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Servizio mensa e buoni pasto: quanti italiani ne usufruiscono?

Angela Caporale
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    La pausa pranzo in mensa è soltanto un miraggio per almeno la metà degli italiani. Più diffusi sono sicuramente i buoni pasto, che rappresentano una via di mezzo, perché consentono al lavoratore dipendente di pranzare in alcuni locali convenzionati con la libertà di scegliere come comporre il menù.

    Un’occasione persa, almeno per ora, poiché questi servizi non sono soltanto un vantaggio dal punto di vista economico, ma anche da quello della salute. È ancora debole, purtroppo,  la duplice consapevolezza che esista un diritto alla pausa pranzo ancora largamente disatteso, e che la composizione e l’equilibrio nutrizionale del pasto centrale della giornata sia fondamentale per mantenere sano l’organismo. Vediamo, dunque, quanti italiani effettivamente usufruiscono di questi servizi e come funzionano, in particolare, i buoni pasto.

    Quanto sono diffusi servizi mensa e buoni pasto?

    Secondo i dati del Welfare Index PMI 2018, le aziende italiane si occupano della pausa pranzo dei propri dipendenti in tre maniere differenti. L’8,1%, infatti, ha una propria mensa aziendale dove i dipendenti possono consumare i pasti. Percentuale simile, ma in netta crescita rispetto alla rilevazione precedente, è quella delle mense o dei ristoranti convenzionati: nel 2017, infatti, l’8,3% delle aziende aveva scelto questa opzione per alleggerire i costi e garantire il servizio ai dipendenti, nel 2015 erano poco più della metà, il 4,7%. Infine, il 10,5% delle imprese (private e coinvolte nell’indagine) offre ai lavoratori i buoni pasto.

    Queste tre opzioni non si occupano, naturalmente, di tutti i lavoratori. Esistono, infatti, delle categorie che in Italia non possono usufruire del servizio mensa. È il caso, per esempio, dei lavoratori part time. Una sentenza della Cassazione (n.4661/2017) ha infatti stabilito che l’azienda è tenuta a somministrare il pasto ai dipendenti che lavorano 8 ore al giorno, a meno che nel contratto non siano indicate clausole differenti.

    Esclusi dai servizi di mense aziendali e ticket sono anche i freelance, seppur con alcune eccezioni virtuose. È quanto accade, ad esempio, per i soci Acta, l’associazione italiana dei freelance, che hanno l’opportunità di acquistare a un prezzo scontato alcuni buoni pasto emessi da aziende convenzionate.

    In termini assoluti, secondo i dati raccolti dall’Associazione nazionale società emettitrici di buoni pasto (Anseb), i ticket sono stati utilizzati nel 2018 da 2,4 milioni di italiani: la maggior parte, 1,6 milioni, nel settore privato e 900.000 nel pubblico.

    Si tratta di informazioni in linea con quanto raccolto anche da Il Giornale del Cibo che, nel mese di dicembre, ha chiesto ai lettori di condividere la loro esperienza: solo tre persone su dieci lavorano in un’azienda che offre un servizio mensa di vario tipo, mentre tutti gli altri dichiarano che il pasto è a carico del dipendente.

    mensa aziendale

    wavebreakmedia/shutterstock.com

    Buoni pasto: come funzionano in Italia

    È sempre l’Anseb a fotografare l’uso che viene fatto dei buoni pasto in Italia: nel 70% dei casi, infatti, il lavoratore li impiega per pranzare in bar, gastronomie e ristoranti, mentre nel 30% dei casi vengono utilizzati nel circuito della grande distribuzione. Nel complesso, si stima che in Italia sono 150.000 gli esercizi commerciali convenzionati con almeno un distributore di ticket ristorativi e il 40% dei loro introiti sono legati proprio all’utilizzo dalle pause pranzo dei lavoratori.

    Le caratteristiche del buono pasto (cartaceo oppure digitale) sono determinate per legge:

    • non si può convertire in denaro;
    • si può utilizzare solo per beni gastronomici;
    • è personale e non cedibile, infatti su ciascuno è indicato il codice fiscale del destinatario ed è richiesta una firma per l’impiego, nonché il timbro dell’esercizio dove viene usato;
    • a differenza del servizio mensa classico, si possono distribuire a tutto il personale aziendale, compresi dipendenti part time, tirocinanti e stagisti.

    Si tratta, in pratica, di un buono con un valore determinato assegnato a un dipendente per poter fare spese legate all’alimentazione a prezzi ridotti.

    pagamento con buoni pasto

    Photomaxx/shutterstock.com

    Non solo pranzi, ma anche la spesa

    Una novità introdotta da un decreto del Ministro dello Sviluppo Economico nel 2017 è quella che consente l’utilizzo di più buoni in un solo giorno. Il limite è fissato a otto ticket giornalieri che possono, quindi, più agevolmente essere utilizzati non soltanto nei ristoranti, ma anche nei supermercati.

    Il limite è sempre lo stesso: dev’essere utilizzato per acquistare prodotti gastronomici, mentre gli altri beni per la casa non sono validi. Questa innovazione, fortemente promossa dalle catene di supermercati, va nella direzione di un sostegno sempre più ampio ai dipendenti da parte delle aziende. In questo modo, infatti, è possibile supportare non soltanto i lavoratori, ma anche le loro famiglie, alleggerendo il peso economico della spesa settimanale.

     

    Un’opportunità preziosa che contribuisce alla tutela di un diritto che spetta ai lavoratori. Come funziona la pausa pranzo sul vostro posto di lavoro? Raccontatecelo nei commenti!

    Passaporto friulano e cuore bolognese, Angela vive a Udine dove lavora come giornalista freelance. Per Il Giornale del Cibo scrive di attualità, sociale e food innovation. Il suo piatto preferito sono i tortelloni burro, salvia e una sana spolverata di parmigiano: comfort food per eccellenza, ha imparato a fare la sfoglia per poterli mangiare e condividere ogni volta che ne sente il bisogno.

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