orange wines

Un ritorno alle origini: cosa sono gli orange wines e come si producono?

Gabriele Agnelli
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    Mai sentito parlare di “orange wines”? Negli ultimi anni sono tornati di tendenza e se ne parla sempre di più, per questo motivo è probabile che molti di voi, wine lovers e non, abbiano sentito nominare almeno una volta questa categoria di vini, anche conosciuti come vini macerati. Questi infatti, nonostante siano prodotti con uve a bacca bianca, seguono un metodo di produzione davvero particolare e antico, che conferisce loro un caratteristico colore aranciato o ambrato.

    Ma come vengono prodotti esattamente? E quali caratteristiche avranno alla fine del processo? Scopriamolo insieme!

    Orange wines: cosa sono?

    La base di partenza sono uve a bacca bianca, ma che seguono il metodo di produzione dei vini rossi, che consiste nel mantenere il mosto a contatto con le bucce (e a volte anche con i raspi), facendole macerare per un periodo che può variare da alcuni giorni ad alcuni mesi. Il risultato? Un caratteristico colore arancione o ambrato, da cui poi questi vini prendono il nome. Ma non solo, perché seguendo questa tecnica si andrà a ottenere un vino dotato di un’elevata complessità e struttura, data principalmente dalla presenza di tannini, unita però a freschezza e sapidità.

    Sarakhan Vadym/shutterstock.com

    In genere vengono utilizzate uve coltivate seguendo il metodo di agricoltura biologica e talvolta quella biodinamica, con il minor intervento possibile da parte dell’uomo, dato che tutto quello che è presente sulle bucce successivamente si ritrova nel vino. Fondamentali nella produzione degli orange wines, inoltre, sono altri due elementi:

    • le caratteristiche dell’uva: è bene preferire l’utilizzo di bacche che siano predisposte a subire macerazione. Si andrà quindi a utilizzare quel tipo di uva caratterizzata da una buccia molto spessa e con elevato potenziale tannico e colorante. Con queste proprietà, in Italia, troviamo la ribolla gialla in Friuli Venezia Giulia, la garganega in Veneto, il trebbiano in Toscana e il verdicchio nelle Marche;
    • la durata con cui il mosto rimane a contatto con le bucce. Non c’è una regola precisa e solitamente la durevolezza è a discrezione del produttore in base alla propria sensibilità ed esperienza. Macerazioni brevi prediligono l’estrazione del colore, come per esempio nella produzione dei rosè, in cui si ha una colorazione rosata e un tannino e una struttura quasi inesistenti; al contrario, lunghe macerazioni portano a un vino con maggiore astringenza e struttura, come è il caso degli orange wines.

    Dove sono nati gli orange wines?

    Gli orange wines non sono la moda del momento, ma hanno origini antichissime che risalgono a migliaia di anni fa. La nascita di questo prodotto è da attribuire all’attuale Georgia dove, come da tradizione, si effettua ancora la vinificazione all’interno dei kvevri (anche kwevri o qvevri), ovvero contenitori in terracotta di forma ovale dove il vino è posto a invecchiare. Un metodo di vinificazione definito ‘in argilla’, che consisteva nel versare il succo d’uva, le bucce e i raspi all’interno di questi contenitori che venivano poi sigillati e sotterrati per circa sei mesi fino a completa maturazione del vino. Questa pratica era molto comune in Georgia, tanto che nel 2013 è stata riconosciuta dall’Unesco fra i beni Patrimonio dell’Umanità.

    Vladimir Kachanov/shutterstock.com

    La “riscoperta” degli orange wines in Italia

    Fino agli anni Sessanta in Italia, quello della fermentazione sulle bucce era un metodo di lavorazione dell’uva bianca molto popolare. Ma come mai allora si parla di una “riscoperta” degli orange wines? Questo metodo, infatti, è stato messo da parte a causa della nascita del vino industriale. Con l’avvento di tecnologie, come i lieviti selezionati, le macchine pigiadiraspatrici, i serbatoi in acciaio inox a temperature controllate e le presse soffici, è stato possibile cominciare a produrre il cosiddetto “vino bianco carta”, caratterizzato da un colore pallido, limpido e con aromi e sapori di frutta fresca. Questa novità ha portato presto alla standardizzazione dei vini bianchi in Italia, così come li conosciamo oggi.

    Tuttavia, a partire dagli anni Novanta, a Oslavia, un piccolo sobborgo di Gorizia, nell’area del Collio, alcuni produttori si trovano ad avere a che fare con una tipologia di uva a bacca bianca dalla polpa neutra e dalla buccia spessa e consistente come la ribolla gialla. Tra questi ci sono anche Joško Gravner e Stanko Radikon, considerati i pionieri degli orange wines in Italia in quanto sono loro a rendersi subito conto che, nella produzione dei “vini bianco carta” a partire da queste uve, si andavano a eliminare tutte le sostanze presenti nella parte esterna dell’acino. Si andavano così a ottenere vini scarichi di colore e con poca struttura: meglio quindi abbandonare il metodo di vinificazione industriale per tornare alla più antica macerazione.

    Vladimir Kachanov/shutterstock.com

    Fu per questo motivo che lo stesso Gravner, nel 2000, decise di andare in visita per la prima volta in Georgia, considerata la ‘culla del vino’, per apprendere al meglio la vinificazione in anfora e acquistando, col passare degli anni, abbastanza kvevri per far fermentare tutta la sua produzione di vino.

    Orange (wines) is the new black? Da Oslavia la rinascita dei vini bianchi macerati

    È il 2010 quando tutti e sette i produttori di Oslavia – Il Carpino, La Castellada, Fiegl, Dario Prinčič, Primosic, Radikon e Gravner – decidono di dare vita all’Associazione Produttori Ribolla di Oslavia (APRO), con l’obiettivo di tutelare il territorio attraverso la ribolla. Per lo stesso motivo nel 2018 nasce RibolliAMO, un evento dedicato proprio alla ribolla gialla, organizzato sempre nel mese di ottobre, quando l’uva si trova a “ribollire” appunto sotto le bucce.

     

    A tal proposito, alla prima edizione, i sette produttori hanno presentato un disciplinare per promuovere la Ribolla di Oslavia come vino a Denominazione di Origine Controllata e Garantita (DOCG) e, successivamente, per promuovere il turismo enogastronomico di Oslavia, hanno posizionato sette panchine di colore arancione (per richiamare l’orange dei vini) nei luoghi più suggestivi e nascosti del borgo con lo scopo di spingere il visitatore a trovarle e ad ammirare il paesaggio in cui si trovano.

    Il caso di Oslavia dimostra come enogastronomia e valorizzazione di un territorio siano uniti da un filo doppio. La rinascita dei vini bianchi macerati nel Collio ha infatti portato alla diffusione di questi in Slovenia e in tutta Italia, arrivando poi ad altri paesi europei, come Francia e Germania. E oggi sono sempre di più le aziende produttrici e i wine lovers che guardano con interesse ai vini macerati, e negli scaffali delle enoteche iniziano ad apparire nuove proposte “arancioni” provenienti da varie regioni italiane.

    Avete mai sentito parlare di orange wines? Li avete mai assaggiati?

     

    Fonti

    ribolladioslavia.it
    Vinetia magazine, rivista AIS. Orange Wine – La rivoluzione del vino inizia dal colore

    Gabriele è nato ad Abano Terme e vive a Padova. Laureato in Scienze e Cultura della Gastronomia e Ristorazione all'università di Padova, attualmente lavora come Chef de Rang per un rinomato bistrot della provincia patavina. Il suo piatto preferito è la ribollita (ma solo quella di sua mamma). Per lui in cucina non dovrebbero mai mancare la curiosità, la voglia di sperimentare e il rispetto per la materia prima.

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