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Come funzionano i buoni pasto? Risponde il presidente dell’Anseb

Angela Caporale
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    Più di 6 italiani su dieci pranzano fuori casa durante la settimana. Per molti di essi è una scelta obbligata per ragioni di lavoro e le alternative per la pausa pranzo fuori casa sono sempre le stesse: mense aziendali, ristorazione, “schiscetta”. Secondo il rapporto Fipe 2018, il 75,7% degli intervistati predilige bar, ristoranti o trattorie dove, almeno per una parte di loro, è possibile impiegare i buoni pasto. E proprio per capire meglio come funziona questo apprezzato strumento di welfare aziendale abbiamo intervistato il professor Emmanuele Massagli, presidente dell’Associazione nazionale delle Società Emettitrici dei buoni pasto (Anseb).

    Buoni pasto in numeri: quanto sono diffusi in Italia?

    Secondo i dati raccolti dall’Anseb, il mercato dei buoni pasto in Italia ha un valore di circa 3 miliardi di euro, il 40% dei quali nel settore pubblico. 90.000 aziende, organizzazioni e pubbliche amministrazioni hanno, infatti, già scelto di fornire i ticket ai propri dipendenti: in totale, si stima che sono 2,4 milioni i lavoratori che ne usufruiscono, 1,6 milioni nel settore privato e 900mila nel pubblico. “È molto difficile aggregare questi dati – spiega Massagli – perché si tratta di uno strumento che talvolta viene concordato a livello collettivo, altre volte è incluso nei regolamenti aziendali, altre ancora, ma sono casi rari, può essere anche un benefit ad personam. In generale, osserviamo come la loro distribuzione sia corrispondente a quella delle attività produttive.” Quindi, troviamo i buoni pasto maggiormente diffusi nel Nord Italia rispetto al Sud, e più spesso nelle grandi aziende che nelle piccole.

    Colpisce il fatto che, nonostante sia un benefit presente in una percentuale ancora minoritaria delle aziende italiane – meno del 30% – laddove vengono erogati, sono tra i benefit più graditi. “Quando un’azienda va bene – aggiunge l’intervistato – e si inizia a discutere a proposito di come premiare i dipendenti in aggiunta agli obblighi di legge e di contratto, viene spesso proposto il buono pasto.” Tant’è che, sempre secondo i dati raccolti dall’Anseb, il 40% di chi pranza fuori casa per via del lavoro utilizza i ticket.

    I dipendenti possono richiedere i buoni pasto?

    dipendenti buoni pasto

    Ivanko80/shutterstock.com

     

    La crescita della diffusione dei buoni pasto può passare anche attraverso le preferenze dei dipendenti. È possibile, e accade spesso, secondo quanto ci racconta Massagli, che siano gli stessi dipendenti, in gruppo, a richiedere il riconoscimento dei buoni pasto come benefit aziendale. “È importante sottolineare – spiega l’intervistato – che non possono mai sostituire la retribuzione monetaria, ma si tratta sempre di un benefit detassato sia per il lavoratore che per il datore di lavoro.”

    Vantaggioso e semplice, eppure sono tante le aziende che ancora non hanno scelto questa strada. Le ragioni sono varie, ma quando c’è a disposizione del budget per un premio aziendale o per un’erogazione aggiuntiva, secondo Massagli, “economicamente non ci sono motivi per negare il buono pasto. Spesso, piuttosto, non si vuole modificare una prassi aziendale per cui i premi sono sempre stati in moneta, oppure si vuole semplicemente mantenere le condizioni contrattuali del momento.”

    Buono pasto cartaceo e elettronico: quali differenze?

    Negli ultimi anni, al ticket tradizionale in formato cartaceo si è affiancata l’alternativa elettronica. Nel primo caso, al lavoratore viene fornito un blocchetto di buoni, da firmare al momento dell’uso ognuno dei quali ha un valore prestabilito; nel secondo, invece, riceve una card che può utilizzare tramite un POS specifico di cui è dotato l’esercente.

    La differenza non sta soltanto nel tipo di supporto per il buono pasto, ma è soprattutto nella soglia oltre la quale il servizio non genera tassazione e contribuzione. In altre parole, il buono pasto cartaceo è detassato (ovvero corrisponde ad un costo aziendale e a un valore netto per il dipendente) fino a 5,29 €, mentre la soglia per il ticket elettronico è 7 €.

    Le ragioni per cui preferire il buono pasto elettronico sono differenti. In primo luogo, l’Anseb calcola che la detassazione, introdotta il 1 luglio 2015 per rendere più fruibile questo ticket, porti un risparmio di 1,71 € a pasto per ciascun lavoratore che si traduce in un “guadagno” di quasi 400 € all’anno.

    utilizzo buoni pasto

    Viktoriia Hnatiuk/shutterstock.com

    “Il ticket elettronico – aggiunge l’intervistato – rappresenta anche una soluzione contro gli abusi. Infatti, risponde al problema per cui l’esercente che raccoglie il buono lo utilizza a sua volta per comprare alimenti o bevande per la sua attività, oppure lo fornisce a conoscenti che non ne hanno diritto. Ciò, oltre ad essere un uso improprio del buono, che è individuale e può essere utilizzato una sola volta, comporta anche un danno nei confronti dello Stato.” Con il sistema elettronico, il ticket una volta impiegato si vidima, è consumato e c’è una garanzia che non venga utilizzato di nuovo.

    Infine, c’è una questione di tempistiche: la card accelera i tempi per il lavoratore, ma anche per l’esercente, che non si trova a dover sistematicamente raccogliere tutti i buoni, contarli, preparare la fattura e inviare tutto all’emettitore per poter ricevere quanto gli spetta. Con l’elettronico questi processi vengono effettuati in automatico, con un notevole risparmio di tempo e burocrazia.

    Attualmente, il 40% dei ticket è di tipo elettronico e sono circa 75.000 i POS attivi per poter ricevere i buoni pasto di questo tipo. Il trend è di netta crescita con un raddoppio della diffusione in circa tre anni, tuttavia secondo l’associazione di categoria si potrebbe fare di più. “A nostro avviso – commenta Massagli – l’elettronico è già vecchio poiché ha bisogno comunque di un doppio supporto fisico per impiegare il buono. Tutti gli emettitori sono già pronti per il passaggio a un ticket digitale, utilizzabile tramite smartphone che semplificherebbe la procedura anche per bar, ristoranti e supermercati.” Non sarebbe, infatti, più necessario installare uno (o più) POS, ma installare l’applicazione sul proprio dispositivo con sistema operativo Android o iOs.

    pausa pranzo mensa

    JGA/ahutterstock.com

    Come funzionano i buoni pasto

    Passando al lato pratico, l’introduzione dei buoni pasto (che siano cartacei oppure elettronici) viene definita a livello aziendale, tramite il contratto di lavoro, un accordo collettivo specifico o anche in virtù di una decisione unilaterale della dirigenza, poiché non esiste un obbligo di legge a fornire i ticket ai dipendenti. Quando il datore di lavoro riconosce questo benefit ai dipendenti, solitamente a tutti, si definisce l’importo del buono pasto, si procede a stipulare un contratto con una società emettitrice e, una volta ricevuti, il lavoratore li può utilizzare negli esercizi convenzionati.

    Fino ad alcuni anni fa, la legge prevedeva che potessero essere utilizzati solo per prodotti gastronomici pronti al consumo, quindi nell’ambito della ristorazione, ma anche nei supermercati. A partire dal 2017, tale vincolo è stato superato (la norma parla ora di “bevande e alimenti”) e la platea di esercizi convenzionati è stata aperta anche ad agriturismi, ittiturismi, mercati e coltivatori diretti. “I buoni pasto servono – commenta Massagli – anche per acquistare beni non necessariamente da mangiare subito. Potenzialmente, il lavoratore può fare la spesa per preparare a casa la schiscetta per il pranzo in ufficio durante tutta la settimana.”

    Come spiega il presidente dell’Anseb, l’intenzione del Ministero dello Sviluppo Economico è stata quello di aumentare la possibilità di utilizzo: infatti, oltre alla platea dei soggetti convenzionati ha, nella stessa occasione, ampliato anche la soglia di utilizzo giornaliero. Infatti, è possibile impiegare fino a un massimo di otto buoni pasto al giorno.

    Come vengono utilizzati in Italia i buoni pasto?

    buoni spesa supermercato

    brillenstimmer/shutterstock.com

    Oggi gli italiani utilizzano in media 3 buoni pasto alla volta, ma Massagli spiega che ciò può dipendere da molti fattori differenti, a partire dal valore economico del buono. Secondo i dati dell’Anseb, questo si assesta attorno ai 6 €, una soglia inferiore a quella di altri paesi europei come Germania, Spagna e Francia, dove la media è 9 €. “È una naturale conseguenza della soglia di detassazione: sono rarissimi i casi in cui un datore di lavoro propone un buono di valore superiore ai 5,29 € per il cartaceo e 7 € per l’elettronico. Per di più, esistono ancora contratti o accordi che prevedono buoni del valore di 2 o 3 € che, naturalmente, per poter essere utili devono essere cumulati.”

    Secondo il sondaggio che abbiamo pubblicato sulla pagina Facebook de Il Giornale del Cibo, il 73% dei lettori utilizza i buoni per fare la spesa, mentre solo il 28% per la pausa pranzo. Non senza alcune note critiche, come quelle di chi denuncia di non averli mai avuti, oppure chi si schiera contro l’uso dei ticket al supermercato e sottolinea come le sia capitato spesso di perdere molto tempo alla cassa proprio perché ci sono altri clienti con i buoni cartacei in fila.

    I dati dell’Associazione nazionale delle società emettitrici di buoni pasto, però, dipingono un quadro molto differente: il ticket è utilizzato nel 70% dei casi in bar, gastronomie e ristoranti. Solo nel restante 30% finisce nella grande distribuzione. Chiediamo allora a Massagli di spiegarci il perché di questa inversione di dati. “Questa percentuale – spiega il presidente dell’Anseb – è relativa ad una stima di utilizzo reale ed è valutata al netto degli utilizzi impropri che portano alcuni esercenti e non i consumatori a impiegare i ticket nella grande distribuzione per le proprie attività.”

    Esistono, almeno in teoria, delle sanzioni per consumatori ed esercenti che non utilizzano in maniera corretta i buoni pasto, e consistono nell’annullamento del vantaggio fiscale: in altre parole, la quota del buono pasto che non fa parte del reddito imponibile del lavoratore lo diventa e, quindi, viene richiesto il pagamento di tasse e contributi. Tuttavia i costi e le modalità per un controllo capillare ed efficace sono molto elevati, di fatto non ci sono casi di applicazione di queste sanzioni, “piuttosto ciò spiega ancora una volta la ragione per cui il legislatore, e non solo, sta cercando di incentivare la diffusione dei ticket elettronici che non presentano questo problema.”

    Raccontateci nei commenti se nella vostra azienda vengono forniti i buoni pasto e come li utilizzate!

    Passaporto friulano e cuore bolognese, Angela vive a Udine dove lavora come giornalista freelance. Per Il Giornale del Cibo scrive di attualità, sociale e food innovation. Il suo piatto preferito sono i tortelloni burro, salvia e una sana spolverata di parmigiano: comfort food per eccellenza, ha imparato a fare la sfoglia per poterli mangiare e condividere ogni volta che ne sente il bisogno.

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