Quanto conta il reddito per la qualità dell’alimentazione delle persone? Intervista a Luca Falasconi

Matteo Garuti
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    Il reddito e l’istruzione incidono sull’alimentazione, una correlazione che risulta evidente in tutti gli studi sul tema. Durante le fasi di difficoltà economica, in particolare, per le fasce socio-economiche più svantaggiate il valore nutrizionale della dieta peggiora, insieme ad altri aspetti fondamentali per la qualità della vita. Ma cosa ci dicono le ricerche e in che modo si manifesta questo legame? Ne abbiamo parlato con Luca Falasconi, Docente di Politica agraria e Sviluppo rurale all’Università di Bologna e co-fondatore del progetto antispreco Last Minute Market.

    Reddito e alimentazione: cosa dicono gli studi  

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    Recentemente in rete si è aperto un dibattito sul rapporto tra reddito e alimentazione nel nostro Paese. Come stanno le cose? Secondo Luca Falasconi, “diversi studi nel corso del tempo hanno analizzato l’andamento della salubrità e della qualità alimentare nei periodi di crisi. In particolare, sono state realizzate analisi prima negli anni Novanta, poi dopo la crisi del 2008, e ancora in occasione della pandemia Covid-19 e più recentemente per misurare le conseguenze della guerra in Ucraina. In tutti i casi, e come conferma una ricerca pubblicata nel 2020 su Plos One, si è rilevato che quando subentra una crisi, e quindi si manifestano problemi economici per una parte considerevole della popolazione, la qualità dell’alimentazione delle persone a più basso reddito, disoccupate o che svolgono lavori manuali, tende sempre a peggiorare. Non si tratta solo di un problema economico, ma è anche una questione culturale, perché mediamente a un più basso livello di istruzione si associa una diminuzione del reddito”.

    In quali termini e in che misura la dieta peggiora?

    Per comprendere i cambiamenti in negativo che l’alimentazione subisce occorre definirli più precisamente e, come specifica Luca Falasconi, “per peggioramento della dieta si intende una riduzione della quota del reddito spesa per il cibo, facendo ricorso a quelle che alcuni studiosi chiamano le ‘cattive calorie’, che hanno un prezzo più basso. In altri termini, per sfamarsi allo stesso modo, almeno rispetto alla quantità, ci si orienta su prodotti di qualità inferiore. Al netto di questo aspetto, da un’indagine che abbiamo concluso recentemente è anche emerso che le famiglie a medio e basso reddito sprecano di più rispetto a quelle ad alto reddito. Incrociando questo dato con le informazioni relative ai luoghi dove si fa la spesa, è emerso che le famiglie a basso reddito acquistano prevalentemente nei discount, e la percentuale di chi sceglie questa opzione è aumentata negli ultimi due anni, a scapito dei negozi di vicinato e dei mercati rionali. Quindi, gli acquisti nei discount, le preferenze per alimenti di minore qualità e lo spreco aumentano di pari passo. Sappiamo bene che una spesa di bassa qualità ma sovrabbondante nella quantità, favorita anche da offerte e scontistiche, aumenta la possibilità che questo cibo finisca sprecato. Un basso reddito corrisponde senza ombra di dubbio a un’alimentazione di minore qualità, dato alla base della tendenza negativa appena descritta”.

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    L’associazione tra reddito e istruzione e gli indicatori presi in esame

    Il rapporto tra benessere economico e titolo di studio nella letteratura scientifica finora è stato sempre presentato come un unico parametro, “questi due dati vengono associati basandosi sui grandi numeri, perché chi ha un reddito medio-alto spesso ha anche una formazione superiore. La distinzione tra reddito e istruzione rispetto all’alimentazione non è stata ancora indagata”.

    La crescita della propensione verso i discount, aggiunge Luca Falasconi, “nelle ricerche viene considerata come un indicatore del peggioramento dell’alimentazione. Sono due i dati emersi in modo abbastanza netto negli ultimi mesi in Italia, anche nelle indagini che abbiamo svolto con l’osservatorio Waste Watcher:

    1. aumenta il ricorso al discount, con un calo dei mercati rionali;
    2. soprattutto da inizio anno, quando la spinta inflattiva si è fatta più forte, si è verificato un netto calo dei consumi di frutta e verdura, talvolta con cali a doppia cifra. In estate, con l’aumento stagionale della disponibilità, i consumi si sono un po’ ripresi ma sarà interessante vedere cosa succederà questo autunno. In quest’ultimo anno la frutta e la verdura hanno subito un calo maggiore rispetto agli altri generi alimentari, e anche le carni rosse si vendono di meno, mentre quelle bianche si acquistano di più, nonostante gli aumenti, perché in genere hanno un costo minore”. 

    Quando diminuisce il reddito cala anche l’attività fisica

    Nei momenti di crisi economica, oltre al peggioramento della dieta a gravare sulla salute è anche una minore propensione allo sport e all’attività fisica. “I nostri studi, infatti, evidenziano che quando il reddito o il potere di acquisto declinano, molto spesso si fa a meno di questo importante fattore di benessere e salute. Le famiglie impoverite o colpite dall’inflazione, come sta avvenendo in questo periodo, tagliano anche le spese dedicate all’attività fisica, e quindi rinunciano allo sport. In sostanza, queste persone non solo mangiano peggio, ma facendo meno movimento peggiorano ulteriormente la loro qualità di vita”.

    Ci si allontana dalla dieta mediterranea e resiste il delivery

    Se parametrato alla nostra tradizione alimentare, un primo aspetto che spicca, come precisa Falasconi, è il progressivo allontanamento dalla vera dieta mediterranea, basata su vegetali, legumi e cereali integrali, come abbiamo visto nel nostro approfondimento con il professor Enzo Spisni. “Le famiglie a più basso reddito mangiano in un modo sempre meno riconducibile a questo stile alimentare sano e sostenibile, come conferma lo scarso indice di aderenza alla piramide alimentare mediterranea. Anche in questo caso, il dato attesta un peggioramento della dieta e si accompagna a un basso livello di reddito e di istruzione”. 

    Oltre agli studi svolti in Italia, Falasconi cita un’indagine realizzata negli Stati Uniti che evidenzia uno scenario che potrebbe essere approfondito anche nel nostro Paese, ovvero l’aumentata propensione per i pasti nei fast food. “In generale, si dedica sempre meno tempo all’acquisto e alla preparazione del cibo, condizione che comporta un aumento al ricorso ai pasti pronti. Avendo mediamente un costo superiore, a essere penalizzata ancora una volta è l’attenzione per gli ingredienti e per la qualità complessiva. L’esempio che viene riportato in questo articolo è appunto il ricorso al fast food; per l’Italia al momento non abbiamo dati specifici ma potrebbe essere interessante approfondirli”.

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    Inoltre, “come sappiamo, rapportandoci con Fipe (Federazione italiana dei pubblici esercizi), il delivery continua ad avere molta clientela, diversamente da quanto si prevedeva con la fine della pandemia. Ci si attendeva un tracollo con la fine dei lockdown, invece si è verificata solo una leggera contrazione, di gran lunga inferiore se confrontata con il boom avvenuto durante la pandemia. Pertanto, questa abitudine è stata a tutti gli effetti assorbita dalle modalità di consumo, e non siamo più tornati alla situazione precedente, ma abbiamo accolto questo nuovo stile di consumo esploso nel periodo di isolamento forzato”. 

    Reddito e alimentazione: al Centro-Sud le cose vanno peggio

    In Italia, la correlazione tra calo del potere d’acquisto e peggioramento dell’alimentazione mostra una diversificazione su base territoriale, con il Centro-Sud che sconta le situazioni più svantaggiate. “Questo si manifesta nella dieta come nei luoghi d’acquisto, si mangia in modo meno sano e si acquistano cibi di più bassa qualità nutrizionale, ma tendenzialmente si vanno ad aumentare le porzioni. Nel Meridione, come riportano le rilevazioni del sistema sanitario nazionale, il problema del sovrappeso e dell’obesità in questi ultimi anni è aumentato sensibilmente, soprattutto nelle fasce più giovani della popolazione. Questo dà maggior valore alle ipotesi di partenza: dove ci sono redditi bassi, un livello di istruzione inferiore e aspetti culturali tradizionali favorevoli a determinate situazioni, allora ai fini della salute l’alimentazione peggiora ulteriormente”.

    Come abbiamo visto, se da un lato è evidente il rapporto causa-effetto tra calo del reddito e del potere d’acquisto e peggioramento dell’alimentazione, dall’altro le variabili da indagare sono diverse. Per comprendere al meglio le differenti origini di questo fenomeno occorre indagare più aspetti, compresi i dati territoriali e socio-culturali.


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    Matteo è nato a Bologna e vive a San Giorgio di Piano (Bo), è giornalista, sommelier e assaggiatore di olio d'oliva, ha collaborato con il Dipartimento di Scienze e Tecnologie agro-alimentari dell'Università di Bologna. Per Il Giornale del Cibo si occupa di attualità, salute, cultura e politica alimentare. Apprezza i cibi e le bevande dai gusti autentici, decisi e di carattere. A tavola ama la tradizione ma gli piace anche sperimentare: per lui in cucina non può mancare la creatività, "perché è impossibile farne a meno!"

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