Mirto di Sardegna storia e produzione

Mirto, un infuso di Sardegna

Roberto Caravaggi
2 minuti

     

    Tra i tanti prodotti enogastronomici della tradizione sarda ce n’è uno in particolare che ne sa catturare l’essenza concentrandola in un liquore. Stiamo parlando del Mirto di Sardegna, un estratto alcolico delle bacche di mirto, arbusto che cresce spontaneamente in tutta l’isola e che era noto già in tempi antichi per le sue innumerevoli proprietà. L’uso di farne un liquore amabile nel gusto e dalla spiccata attitudine digestiva ha preso piede nelle case di tante famiglie sarde che ne detengono l’antico sapere gelosamente custodito nella propria ricetta. Ma l’apprezzamento ha saputo travalicare i confini regionali, grazie anche all’attività di un’associazione di produttori che si è dotata di regole e controlli per dare un futuro a questa tradizione, senza tuttavia tradirne l’anima artigianale. E, soprattutto, per far conoscere a tutti il Mirto, un infuso di Sardegna. Vi va di scoprirlo con noi?

    Dalla mitologia greca ai giorni nostri: le tante vite del mirto

    Cos'è il Mirto di Sardegna

    @associazioneproduttoridimirto

    Attestazioni storiche certe non ce ne sono, ma pare che il mirto fosse già noto in tempi antichi. Per la mitologia greca era una pianta sacra a Venere, mentre sia i greci sia i romani ne utilizzavano gli estratti per preparare decotti, pomate e unguenti a cui venivano attribuite proprietà medicamentose. In epoca medievale, invece, i profumieri ne ricavavano delle essenze e, ancora, nel corso del tempo ha trovato impiego nella colorazione dei tessuti o come inchiostro per la scrittura. 

    Solo in secoli più recenti (presumibilmente l’Ottocento) si è diffusa la preparazione del liquore di mirto. Una pratica che si è consolidata soprattutto in ambito domestico, tramandandosi negli anni fino a diventare un prodotto identitario dell’intera regione. A coronamento di questo, l’inserimento del Mirto di Sardegna nel registro PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali) del MIPAAF, ottenuto nel 2000 anche e soprattutto grazie all’Associazione Produttori di Mirto di Sardegna, creata nel 1994 su iniziativa di quattro produttori autoctoni.

    Mirto, molto più di un ottimo digestivo

    Il Mirto di Sardegna si presenta con un intenso color nero-violaceo dai riflessi rubino. All’olfatto preannuncia già le sue caratteristiche note aromatiche, che in bocca sono ben veicolate da una dolcezza capace di ammorbidirne l’impatto alcolico. Vi si ritrovano un sentore fruttato e un piacevole retrogusto balsamico, che arriva fino al naso e ne amplifica l’effetto digestivo. Quest’ultima è la caratteristica che ne fa un ottimo liquore da sorseggiare a fine pasto, generalmente freddo, all’interno di un bicchierino ghiacciato o accompagnato da cubetti di ghiaccio.

    L’ideale è consumarlo due mesi dopo la produzione, quando esprime al meglio le sue proprietà, risultando avvolgente, balsamico e con un equilibrio ottimale tra la componente alcolica (in genere compresa tra il 30% e il 40% del volume totale) e quella zuccherina. Prima di questo termine, tende a essere più scuro e astringente. A distanza di anni, invece, rischia di perdere gradualmente le sue proprietà aromatiche.

    In cucina è utilizzato anche per la preparazione di varie ricette, tra cui ad esempio quella dei gueffus, delle palline di pasta di mandorle ricoperte di zucchero, che è usanza avvolgere in carta velina colorata, alla maniera delle caramelle. Una delle varianti di questi dolcetti prevede appunto di aggiungere un po’ di mirto all’impasto, che imprime la sua impronta sia a livello cromatico che aromatico.

    Dalla terra alla bottiglia: un infuso con dentro l’anima della Sardegna

    Tutto parte dal mirto, un arbusto sempreverde tipico della macchia mediterranea, che cresce spontaneamente soprattutto a margine dei boschi e nelle zone meno esposte al vento. In Sardegna, dove trova il suo habitat ideale, è diffusissimo e facilmente riconoscibile. Raramente supera i 2-3 metri di altezza e presenta ramificazioni dalle foglie piccole, lisce e lanceolate. Fiorisce tra maggio e luglio, vestendosi di fiori bianchi dal profumo delicato, mentre con l’arrivo dell’autunno produce bacche tonde di colore nero-bluastro, simili a quelle di mirtillo. 

    La piena maturazione viene raggiunta in genere verso fine novembre. È da questo momento, fino a febbraio, che si procede alla raccolta. Tutto viene fatto a mano, utilizzando degli appositi pettini che riescono a staccare la parte utile alla produzione dell’infuso senza danneggiare la pianta. Un altro metodo prevede la battitura dei rami attraverso dei bastoni di legno, così da far cadere le bacche sulle reti opportunamente disposte alla base degli arbusti, alla maniera di quanto avviene per la raccolta delle olive. In questo modo si staccano solo le bacche mature, mentre le altre, insieme alle foglie, rimangono intatte. 

    come si produce il Mirto di Sardegna

    Immagine di Bresca Dorada

    Dopo una scrollatura per pulirle dalle impurità, le bacche vengono portate negli stabilimenti di lavorazione. Qui vengono sottoposte a un lavaggio a freddo e quindi messe in infusione insieme ad alcool puro negli appositi silos d’acciaio. Una volta trascorso il periodo necessario, si estraggono le bacche macerate, se ne filtra il succo e lo si unisce nuovamente alla parte liquida rimasta all’interno del silos. Questa soluzione alcolica viene poi addizionata a uno sciroppo d’acqua e zucchero o miele (o, in alternativa, entrambi), fondamentale per abbassare la gradazione alcolica e ingentilire il gusto. Seguono quindi la fase di imbottigliamento e, una volta superate le verifiche del caso, la messa in commercio.

    Mirto di Sardegna: il disciplinare per assicurare lunga vita a questa tradizione

    Il liquore di mirto è diventato una tradizione popolare in Sardegna proprio grazie alla sua diffusione domestica. Ancora oggi c’è chi lo prepara in casa e custodisce gelosamente la sua “ricetta segreta”, con piccoli accorgimenti che la rendono a suo modo unica. 

    L’estensione della produzione su larga scala ha però portato alla necessità di avere delle regole per tutelare e valorizzare quello che è diventato ormai uno dei prodotti tipici della Sardegna. Proprio in questo senso è nata l’Associazione Produttori Mirto di Sardegna, che si è dotata di un disciplinare per identificare bene cosa si intende per Mirto di Sardegna. Riguardo le bacche, oltre alle modalità di raccolta, di cui abbiamo detto, è specificato che debbano essere colte fresche e unicamente nel periodo compreso tra novembre e metà febbraio. Altro aspetto fondamentale è la provenienza da arbusti di mirto rigorosamente sardo. Sono poi definiti degli aspetti inerenti al processo di lavorazione, il più importante dei quali è l’assenza di coloranti, additivi o conservanti. Bacche di mirto, alcool e uno sciroppo d’acqua e zucchero (o, in alternativa, miele): ecco dunque gli unici ingredienti del Mirto di Sardegna! 

    Mirto di Sardegna produzione

    Immagine di Bresca Dorada

    Solo dopo avere superato un protocollo di controlli per la valutazione dei parametri fisici, chimici e organolettici, stabilito in collaborazione con le Università di Sassari e di Cagliari, le bottiglie possono essere commercializzate con il marchio e il logo dell’associazione. Proprio a questo scopo è stato creato il marchio “Liquore Mirto di Sardegna Tradizionale – Associazione Produttori”, depositato nel 1997 all’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi del Ministero dell’Industria del Commercio e dell’Artigianato. Un modo semplice e immediato per riconoscere l’autenticità del prodotto e offrire quindi una garanzia al consumatore che potrà così assaporare il vero Mirto di Sardegna.

    A questo punto, dopo avervene descritto storia, caratteristiche e metodo di produzione, non trovate che la degna conclusione sia concedersi l’esperienza di sorseggiare un bicchierino di Mirto di Sardegna? Chi di voi già lo conosce e lo apprezza?


    Immagine in evidenza di: Oxana Denezhkina/shutterstock.com

     

    Nato a Milano, vive da sempre a Locate di Triulzi, nella provincia sud del capoluogo lombardo. Oltre a collaborare con alcune testate giornalistiche locali è food blogger per storiedifood.com, dove racconta soprattutto di specialità e piccole realtà artigianali. Il suo piatto preferito è la piadina romagnola perché, nella sua semplicità, sa appagare come poche altre cose.

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