Uno studio italiano allunga la vita della pasta fresca fino a 120 giorni
Combattere ogni forma di spreco alimentare è la priorità sia dei consumatori che delle aziende, sempre più sensibili alla tematica. Per questo, si stanno cercando nuovi modi per evitare di buttare cibo: attraverso app per riciclare gli avanzi, come Too Good To Go, o packaging innovativi che allungano la shelf-life del prodotto… o ancora, l’aggiunta di “batteri buoni” alla pasta fresca per farla durare più a lungo, fino a 30 giorni in più!
Quest’ultima novità arriva da uno studio italiano guidato dall’Istituto di Biomembrane, Bioenergetica e Biotecnologie Molecolari del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IBIOM-CNR), in collaborazione con l’Università Aldo Moro di Bari e con il laboratorio privato Food Safety Lab. Vediamo come si è svolto e quali sono le possibilità!
Pasta fresca: un prodotto facilmente deperibile
Ah, la pasta fresca! Buonissima fatta in casa, ma non sempre è possibile mettersi lì a tirare la sfoglia per fare tagliatelle, ravioli e così via. Per chi non ha tempo o voglia di farsela da sé, la scelta è ampia: sono tantissimi, infatti, i formati di pasta fresca in commercio.
Quella industriale – termotrattata e conservata alla temperatura corretta – ha una durata di conservazione di 30-90 giorni. Tuttavia, dopo il confezionamento la sua shelf-life dipende dai tassi di sopravvivenza microbica ai trattamenti termici e dal contenuto d’acqua che la rendono facilmente deperibile e vulnerabile ad attacchi microbici.
Da cosa dipende la stabilità microbica della pasta fresca industriale, quindi? Da diversi fattori, come:
- dal trattamento termico (equivalente alla pastorizzazione);
- dall’utilizzo di conservanti (sintetici);
- dal confezionamento in film plastici a effetto “barriera” che mantengono l’atmosfera protettiva (di solito costituita da azoto, ossigeno e anidride carbonica);
- dal mantenimento della catena del freddo e dell’adeguata temperatura di conservazione.
Se tutti questi parametri vengono rispettati, si garantisce un prodotto sicuro la cui conservabilità è assicurata per il tempo indicato, ovviamente al riparo da contaminazioni o proliferazione di microrganismi.
Ma se si potesse allungare la vita della pasta fresca di oltre un mese e, contemporaneamente, assicurare un prodotto clean label, ossia senza l’impiego di ingredienti artificiali o sintetici? Ed è qui che interviene lo studio italiano!
Allungare la conservabilità della pasta fresca con batteri buoni: lo studio italiano
Pubblicato sulla rivista Frontiers in Microbiology, lo studio italiano mirava a migliorare la qualità microbica, la sicurezza e la durata di conservazione della pasta fresca utilizzando un approccio innovativo che tiene conto di due tecniche:
- l’aggiunta di bioconservanti nella semola, ossia microrganismi antimicrobici nell’impasto. Quali? Si tratta di probiotici – come il Lactobacillus acidophilus, Lactobacillus casei, Bifidobacterium spp. e Bacillus coagulans –, batteri benefici naturalmente presenti nel nostro intestino, in grado di contrastare la diffusione dei batteri “nocivi” che invece accelerano la degenerazione degli alimenti.
- La variazione del confezionamento in atmosfera modificata (MAP) solitamente contenuta nelle confezioni, rimuovendo l’ossigeno per sostituirlo con un inedito mix di altri gas.
Non solo, perché anche l’imballaggio stesso è stato ripensato ad hoc, per avere un effetto ad alta barriera e diminuendo l’uso della plastica.
L’obiettivo era di ridurre la crescita di microrganismi che sopravvivono ai trattamenti termici mantenendo però intatte le proprietà organolettiche tradizionali e garantendo la qualità igienica della pasta fresca. Il test è stato svolto su pacchi di trofie: sono state realizzate tre varianti di pasta fresca utilizzando il protocollo tradizionale (il set di controllo), poi due set che prevedevano uno l’utilizzo di un MAP sperimentale e l’altro sia il MAP sperimentale che le colture bioprotettive.
Pasta fresca più a lungo e più sicura: i risultati dello studio
Livelli di anidride carbonica in diminuzione nel corso del periodo di conservazione di 90 giorni e crescita di muffe visibili: questo mostra di solito la pasta confezionata in modo convenzionale. Invece, i due set sperimentali analizzati e monitorati dallo studio hanno mostrato un’atmosfera quasi stabile e nessuna crescita di muffe per oltre 120 giorni.
I risultati indicano infatti che l’impiego del MAP sperimentale, l’imballaggio ad alta barriera e i bioconservanti hanno agito in modo sinergico per controllare il deterioramento microbico della pasta fresca durante la conservazione refrigerata a 4°C. Secondo i ricercatori, possono essere introdotti al livello industriale con un aumento di 30 giorni di shelf life rispetto agli imballaggi MAP convenzionali a bassa barriera, “con potenziali benefici sull’economia e sull’ambiente, stimolando l’innovazione nei modelli di produzione esistenti”.
Quale sarebbe quindi il vantaggio per il consumatore? A fronte di una tendenza a ridurre la frequenza degli acquisti e di buttare cibo, avere un prodotto che dura più a lungo, più sicuro dal punto di vista del mantenimento delle caratteristiche organolettiche, e che senza conservanti di sintesi può essere particolarmente importante.
Perciò, non ci resta che attendere ulteriori sviluppi e intanto augurare… lunga vita alla pasta!