Cagliari e i suoi sapori, tra semplicità e tradizione: 12 piatti da gustare

Roberto Caravaggi
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    Cagliari è capoluogo di una regione dalla forte identità culturale. L’entroterra contadino con la sua vocazione pastorale è l’anima della Sardegna e la sua influenza arriva dai piccoli borghi di campagna fino alle città. A Cagliari poi quest’essenza incontra e si fonde con la presenza del mare. Il risultato è una città aperta al mondo ma ben salda nelle sue radici, tanto nel modo di vivere quanto nelle abitudini, incluse quelle culinarie. Ci sono dunque i sapori rustici, come le panadas o il mazzamurru, ci sono quelli d’ispirazione marittima e ci sono anche le paste della tradizionefregula e malloreddus su tutte – dov’è evidente la predilezione per il grano duro. In ogni caso, l’elemento comune è la sobrietà, ovvero una cucina senza troppi fronzoli, che bada molto alla sostanza, com’è nello spirito di questa terra. E allora non indugiamo oltre e iniziamo l’esplorazione dei piatti e delle specialità più rappresentative di Cagliari.

     

    Mare, terra e grano duro: le tante anime della Sardegna nella cucina cagliaritana

    Sviluppata su sette colli, cui corrispondono altrettanti quartieri, Cagliari è un arzigogolato saliscendi tra bastioni e monumenti, strade trafficate alternate ad ariose vie pedonali e vicoletti. Qui, in particolare, è tutto un brulicare di bar, ristoranti, pub e locali da aperitivo in cui si esprime la vivacità di una città al contempo turistica e universitaria e una variegata proposta enogastronomica. Se lungo via Sardegna e nei vicoli che insistono intorno a Sant’Eulalia si incontrano tanti punti di riferimento della cucina locale, corso Vittorio Emanuele è un mosaico di ispirazioni regionali, tra cui pizzerie napoletane, trattorie toscane, specialità emiliane, hamburgerie e tante altre proposte che spaziano dal tradizionale al contemporaneo. E ancora, sul lungomare del Poetto, il litorale cittadino per eccellenza, si concentrano suggestivi ristorantini in un contesto dove il mare è protagonista a tutto campo. Senza dimenticare il Mercato di San Benedetto che, inaugurato nel 1957 nel quartiere Villanova, vanta di essere non solo il primo mercato coperto d’Italia, ma anche – coi suoi oltre 8000 metri quadri di superficie suddivisa su due piani – il più grande d’Europa. Per ogni buongustaio qui c’è davvero l’imbarazzo della scelta. Proveremo dunque a darvi una traccia utile a non perdervi in questo mare di sapori coi nostri suggerimenti su cosa mangiare a Cagliari.

    Pizzetta sfoglia

    Alessio Orru/shutterstock.com

    Partiamo da una specialità che è propria del capoluogo sardo e che proprio da qui si è poi diffusa al resto dell’isola. Si tratta della pizzetta cagliaritana, popolarmente nota come pizzetta sfoglia: un fagottino di pasta sfoglia dalla forma discoidale, in genere dai 6 ai 10 centimetri di diametro per 2-3 centimetri di spessore, che racchiude un ripieno di passata di pomodoro, acciuga e cappero. Questa la versione più diffusa, che nel 2022 è stata inclusa nel registro PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali) del MIPAAF. Accanto ad essa, nei bar e nelle caffetterie, si trova spesso la variante farcita soltanto con passata di pomodoro e origano. Gioca su un doppio contrasto di consistenza e di gusto. Da un lato, infatti, la croccantezza superficiale della sfoglia si fa via via friabile in bocca, fino a incontrare una morbidezza interna accentuata dall’umidità del ripieno. Dall’altro, la nota acidula della passata di pomodoro, insieme alla sapidità del cappero e quella ancora più spinta dell’acciuga, fanno da contraltare alla rusticità tendente al dolce della pasta sfoglia. Presente in quasi tutti i bar e le caffetterie di Cagliari, la pizzetta sfoglia è protagonista non solo di merende e aperitivi, ma anche della colazione.

    Panada

    Paolo Certo/shutterstock.com

    Tradizionalmente preparata in occasione di festività e ricorrenze, la panada è una torta salata alta, rotonda, chiusa in superficie e dalla sostanziosa farcitura. Il nome deriva dal latino panem e identifica la caratteristica dell’involucro esterno, simile appunto a una pasta di pane. In realtà si tratta della cosiddetta pasta violata, ovvero un composto di semola di grano duro, strutto, acqua e sale. Dopo averla impastata, lavorata e fatta riposare, la si adagia in una tortiera, vi si dispone sopra il ripieno e infine la si ricopre con un altro strato di pasta, chiudendola bene ai bordi. Elemento caratteristico della panada è rifinire questa chiusura creando un ricamo dalla forma di intreccio che corre lungo tutto il diametro. Si cuoce tipicamente in forno e si presenta con una superficie esterna ben dorata, liscia e leggermente convessa al centro. Tra le farce più in uso, quella a base di carne d’agnello o con anguilla e patate, tipica della vicina località di Assemini. Non mancano le versioni vegetariane, ad esempio coi funghi o coi carciofi. Per la sua opulenza, una fetta di panada può essere considerata a tutti gli effetti un piatto unico. È molto popolare tuttavia anche la versione piccola, detta panadina e del tutto simile (eccezion fatta per la forma) all’empanada argentina, che si presta quindi ad essere un ottimo street food. Oltre alle gastronomie cittadine, panadas di ogni dimensione e farcitura si possono trovare presso il mercato di San Benedetto. 

    Cosa mangiare a Cagliari: la fregula

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    Una tipologia di pasta secca identitaria della Sardegna è senza dubbio la fregula. Si tratta di palline di semola di grano duro, che nell’aspetto ricordano molto il cous-cous. Di diametro compreso in genere tra 2 e 6 millimetri, dopo la cottura in acqua bollente e salata, viene condita in vari modi. La più tipica è la fregula con le cocciule, ovvero le arselle sarde, oppure con un misto di molluschi e crostacei spolverati di zafferano e pangrattato. A coronamento di questo trionfo di sapori autoctoni, suggeriamo di innaffiare il tutto con un calice di Cagliari DOC Vermentino, bianco delicato che rispetta i sapori di mare e li supporta con un tocco di sapidità.

    Malloreddus

    La semola di grano duro è da sempre parte integrante della cultura sarda legata al cibo. E oltre alla sopracitata fregula, trova espressione attraverso i malloreddus. Noti anche come “gnocchetti sardi”, sono una pasta corta dalla forma di conchigliette rigate. Da tradizione la rigatura si otteneva premendo i cuscinetti di pasta su un setaccio di paglia o di giunco. La conformazione concava li rende ideali per raccogliere un sugo corposo, come quello dei malloreddus alla campidanese, la ricetta regionale più tipica e legata all’area del Medio Campidano. Di fatto è un ragù di salsiccia sarda e pecorino. I malloreddus si prestano tuttavia a sposare tanti abbinamenti di gusto tra cui, ad esempio, bottarga e Zafferano di Sardegna DOP.

    Culurgiones

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    Nonostante non siano prettamente legati a Cagliari, i culurgiones sono immancabili protagonisti nei menù dei ristoranti locali. Rappresentano, del resto, un’altra delle specialità identitarie della Sardegna. Sono ravioli di pasta fresca di semola caratterizzati dalla tipica chiusura intrecciata a spiga. Le varietà di farciture e condimenti si sprecano e cambiano molto a seconda del territorio, ma la più tradizionale prevede un ripieno a base di patate schiacciate, pecorino fresco e menta. Dopo averli sbollentati, si servono con un condimento di sugo di pomodoro, pecorino e basilico.

    Mazzamurru

    Ecco un’altra eredità della cucina povera: questa ricetta nasce infatti dalla necessità di recuperare il pane raffermo, alla maniera di tante altre specialità territoriali, come la panzanella toscana. Il mazzamurru sardo consiste in fette di pane di semola raffermo da far rinvenire in acqua bollente o in un brodo di carne per poi disporle a strati in una pirofila alternandole a sugo di pomodoro e pecorino grattugiato. Si cuoce in forno e si presenta quindi come una sorta di lasagna. Essendo un piatto di recupero, tuttavia, ogni famiglia l’ha interpretato a modo suo ed esistono quindi diversi modi di prepararlo. In alcuni casi, ad esempio, il pane viene fatto rinvenire direttamente nel sugo di pomodoro e c’è anche chi evita il passaggio in forno servendo semplicemente le fette ricoperte col sughetto caldo e il pecorino. 

    Burrida a sa casteddaia

    Il nome originale fa riferimento all’antico modo di identificare Cagliari nel dialetto locale, ovvero Casteddu, per via delle mura difensive che cingevano la città e da cui svettavano le torri fortificate. Burrida a sa casteddaia sta quindi per “burrida alla cagliaritana” e consiste in una zuppetta di gattuccio di mare. Quest’ultimo è una sorta di squaletto molto diffuso nei mari della costa sud della Sardegna. I tranci di pesce vengono innanzitutto lessati in acqua aromatizzata. Una volta scolati si ripassano in una rosolatura di olio, aceto, noci tritate, aglio e i fegatini del gattuccio stesso. Si copre poi tutto con una pellicola e si lascia riposare in frigorifero per 12-24 ore. In questo modo la polpa del pesce s’intenerisce e assorbe al meglio gli umori del condimento.

    Cocciula e cozzas a sa schiscionera

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    Tanta semplicità per un piatto in cui a parlare è il mare: questo il biglietto da visita delle arselle e cozze alla schiscionera, che nel dialetto locale sta per “saltate in padella”. Dopo aver pulito e spurgato i molluschi, si fanno aprire i gusci cuocendoli in un tegame a fuoco lento. Quindi si uniscono a un fondo di aglio, olio e prezzemolo e si completa la cottura a fuoco vivo per 10-15 minuti. Solo alla fine si spolverizza il tutto con pangrattato e si serve con del pane bruschettato o, in alternativa, delle fette di pane carasau. 

    Porceddu

    Come detto in apertura, nonostante sia una città di mare, anche Cagliari risente dell’anima contadina sarda. Tra le specialità a testimonianza di questo troviamo il porceddu. Si tratta del maialino da latte, ovvero un esemplare di suino giovane nutrito quasi esclusivamente di latte materno e dal peso intorno ai 7 Kg. È il “mangiare delle feste” più identitario di tutta la Sardegna, che le famiglie di pastori usavano preparare in occasione della Pasqua o di altre particolari ricorrenze. Dopo essere stato opportunamente pulito, il maialino viene infilzato longitudinalmente su uno spiedo e cotto alla brace. La cottura è un aspetto fondamentale: deve essere lenta, costante e indiretta. Esporlo a una distanza troppo ravvicinata dal fuoco rischierebbe infatti di bruciarlo o comunque di rovinare la qualità della carne. Per questo motivo la preparazione impiega circa quattro ore. Salato a metà cottura e insaporito con un mix di erbe aromatiche, tra cui mirto, timo, menta e rosmarino, deve presentare un’appetitosa crosticina croccante all’esterno rimanendo invece tenero e succoso nella parte interna. Ideale accompagnamento a questi sapori, un Cagliari DOC Monica, vino rosso autoctono caratterizzato da corposità e morbidezza al palato.

    Seada

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    Noto anche come sebada, è il dolce più conosciuto e diffuso in tutta l’isola. Il suo ingrediente principe, ovvero il formaggio pecorino, lascia intuire il legame con la tradizione pastorale sarda. Di fatto si tratta di due sottili sfoglie d’impasto costituite da semola e strutto tagliate in forma rotondeggiante e chiuse su una farcia di pecorino lavorato con scorze d’agrume (limone e arancia). Il tutto viene poi fritto in abbondante olio di semi – che in questo ha ormai preso il posto del tradizionale strutto – fino a doratura e infine cosparso di miele. La rusticità dell’involucro di pasta esalta il contrasto di sapori tra il pecorino, che in cottura tira fuori un’importante nota acidula accentuata dalle essenze agrumate, e la dolcezza del miele. A questo proposito, il più tipico è quello di corbezzolo, arbusto caratteristico della macchia mediterranea ampiamente diffuso in terra sarda.

    Pardula

    Tipico dolce legato alla tradizione pasquale, la pardula consiste di un cestino di pasta di semola, strutto e albume d’uovo con al centro un ripieno di crema di ricotta, zucchero, tuorli, zafferano e scorze di arancia e limone. Il particolare modo di lavorare la sfoglia, dapprima tagliata in dischetti rotondi, quindi sollevata e pizzicata ai bordi fino a farla aderire al nucleo centrale di crema, ne caratterizza l’aspetto. Il giallo del ripieno da cui si allungano le punte di pasta pizzicate fa sembrare infatti le pardulas (così si chiamano al plurale) dei piccoli soli. Inserita nell’elenco dei PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali) sardi, viene cotta al forno e spolverata di zucchero a velo. Nel nord della Sardegna esiste un dolce simile, chiamato casadina, il cui ripieno prevede però il pecorino fresco al posto della ricotta.

    Papassinu

    Come altri dolci regionali preparati in occasione della festa di Ognissanti, la tradizione cagliaritana è legata ai papassinu. Il nome dialettale fa riferimento all’uva passa, che è l’ingrediente protagonista di questi dolcetti di pasta frolla, che prevedono spesso l’aggiunta di noci, mandorle, miele e scorza di limone. Le varianti sono numerose, sia riguardo l’aggiunta di spezie e aromi, quali la cannella e il finocchietto, sia per la forma: romboidali, ovoidali o a losanga. L’elemento irrinunciabile, tuttavia, resta l’uva passa. Cotti in forno e spesso glassati, si trovano ormai in ogni periodo dell’anno.

     

    Questo ricco e variegato menù cagliaritano merita un’ideale conclusione con un bicchierino di liquore di Mirto, altro prodotto-bandiera della Sardegna. Adesso non resta che passare dalla teoria alla pratica: da quale delle specialità descritte iniziereste il vostro percorso di degustazione?


    Immagine in evidenza di: Alessio Orru/shutterstock.com

     

    Nato a Milano, vive da sempre a Locate di Triulzi, nella provincia sud del capoluogo lombardo. Oltre a collaborare con alcune testate giornalistiche locali è food blogger per storiedifood.com, dove racconta soprattutto di specialità e piccole realtà artigianali. Il suo piatto preferito è la piadina romagnola perché, nella sua semplicità, sa appagare come poche altre cose.

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