La Val Formazza, tra cultura Walser, eccellenze enogastronomiche uniche e turismo slow

Matteo Garuti
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    Nel cuore delle Alpi, l’Alta Val Formazza è un esempio virtuoso di valorizzazione del territorio montano, che punta su un patrimonio enogastronomico ricco di eccellenze e su un’offerta turistica basata sugli sport invernali, caratterizzata però da un approccio slow. Ma per cosa si distingue questa valle ancora così autentica e intatta, che ha superato indenne le sirene del turismo di massa? Dopo averla visitata, conoscendone i protagonisti e i prodotti tipici, vogliamo raccontarvela concentrandoci sulla visione progettuale, improntata all’innovazione ma radicata nelle tradizioni, che grazie a una rete di sinergie ha creato un vero e proprio distretto sostenibile della qualità. Pronti a scoprire questo territorio e i suoi sapori, legati a una popolazione antica come quella dei Walser?

    Alla scoperta di una montagna diversa: la Val Formazza

    Le Alpi che non ti aspetti, con un fascino spartano e un’autenticità che sembra riportare alla montagna del passato, prima che il turismo di massa ne mutasse i connotati. La Val Formazza, cuore delle Alpi Lepontine, è la punta più settentrionale del Piemonte e della Val d’Ossola, inserita come una lama tra i cantoni svizzeri del Ticino e del Vallese. Oltre ad attirare gli amanti della natura, dello sci-alpinismo e di quello di fondo, conquista per le sue tradizioni e per le sue pregiate produzioni enogastronomiche. Questa terra di frontiera, infatti, ha conosciuto l’incontro fra la cultura italiana e i Walser, un popolo germanofono originario dell’Alto Vallese, che dal XIII secolo è presente sul territorio e tuttora ne custodisce la tipicità, nonostante l’italianizzazione forzata subita durante il ventennio fascista.

    Foto di Matteo Garuti

    Le ricette e le abitudini alimentari, legate alla sopravvivenza montanara, riflettono un’attitudine improntata a sfruttare al massimo le risorse senza sprechi, dove anche i pochi scarti rimasti servono per sfamare gli animali allevati. Gli ingredienti alla base della dieta dei Walser erano principalmente di origine vegetale – segale, patate, grano saraceno, polenta, riso e rape – mentre quelli di origine animale erano soprattutto latte, burro e formaggio. Più rara la carne – suina, bovina e di selvaggina – e diffuse le zuppe, mentre fra le eredità più significative e peculiari sul piano gastronomico spicca la panificazione. Il pane si preparava non più di due volte all’anno, in primavera e in autunno, con farina di segale impastata con sale e parte della pasta madre utilizzata in precedenza. La tradizionale miaccia (miljntscha) si cuoceva su piastre di ferro, poste direttamente sul fuoco.

    Poco conosciuta e lontana da altre realtà alpine, oggi intorno alla Val Formazza si è creata anche un’interessante rete di collaborazioni tra produttori e albergatori, a beneficio di questi come di chi cerca un’esperienza di totale immersione nel meglio che un territorio possa offrire.

    Natura, sci e tradizioni Walser

    Se la piccola “capitale” ossolana è Domodossola, bella cittadina dalla quale iniziare la salita in quota in direzione Nord verso la Val Formazza, l’ultimo borgo abitato prima della Svizzera è Riale (1.780 m), che è anche tra i più rappresentativi e caratteristici per vivere la montagna e scoprirne la cultura e i prodotti tipici locali. Questo piccolo insediamente fa parte del Comune diffuso di Formazza (Vb), che conta 14 frazioni e solo 440 residenti, con una densità di popolazione che fatica a raggiungere i 3,5 abitanti per chilometro quadrato. Meta ideale per una vacanza nella natura incontaminata, Riale è incastonata in un imponente paesaggio di alta montagna, con numerose attrazioni e possibilità per gli sport e le attività all’aria aperta. Di interesse storico e architettonico sono gli antichi insediamenti Walser della zona, con le tradizionali case in pietra e legno di larice.

    gab90/shutterstock.com

    Oltre alla ricca offerta per gli amanti del trekking estivo, con piste a quote mediamente alte la Val Formazza è un punto di riferimento per lo sci di fondo e lo sci-alpinismo, nonché per il futuro stesso di queste discipline, in quanto a quote inferiori i cambiamenti climatici rendono sempre più difficile la pratica sportiva di alto livello. Perdipiù, si tratta di attività che rispetto allo sci alpino di discesa sono certamente più sostenibili, in quanto non necessitano di infrastrutture impattanti come gli impianti di risalita, sposando divertimento e rispetto della natura.

    L’epopea dell’idroelettrico cambia la storia della valle

    L’eccezionale ricchezza di cascate, bacini d’acqua e dislivelli della Val d’Ossola, all’inizio del secolo scorso, ha spinto la nascente industria dell’idroelettrico a impiantare una serie di centrali, fondamentali per lo sviluppo del territorio, che negli anni sono arrivate a soddisfare il fabbisogno di buona parte del Nord-Ovest, almeno fino agli anni Cinquanta e Sessanta. Le centrali idroelettriche – progettate dall’architetto Piero Portaluppi in stile eclettico e tuttora in funzione – oltre a mutare il territorio, hanno influenzato a lungo termine anche il tessuto socio-economico: i contadini e gli allevatori sono diventati operai e impiegati, disincentivando la crescita del settore turistico, aspetto che si è rivelato fondamentale per conservare i tratti originari e lo spirito della valle.

    Val Formazza: territorio in rete e approccio slow al turismo, anche enogastronomico

    Negli anni recenti, la Val Formazza si è distinta per la progressiva creazione di una rete di produttori e operatori della ristorazione e dell’accoglienza, come testimonia anche il fatto che i ristoratori locali propongono esclusivamente prodotti e materie prime della zona. Considerando l’assenza di infrastrutture turistiche tipiche delle realtà alpine – funivie, seggiovie e simili – si è avviato un piano di sviluppo orientato a un’ospitalità slow, incentrata sul rapporto diretto con la montagna. Puntando sulle eccellenze locali, questa linea ha contribuito a contrastare lo spopolamento – del quale le comunità montane purtroppo sono spesso vittime – pur senza svendersi agli eccessi della speculazione di un turismo di consumo. A colpire è il rapporto stretto e affiatato tra professionisti dell’accoglienza e produttori enogastronomici, sicuramente favorito dal numero ridotto di abitanti, che per continuare a vivere un territorio così ampio e impervio non possono fare a meno di aiutarsi reciprocamente. Ad ogni modo, la Val Formazza e il suo grande potenziale di crescita beneficiano di questo senso di comunità e cooperazione diffuso tra i residenti.

    Eccellenze e protagonisti dell’enogastronomia della Val Formazza

    Ci concentreremo su tre specialità della Val Formazza, che spiccano per il loro pregio e per la particolarità dei progetti che le valorizzano.

    Il formaggio Bettelmatt

    Foto di Matteo Garuti

    Principe e icona dell’enogastronomia formazzina, questo formaggio a pasta semi cotta è una rarità “eroica”, in quanto prodotta esclusivamente da otto casari – tra i quali il giovane Gabriele Scillico, di San Michele – in sette alpeggi sopra i 2.000 metri, in luglio e agosto. La produzione annua – limitata dalle dimensioni dei pascoli, dove il bestiame viene tradizionalmente gestito in modo “nomade” – in genere non supera le 5.000 forme e la stagionatura mediamente è abbastanza breve, da 60 giorni fino a 12-14 mesi, ma non mancano le forme maturate fino a due anni, da prenotare con largo anticipo. L’aromaticità intensa, marcatamente vegetale ma equilibrata di questo formaggio si deve alla presenza dell’erba mutellina negli alpeggi, dal retrogusto amarognolo e ricca di proteine. Il disciplinare del Bettelmatt, relativamente recente, è stato fissato nel 2003.

    La riscoperta delle antiche varietà locali di patate

    Foto di Matteo Garuti

    Grazie a un lungo lavoro di recupero di antiche cultivar autoctone e di tradizione Walser, Dario Piumarta, insieme a un gruppo di coltivatori-custodi, sta preservando molte varietà di patate dalle caratteristiche diverse, ma accomunate dall’attitudine alla coltivazione in altura. Casaro e maestro di sci, Piumarta da anni esegue ricerche, raccoglie e mappa la tradizione Walser legata a questi tuberi, per secoli alla base dell’alimentazione locale, insieme alla segale e al grano saraceno. In questo modo sono nati Häpfla Frütt e il progetto Pomatt!, promosso dal Comune di Formazza, che prevede la coltivazione in quota (1.000-1.700 m), il recupero di terreni e la salvaguardia del paesaggio, in spazi difficilmente raggiungibili. Le lavorazioni sono manuali, per un’agricoltura impegnativa dove non arrivano macchine e tecnologie industriali. Occupandoci di frutti dimenticati e di radici commestibili abbiamo già affrontato il tema del recupero di antiche varietà, con le loro differenti modalità di coltivazione.

    Arrivate fino a oggi grazie all’impegno dei Walser nel tramandare i semi, tra le 16 varietà attualmente in produzione Häpfla Frütt coltiva quelle più tipiche delle colonie Walser: la Formazza, la Occhi Rossi e la Walser, che hanno ottenuto la De.Co (denominazione comunale). La prima, dalla buccia rossa, è ideale per preparare gli gnocchi; la seconda, di pasta gialla, è ottimale per gnocchi e fritture, mentre la terza dalla buccia gialla, si sposa bene con arrosti e insalate. Chiudendo il cerchio di una filiera cortissima, queste patate possono essere gustate nei ristoranti locali.

    In Val Formazza il nebbiolo si chiama prünent

    Alessandro Cristiano/shutterstock.com

    La storia della viticoltura locale, di origini antiche, è legata al prünent, la versione ossolana del vitigno nebbiolo. La riscoperta del vino in Val d’Ossola si deve a un gruppo di produttori – avviato più di vent’anni fa da Roberto Garrone e che oggi vede in prima fila il giovane Edoardo Patrone – che hanno salvato una coltivazione in passato basata su piccoli appezzamenti terrazzati. I rossi ossolani prodotti con questo vitigno in genere si caratterizzano per l’eleganza, il corpo fine ma presente, il gusto secco e il finale acidulo. La selezione clonale è stata eseguita negli anni Novanta, in collaborazione con l’Università di Torino, ma il ritorno a questa varietà autoctona ha preso piede nell’ultimo decennio. Non mancano le viti a piede franco (non innestate su radici di piante americane, come invece avviene quasi sempre da dopo l’avvento della fillossera) e prevale ancora l’allevamento a pergola, o toppia, ma per i nuovi impianti si preferisce il sistema Guyot.

    Per quanto riguarda le carni, una menzione anche per la tradizione locale della lavorazione di quelle suine – in particolare lardi e prosciutti, su tutti il crudo della Val Vigezzo – ma anche della selvaggina, di cui la zona è molto ricca, con la quale si producono pregiati salumi.

    Val Formazza: accoglienza, cucina locale e materie prime di qualità

    Possiamo citare tre protagonisti della rete di collaborazione e qualità che abbiamo descritto. Lo chef Matteo Sormani è al timone della Walser Schtuba, una locanda a quota 1.800 metri con una piccola e accogliente sala ristorante. Il menù recupera antiche ricette della cucina povera locale e della tradizione Walser, reinterpretandole in un incontro suggestivo tra il passato e un’innovazione aperta alle contaminazioni, alle sperimentazioni e alle tecniche più moderne. Nei piatti spiccano le materie prime selvatiche: carni, vegetali e soprattutto erbe, tra le quali il tarassaco, lo spinacino selvatico, i fiori eduli, la silene, il radicchio di montagna, i germogli di pino mugo e anche la corteccia di larice è utilizzata per aromatizzare. Gli abbinamenti sorprendono.

    La locanda Aalts Dorf, all’ingresso di Riale, è guidata da Gianluca Barp – bellunese e formazzino d’adozione, nonché cuoco, casaro, gestore di impianti sportivi e albergatore – e propone piatti montanari dallo stile più casalingo, in un ambiente caloroso e ideale per i turisti della neve.

    Guida escursionistica, sommelier, affittacamere e grande conoscitore della valle, Otello Facchini gestisce Zwargji (La Casa dei folletti), una piccola struttura familiare racchiusa nel borgo e dall’atmosfera intima, che ha recuperato un edificio settecentesco, restaurandolo nel rispetto dell’originario stile Walser.

    Conoscevate la Val Formazza? Vi piacerebbe andarci?

    Matteo è nato a Bologna e vive a San Giorgio di Piano (Bo), è giornalista, sommelier e assaggiatore di olio d'oliva, ha collaborato con il Dipartimento di Scienze e Tecnologie agro-alimentari dell'Università di Bologna. Per Il Giornale del Cibo si occupa di attualità, salute, cultura e politica alimentare. Apprezza i cibi e le bevande dai gusti autentici, decisi e di carattere. A tavola ama la tradizione ma gli piace anche sperimentare: per lui in cucina non può mancare la creatività, "perché è impossibile farne a meno!"

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