zuppe di pesce

Da Marsiglia all’Adriatico: la tradizione della zuppa di pesce mediterranea

Giulia Ubaldi
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    C’è un piatto in cui, più che altrove, il Mediterraneo porta con sé i suoi profumi, le sue spezie, la sua storia, ma soprattutto i suoi pesci. Generalmente nota come zuppa, in alcuni casi lo è per davvero, mentre in altri si tratta di preparazioni asciutte, da condire con un brodo a parte. Abbiamo ripercorso le varie coste mediterranee andando alla scoperta delle principali tipologie di brodi, minestre, zuppe di pesce, come la bouillabaisse di Marsiglia, il cacciucco di Livorno, la quatara pugliese o il brodetto dell’Adriatico.

    Zuppe di pesce tipiche del Mediterraneo, da Marsiglia alle coste adriatiche 

    Ciò che accomuna questi piatti, oltre alla matrice mediterranea, è l’utilizzo del pesce invenduto, cioè quello che i pescatori cucinavano a bordo o portavano a casa alle loro mogli. I motivi erano vari: la maggior parte di questi pesci, era ritenuta, erroneamente, di bassa qualità, alcuni avevano dimensioni troppo piccole, o ancora, semplicemente  erano sconosciuti e quindi non richiesti sul mercato. Non possiamo che partire dalla regina di tutti i piatti mediterranei, la bouillabaisse di Marsiglia, anche perché ha un numero e una tipologia di pesci ben precisi e codificati.

    La bouillabaisse di Marsiglia

    bouillabaisse di marsiglia

    Foto di Giulia Ubaldi

    Simbolo della cucina di Marsiglia, in realtà non si tratta di una zuppa come in tanti credono comunemente, ma di un piatto dove il pesce viene servito asciutto con brodo a parte. Per questo, per assaggiare quella vera e buona, se non si ha la fortuna di conoscere qualche pescatore marsigliese, è meglio affidarsi a indirizzi certi (non solo a Marsiglia, ma anche a Cassis), che non tradiscono la preparazione originale, come da Chez Loury Restaurant Le Mistral

    Caratteristica imprescindibile della bouillabaisse, ci racconta lo chef Bernard (che ha origini italiane), è l’utilizzo di pesce fresco, che lui ha sempre premura di prendere al porto, proprio davanti al suo ristorante. I ristoratori di Marsiglia, quando si sono accorti che ormai ognuno proponeva la bouillabaisse a modo suo (e tutti erano troppo diversi tra loro), hanno deciso di codificare sei pesci fissi sempre presenti in questa preparazione: triglia, tracina, grongo, San Pietro, rana pescatrice e scorfano. In passato cambiavano a seconda del tempo e della stagionalità, ad esempio c’erano molti più pesci di roccia, ma in casa venivano serviti insieme sullo stesso tavolo in due portate: tutto il pesce asciutto con patate da un lato e il brodo dall’altro, proprio come fanno ancora oggi i pescatori. 

    Infatti, per rispettare la vera tradizione bisogna servire la bouillabaisse in tre momenti: prima solo brodo di pesce (fatto con pomodoro, cipolla, aglio e porri) accompagnato da crostini di pane e rouille; la rouille è una salsa simile all’aioli, con aglio, olio e limone e con l’aggiunta di vari ingredienti che danno colore, quali zafferano e ricci di mare (come l’abbiamo provata noi) o uova, peperoncino, paprica, patate, fegato di rana pescatrice, etc. In un secondo momento vengono servite tre tipologie di pesce asciutto con patate e poi le altre tre con il brodo, per riprendere il modo in cui viene servito in tavola nelle case: un vassoio solo di pesce con patate e un altro solo con il brodo, che a piacimento si possono unire e abbinare.  

    La bourride provenzale

    Nel resto della Francia, soprattutto in Provenza, si è diffusa anche una variante della bouillabaisse marsigliese: la bourride. Si tratta di una preparazione simile, ma molto più delicata, che prevede solo l’utilizzo di pesce bianco quali branzino, rana pescatrice o nasello. Questi vengono messi in una pentola con sale, pepe, cipolla, timo, finocchio, allora e scorze d’arancia e cotti per un po’ con l’aggiunta di acqua calda. Secondo la ricetta originale di Reboul, il padre della cucina provenzale di cui vi abbiamo già parlato a proposito della soupe au pistou, la bourride si accompagna sempre con crostini di pane e aioli (a cui viene aggiunto tuorlo). Anche in questi, ne esistono infinite versioni, a seconda di zona, stagione e disponibilità, come ad esempio quella con il pesce di lago.

    La burrida tra Liguria e Sardegna

    Come abbiamo visto nel caso di brandacujun e brandade de morue, non stupisce trovare in Liguria piatti simili a quelli provenzali. È quello che accade anche con la buridda, o buridda, soprattutto nel savonese, dove con questo nome si indicano vari piatti a base di pesce tagliato a piccoli pezzi, quali seppie (rigorosamente con piselli), stoccafisso o baccalà, grongo, palombo, triglie, code di rospo. Come vedete, non si distaccano troppo dalle tipologie utilizzate nella bouillabaisse). 

    Ad avvalorare la nostra tesi, c’è il fatto che anche la burrida non è una vera e propria zuppa di pesce, in quanto questi vengono cucinati spesso in umido, nella tipica ricetta ligure con olive, pinoli e aromi vari. Un luogo in cui provare la burrida è Vino e Farinata di Luca e Andrea, a Savona, un locale storico dove è d’obbligo assaggiare anche la farinata bianca, cioè di grano e non con farina di ceci. La burrida compare anche in Sardegna, infine, sempre con lo stesso nome, che indica però una ricetta diversa, di accompagnamento del pesce lesso.

    Il Cacciucco di Livorno 

    cacciucco zuppa

    Ursula Ferrara/shutterstock.com

    Che il cacciucco sia roba di Livorno è cosa nota e inoppugnabile. In questo caso, però, possiamo parlare di una vera e propria zuppa, a base di molte più varietà di pesce rispetto ai piatti precedenti. Nel cacciucco, infatti, non mancano mai vari crostacei e molluschi, polpi, seppie, cicale, scorfani e tanti altri pesci. Per questo motivo, viene spesso cucinata in momenti differenti, a seconda dei diversi tempi di cottura richiesti, poi tutti gli ingredienti vengono messi nella salsa di pomodoro; il cacciucco è sempre accompagnato con fette di pane abbrustolito e agliato, posto sul fondo del piatto (come vedete, qualcosa ritorna). In origine, anche questa preparazione aveva un numero di pesci fissi che erano circa tredici 13 (che ci sia un legame con l’Ultima Cena?); oggi si sono ridotti a circa sette, come lo trovate in giro in alcuni locali di Livorno quali L’Aragosta, le Volte o la Stuzzicheria di mare. Ci sono tantissime storie e leggende legate all’origine di questo piatto, che di certo risale alla commistione di più tradizioni e comunità, vista la storia di un porto come quello di Livorno; ad esempio, c’è chi sostiene che cacciucco derivi dallo spagnolo cachuco, il nome specifico di un pesce, simile al dentice, ma che viene usato anche per indicare il pesce. in generale, così come altri sostengono invece che sia da collegare alla zuppa di pesce vietnamita canh chua cá introdotta a Livorno dai marinai di ritorno dall’Est…

    La zuppa di pesce del tirreno

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    vvoe/shutterstock.com

    Di certo anche tra Lazio, Campania e Sicilia non mancano preparazioni simili, ma nel caso delle regioni tirreniche si parla di “zuppa di pesce”. A Procida, ad esempio, ci racconta lo chef Marco Ambrosino dei 28 Posti di Milano, esiste una zuppa di razza, molto piccante e ristretta (a conferma delle nostre tesi che si tratta di preparazioni più asciutte che di minestre); e un’altra che assomiglia più a un ragù di pesci di fondale, quali grongo e murena, comune nel periodo natalizio. In Sicilia, invece, troviamo due versioni: quella palermitana e quella catanese. 

    La quatara di Porto Cesareo

    Prima di risalire verso l’Adriatico, è doverosa una tappa in Puglia, in particolare in Salento, dove invece troviamo la quatara di Porto Cesareo, la quataru ti lu pescatore. Questa zuppa di pesce, che prende il nome dalla caldaia in rame di cottura, ha similitudini e differenze con le precedenti: innanzitutto, nasce come piatto realizzato a partire dal pescato invenduto; sono sempre presenti crostacei, mitili e pesce di scoglio; infine, non ha un numero preciso né delle specie definite di pesci da utilizzare.

    Il brodetto dell’Adriatico 

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    martellostudio/shutterstock.com

    Se sul Tirreno parliamo di zuppa di pesce, l’Adriatico è invece il regno del brodetto. Questo nome deriva dalla consistenza che, a differenza della bouillabaisse, non è mai troppo asciutta. Attenzione, però, perché il brodetto è una questione calda, che infervora gli animi di tutta la costa adriatica; e ognuno è pronto a giurare che la propria sia la sola e unica versione originale, la più antica e attendibile che ci sia. Infatti, troviamo un brodetto a Termoli ma anche a Vasto, a Pescara e a Giulianova, fino alle varie declinazioni marchigiane, da San Benedetto a Fano, dove è presente con pomodoro e l’aceto ed è protetto da una Confraternita, o ancora quello De.Co. di Porto San Giorgio, dove c’è un festival tutto in suo onore. 

    Tra i brodetti più noti c’è poi quello di Porto Recanati, dove è preparato con lo zafferano e senza pomodoro, per questo ritenuto tra i più antichi; si utilizzano solo pesci pescati con reti da strascico, quindi senza cozze e vongole, ad esempio. A raccontarcelo è German Scalmazzi, amico e collega di Errico Recanati, chef del Ristorante Chalet La Rotonda 1962, uno dei rifondatori dell’Accademia del Brodetto di Porto Recanati. Ma non finisce qui: il brodetto continua anche verso nord, in Romagna e nel basso veneto, in particolare a Chioggia, poi ancora in Istria e in Dalmazia con il brudet, fino al bourdeto di Corfù, ma quello greco sarebbe un altro, immenso, capitolo. In tutti questi casi i pesci del brodetto cambiano di continuo, tranne nel caso di quello alla sangiorgese, dove sono stati codificati: sono sempre presenti sgombro, gattuccia di mare, merluzzo, suro, scorfano, San Pietro, grongo, rosciolo, merlano, sogliola, razza, rana pescatrice, tracina, gallinella di mare, pesce prete, cicale, totani, seppie, calamari, moscardini, scampi, gamberi o mazzancolle. Insomma, tutto torna. 

     

    Infine, il grande dilemma: voi che fino abbinereste con tutti questi piatti e zuppe di pesce, vengono spessi serviti con un rosso? Il nostro consiglio,lo stesso che danno cuochi e sommelier più lungimiranti, è semplicemente di scegliere quello che più vi piace.

     

    Antropologa del cibo, è nata a Milano, dove vive e scrive per varie testate, tra cui La Cucina Italiana, Scatti di Gusto, Vanity Fair e le Guide Espresso. Il suo piatto preferito sono gli spaghetti alle vongole, perché per lei sono diventati un'idea platonica: "qualsiasi loro manifestazione nella realtà sarà sempre una pallida copia di quella nell'iperuranio". Nella sua cucina non mancano mai pistilli di zafferano, che prima coltivava!"

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