la sfoglia, condividendoli ogni volta che ne sente il bisogno.

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