Ramen alla calabrese: il piatto dello Chef Giuseppe Romano che unisce tradizione e innovazione

Giulia Ubaldi
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    In una Pizzo che a tavola predilige la tradizione, lo chef Giuseppe Romano ha portato una ventata di aria fresca, come il piatto di cui vi parleremo oggi. Dopo aver viaggiato per il mondo, infatti, ha incontrato Eleonora Marcello e nel loro ristorante, Me di Pizzo Calabro, continuano a elaborare piatti nuovi ed eccezionali, con tecniche provenienti da diversi Paesi e ingredienti locali. In particolare ce n’è uno che ci ha colpito molto: il Ramen alla calabrese, un inno al loro amore per la Calabria, ma anche un manifesto contro lo spreco alimentare. Scopriamolo insieme, ma non senza prima avervi prima raccontato qualcosa di loro e dei prodotti calabresi al centro di questa ricetta. 

    Giuseppe Romano, lo chef di origini campane innamorato della Calabria e con uno sguardo sul mondo

    Lo chef Giuseppe Romano nasce a Giugliano in Campania, vicino a Napoli, e fin da piccolo dopo la scuola invece che andare a giocare a calcio con gli amici passava il tempo nella pasticceria di famiglia. Nel tempo la sua passione per questo mondo non fa che crescere, così appena possibile decide di partire per fare varie esperienze sia in Italia, girando per locali e servizi di catering, sia all’estero come cuoco sulle navi da crociera. Nel frattempo la sua famiglia apre un ristorante a Napoli, Colibrì, dove Giuseppe lavora poi per otto anni, ma non senza continuare a viaggiare, ad esempio in Giappone, una delle esperienze che più l’ha colpito e di cui troveremo traccia nel piatto di cui vi parleremo oggi. 

    Foto di Giulia Ubaldi

    Finché nel 2012 la sua vita cambia completamente: scendendo con dei colleghi in Calabria, a Palmi, per i Mondiali di Cucina si ferma a mangiare nel ristorante Olimpus di Pizzo per spezzare il viaggio e lì incontra Eleonora Marcello. “Ai tempi il locale era di suo papà Michele Marcello, ristoratore storico di Pizzo, e lei lavorava in sala. Prima stavano nel centro storico, poi si sono trasferiti all’attuale vecchio casale del ‘700 a picco sul mare, portando avanti un’esemplare opera di ristrutturazione. È stato un ragazzo delle Belle Arti ad occuparsene, cercando di mantenere il più possibile le antiche mura originarie”. Così tra i due scatta la scintilla, i viaggi di Giuseppe a Pizzo diventano sempre più frequenti finché lui non decide di lasciare Napoli e trasferirsi a Pizzo, dove inizia a lavorare come chef nel ristorante della famiglia Marcello, che ai tempi faceva pizza e pesce. Non passano tanti anni che Michele Marcello propone ai due di prendere in gestione l’Olimpus. Non ci pensano due volte, nel giro di poco lo ribattezzano Me Restaurant, cioè le iniziali di Eleonora Marcello e lo stravolgono togliendo la parte pizzeria: “ma come, proprio tu che sei napoletano togli la pizza!”. 

    Il Me Restaurant continua a conquistare successi, soprattutto dopo essere finito sulla Guida Michelin e dopo la presenza a Identità Golose, grazie alla quale Giuseppe è diventato prima Ambasciatore del Gusto e poi delegato regionale per la Calabria di Euro-Toques, l’associazione che riunisce 20 Paesi europei membri con oltre 2.500 cuochi associati. Ma dopo aver assaggiato i suoi piatti come il ramen alla calabrese e dopo aver visto la sua attenzione agli sprechi in cucina, questo non ci stupisce affatto! 

    Il ramen alla calabrese, un inno ai migliori prodotti della Calabria in un piatto

    La missione di Giuseppe a Pizzo è stata chiara fin da subito: avrebbe portato una cucina nuova, con tecniche apprese dai suoi viaggi nel mondo, ma questo senza mai perdere di vista l’importanza del territorio e dei suoi prodotti. Giuseppe, infatti, è uno degli chef che ho visto valorizzare maggiormente i produttori locali, con un lavoro assiduo e sempre vigile. Tutto questo è ben evidente nel piatto che ha creato otto mesi fa, il Ramen alla calabrese, che oltre a essere un omaggio al territorio, è anche un piatto che permette di utilizzare alcuni scarti in cucina per evitare lo spreco alimentare. Come vedremo, infatti, per prepararlo si possono impiegare le verdure avanzate, così come le loro bucce per il brodo, mentre non si discute sulla presenza di alcuni prodotti calabresi. 

    Partiamo dall’inizio, ovvero dal brodo, che come avevamo visto nell’articolo sul film sul Ramen giapponese è la parte più importante di questo piatto. Giuseppe lo prepara appunto con le bucce delle verdure rimaste, quali patate, carote, porri, cipolle, broccoli, finocchi; insomma, quelle che si ha disposizione in dispensa a seconda della stagione. Quasi sempre, però, in quanto disponibili tutto l’anno, ci sono le patate della Sila IGP, coltivate in altura. “Proprio per questo hanno un sapore eccellente, poco amido all’interno e una polpa consistente; tutte caratteristiche perfette per la realizzazione di questo piatto” ci spiega Giuseppe. “Anche se l’ottima consistenza della polpa è ideale anche dopo la cottura, come ad esempio per la frittura, o con la pasta”. 

    Foto di Giulia Ubaldi

    A tal proposito, altra presenza fondamentale del ramen è appunto la pasta, che in questo caso non sono i classici noodles, ma la Stroncatura della Piana di Gioia Tauro: per chi non la conoscesse, si tratta di una preparazione tipica e diffusa solo in quest’area, nata dalla lavorazione di tutti gli scarti e i residui della molitura del grano che gli operai prendevano da terra e portavano a casa. “Per questo in passato era illegale” ci racconta Giuseppe, “mentre oggi viene fatta seguendo rispettando tutti i canoni di sicurezza e di igiene richiesti dalla legge”. Di solito questa pasta lunga si mangia con acciughe, pomodorini, olive e mollica di pane ed è molto apprezzata più all’estero che in Calabria. Un altro ingrediente fondamentale di questo piatto è la cipolla, ovviamente quella di Tropea e la soppressata calabrese, che lo chef acquista da un piccolo produttore della zona di Vibo. “Si tratta di un pregiato salame calabrese ottenuto dalla lavorazione delle carni magre del maiale, provenienti dal prosciutto e dal filetto, con l’aggiunta del lardo migliore e della parte anteriore del lombo”, ci racconta Giuseppe. 

    Queste vengono tritate, aromatizzate con pepe nero in grani e peperone rosso dolce o piccante, poi insaccate in budelli naturali di suino, forati e legati a mano con spago naturale e infine fatte stagionare per un periodo minimo di quarantacinque giorni. Come nel caso di altri salumi in Italia, anche in Calabria esiste una storia secolare nella lavorazione della soppressata che ha delle particolarità che variano da comune a comune e spesso anche da famiglia a famiglia, ma che continua ad essere trasmessa di padre in figlio/di generazione in generazione.

    Infine, sul peperoncino non si transige: è la grande passione di Eleonora, che da buona calabrese doc, utilizza solo ed esclusivamente quello coltivato da loro, nel loro orto, sempre fresco. L’unico prodotto non locale è il katsuobushi che, per chi non lo conoscesse, è il pesce fermentato ed essiccato molto utilizzato nella cucina giapponese, ma potete scegliere voi se metterlo o meno. Dunque, vediamo ora come si prepara questo piatto, che potete provare a fare e declinare anche con i prodotti del vostro territorio!

    La ricetta del Ramen alla calabrese

    Come anticipato, per questo piatto potete utilizzare le verdure che vi sono rimaste. “Nasce proprio così: l’ho creato con lo scopo di evitare gli sprechi in cucina e di utilizzare quello che mi restava”. Quindi, ecco qui la ricetta inedita dello chef Giuseppe Romano, ma ricordatevi che durante la preparazione potete utilizzare quello che avete. 

    Foto di Giulia Ubaldi

    Ingredienti 

    • 150 g di patate della Sila (utilizzare anche le bucce)
    • 100 g di carote
    • 100 g di cipolla di Tropea (utilizzare anche i gambi)
    • 100 g di fagioli (da mettere a bagno la sera prima)
    • 100 g di ceci (da mettere a bagno la sera prima)
    • 1 zucchina
    • 1 finocchio medio
    • 5 g di aglio tagliato a metà
    • 10 g di zenzero affettato sottile
    • 150 g di soppressata calabrese
    • 1 cucchiaio di sale
    • 1 filetto di acciuga sott’olio
    • q.b. di pepe bianco
    • q.b. di peperoncino
    • 1 uovo sodo
    • 150 g di stroncatura
    • q.b. di katsuobushi a piacere

    Procedimento

    1. Iniziate dalla preparazione del brodo mettendo in acqua bollente tutte le verdure che avete, comprese le bucce e le varie parti, lasciando da parte quelle che decidete di tenere intere.   
    2. Fate bollire le uova, intanto con un coppapasta date alle altre verdure una forma più accattivante: saranno quelle che faranno parte del vostro piatto finale e non del brodo, quindi da togliere dall’acqua una volta pronte. 
    3. Fate cuocere il brodo per almeno 30 minuti, poi immergete le verdure “più belle” con le forme particolari date a scelta, la soppressata tagliata a pezzi e la stroncatura e continuate la cottura finché la stroncatura è pronta e le uova sode.
    4. A questo punto condite con sale, pepe, peperoncino, zenzero e un filetto di acciuga e servite. 
    5. Se volete dare alla ricetta un tocco più intrigante e appetitoso utilizzando anche prodotti non del territorio, alla fine della preparazione potete aggiungere il katsuobushi che andrà ad arricchire il vostro piatto sia alla vista che all’olfatto, portandovi in Giappone con un piccolo tocco d’Oriente. 

    Ma ricordatevi: tutti gli altri piatti di Giuseppe ed Eleonora coniugano e uniscono tecniche e sapore dal mondo con materie prime del territorio calabrese. Per questo, vi abbiamo fatto venire voglia di provare qualche altro loro piatto la prossima volta che andrete in Calabria? 


    Immagine in evidenza di: Giulia Ubaldi

    Antropologa del cibo, è nata a Milano, dove vive e scrive per varie testate, tra cui La Cucina Italiana, Scatti di Gusto, Vanity Fair e le Guide Espresso. Il suo piatto preferito sono gli spaghetti alle vongole, perché per lei sono diventati un'idea platonica: "qualsiasi loro manifestazione nella realtà sarà sempre una pallida copia di quella nell'iperuranio". Nella sua cucina non mancano mai pistilli di zafferano, che prima coltivava!"

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