Oltre ai pizzoccheri c’è di più! Le specialità meno note della cucina valtellinese

Roberto Caravaggi
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    Se si parla di cucina valtellinese viene facile pensare ai pizzoccheri, alla polenta taragna e alla bresaola. Si tratta, in effetti, di specialità che hanno saputo conquistare consensi e riconoscimenti al punto da diventare simboli della cultura gastronomica di questo territorio. Una terra così ricca di risorse ha, però, molti altri tesori da scoprire e, soprattutto, gustare. Avete già sentito parlare, ad esempio, degli sciatt, del taròz o della bisciola? Che ne siate già estimatori o novizi, con l’articolo di oggi vi porteremo a conoscere meglio i piatti tipici valtellinesi meno noti.

    Non solo pizzoccheri e polenta taragna: altri piatti tipici valtellinesi da conoscere

    Regione alpina della parte nord della Lombardia, la Valtellina si caratterizza per la sua cultura montana. Gli ampi pascoli delle sue verdi vallate e le zone boschive hanno sempre rappresentato una risorsa, di cui la popolazione autoctona ha saputo fare tesoro. A partire dall’allevamento del bestiame, che si traduce in una ricca produzione di carni essiccate, di cui la massima espressione è la Bresaola della Valtellina IGP, ma non l’unica, come scopriremo tra poco. Non mancano poi i formaggi, quali il Bitto e il Casera, due delle DOP casearie lombarde e protagonisti di molte preparazioni, tra cui spiccano i Pizzoccheri della Valtellina IGP, denominazione riconosciuta nel 2016, e la polenta taragna. Piatti basati su ingredienti “poveri” ma sostanziosi e ricchi di gusto, che rispecchiano perfettamente un’idea di cucina semplice e genuina che si ritrova anche in altre preparazioni. Oltre a quelle citate, infatti, ci sono altre specialità della tradizione gastronomica valtellinese che vale la pena di conoscere. Scopriamole insieme!

    Dalla coltura del grano saraceno: sciatt, chisciöi e manfrigole

    L’intera area prealpina della provincia di Sondrio, e la Valtellina in particolare, è terreno fertile per la coltura del grano saraceno. Viene definito “grano nero”, nonostante non possa essere considerato a tutti gli effetti un cereale, ed è largamente usato nella cucina locale. È infatti l’elemento caratterizzante sia della polenta taragna, sia dei pizzoccheri. Ma ci sono altri piatti tipici valtellinesi in cui è protagonista, a partire dagli sciatt.

    Sciatt

    sciatt

    FVPhotography/shutterstock.com

    Nel dialetto locale sciatt significa letteralmente “rospo”, termine che allude alla curiosa forma assunta al termine della preparazione. Gli sciatt sono, di fatto, delle palline fritte ripiene di formaggio. L’impasto viene realizzato con una prevalenza di farina di grano saraceno, farina bianca, acqua, un goccio di grappa e la birra, elemento fondamentale per consentirne il caratteristico rigonfiamento durante la fase di frittura. Si lavora il tutto fino a ottenerne una pastella, da cui staccare dei pezzetti, in ciascuno dei quali immergere un cubetto di formaggio Valtellina Casera DOP, che vengono poi fritti uno alla volta in olio bollente. Servirli caldi è fondamentale per esaltare il cuore formaggioso e filante.

    Chisciöi

    chiscioi

    Foto di Ivan Previsdomini

    Parenti stretti degli sciatt, sono i chisciöi. L’impasto è simile, differisce da quello degli sciatt solo per una maggiore quantità di farina grano saraceno e per l’assenza della birra. In questo caso, infatti, la pasta non deve gonfiarsi in cottura. Altro elemento caratteristico: tradizionalmente la frittura avviene all’interno di una padella di ferro sul fondo della quale fondere uno strato di strutto, essenziale per evitare che la pastella si attacchi. Oggi molti preferiscono optare per un altro grasso in sostituzione dello strutto, tipicamente l’olio. I chisciöi sono, di fatto, delle frittelline dalla forma appiattita e dal diametro di circa 5 centimetri, dorati e dalla superficie croccante, che si usa accompagnare a salumi e verdure. Anche in questo caso c’è un cuore filante di Casera a definirne consistenza e gusto.

    I chisciöi sono una specialità tipica soprattutto del Comune di Teglio, dove ogni anno si svolge una sagra dedicata e dove, dal 2006, ha sede una confraternita di tutela e valorizzazione del prodotto.

    Manfrigole

    manfrigole

    Foto di Ivan Previsdomini

    Altra specialità in cui il grano saraceno è l’ingrediente principale è la manfrigola. Da non confondere coi manfrigoli romagnoli, si tratta di crespelle arrotolate su se stesse intorno a un ripieno di formaggio (tipicamente il Valtellina Casera DOP) e bresaola. Se ne ricavano dei cilindretti, che vengono disposti in verticale su una teglia e cotti in forno cospargendo la superficie con burro e salvia, con del pangrattato o, ancora, con della besciamella per permettere che vi si formi una golosa crosticina croccante.

    Taròz, l’essenza della tradizione contadina in un piatto

    Il piatto che meglio di ogni altro sintetizza la cultura contadina valtellinese è il taròz. Si tratta di una sorta di sformato a base di patate e fagiolini, insaporito da un soffritto di cipolla e arricchito da burro e formaggio. Si prepara lessando sia le patate che i fagiolini, per poi schiacciare tutto in modo da ottenerne una sorta di purea grossolana. Qui alcune varianti locali prevedono l’aggiunta di fagioli o zucca. Questa base viene quindi completata con la cipolla rosolata nel burro e col tocco finale del formaggio, che si scioglierà formando una succulenta crosticina superficiale. Da consumare rigorosamente caldo, il taròz è abbastanza sostanzioso da poter essere considerato un piatto unico.

    taroz

    Foto di Ivan Previsdomini

    Slinzega e violino: la cultura delle carni essiccate

    La Valtellina, come detto, è terra di pascoli dediti, in particolare, all’allevamento bovino. Non sorprende quindi che vi sia una forte cultura legata alla carne di manzo, da cui si ricavano ottime carni essiccate. La tecnica dell’essiccazione nasce dall’antica esigenza di garantire la conservabilità del cibo quando non esistevano sistemi di refrigerazione come gli attuali frigoriferi. Si puntava quindi sulla salatura delle carni, da affinare poi con erbe aromatiche e spezie, per lasciarle infine stagionare in locali freschi e al riparo dalla luce. Da questa cultura deriva una specialità simbolo di questo territorio, la Bresaola della Valtellina IGP. Ma anche la slinzega, che può esserne considerata parente stretta. Prodotta a partire dalla coscia di manzo, che viene accuratamente lavorata per eliminarne grasso e nervature, viene sottoposta a una speziatura a base di alloro, aglio, chiodi di garofano, cannella, sale e pepe. Questo contribuisce a conferirle un sapore più deciso e ricco di sfumature rispetto alla bresaola.

    Foto di La Casa dei Sapori (R. Moiola)

    Il violino è, invece, più tipico della vicina Valchiavenna, ma trova larga diffusione anche in Valtellina. Presidio Slow Food, si tratta di un salume ottenuto dalla coscia e dalla spalla della capra. La particolare forma e il tradizionale modo di tagliarlo a mano, poggiandone una parte sulla spalla, ricordano l’atto di suonare un violino e sono all’origine del nome. La stagionatura avviene nei caratteristici crotti, strutture rurali ricavate nella roccia, e dura dai tre ai sei mesi.

    Slinzega e violino di capra, come anche la bresaola, si prestano a essere consumati come antipasto, al naturale, conditi magari con un filo d’olio e pepe e accompagnati da del pane di segale (altra tipicità locale) oppure possono diventare protagonisti di insalate e carpacci.

    Lo tzigoiner

    Questa cultura delle carni si rispecchia anche in un’altra specialità valtellinese che vale la pena di citare, lo tzigoiner. Un piatto dal grande impatto scenografico, che consiste in fette di carne di manzo (generalmente lo scamone) battute fini e avvolte intorno a un bastone di legno d’abete di circa 50 centimetri. Rivestita esternamente da fette di pancetta, la carne viene quindi cotta alla brace, rimanendo tenera e rosata nella parte aderente al bastone. La marinatura cui viene sottoposta prima della cottura e gli aromi sprigionati dal legno ne definiscono le sfumature aromatiche. Si serve direttamente sul bastone sorretto dai supporti di un piatto a forma di barchetta, all’interno del quale si usa disporre delle verdure o delle salse di condimento.

    Bisciola, cupeta e torta fioretto: il tocco dolce della Valtellina

    Il nostro menù del giorno a base di piatti tipici valtellinesi si conclude con il carrello dolci. Ecco i tre più rappresentativi.

    Bisciola

    bisciola

    anna.q/shutterstock.com

    La bisciola può essere considerata il dolce più tipico della Valtellina. Già inclusa nel registro PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali) del MIPAAF, dal 2013 vanta anche il Marchio Collettivo Geografico (MCG), riconoscimento a garanzia della qualità degli ingredienti e della filiera produttiva. Ricorda molto il panettone – superficie marrone scuro, interno giallognolo e alveolato, consistenza soffice – anche se con delle differenze significative. A partire dalla forma, più bassa e schiacciata, e dalla lavorazione dell’impasto. Quello della bisciola è meno laborioso, soprattutto per quanto riguarda la fase di lievitazione. La farcitura tradizionale, inoltre, prevede noci, uvetta e fichi secchi. Per questo motivo viene definita anche pan di fich (nel dialetto locale) o panettone valtellinese. Allo stesso modo del panettone milanese è considerato un dolce associato soprattutto alle festività natalizie, nonostante nei forni e nelle pasticcerie valtellinesi sia reperibile praticamente tutto l’anno. Leggenda vuole che sia stato creato su impulso di Napoleone Bonaparte, intorno alla fine del XVIII secolo, quando invase il Nord Italia e avanzò la richiesta di un dolce che esaltasse le materie prime del territorio.

    Torta fioretto

    Chiamata anche torta di fioretto o, nel dialetto locale, fügascia de fiorétt, è una specialità della vicina Valchiavenna, molto diffusa però anche in Valtellina. L’impasto è semplice e si realizza con farina di grano, burro, tuorli d’uovo, zucchero e lievito. L’elemento caratterizzante è il seme di finocchio selvatico, detto appunto “fiorétt”, con cui, insieme allo zucchero, si cosparge la superficie della torta una volta sfornata. L’inconfondibile nota aromatica è ben percepibile sia all’olfatto che al gusto.

    Cupeta

    cupeta

    Foto di Ivan Previsdomini

    Concludiamo con la cupeta, un dolce tipicamente autunnale, che si usava preparare in omaggio ai Santi. Tant’è che in ogni paese ha la sua ricorrenza di riferimento: a Bormio, ad esempio, lo si associa a Santa Lucia, a Sondalo è il dolce di Sant’Agnese, mentre a Sondrio e a Morbegno è celebrativo di Sant’Antonio. La cupeta consiste in due strati di ostia che racchiudono una farcia a base di miele, noci e biscotti secchi. Non prevede cottura, solo il miele viene portato a ebollizione a fuoco lento all’interno di un tegame per poi essere unito e amalgamato ai gherigli di noce e ai biscotti secchi tritati assieme. Si dispone il composto così ottenuto tra i due fogli di ostia e si tira col mattarello fino a ottenere uno spessore di circa un centimetro. Morbido esternamente e pastoso all’interno, si taglia in quadratini da consumare come snack in qualsiasi momento della giornata o da servire a fine pasto, magari accompagnato da un bicchierino di grappa o di vino passito.

    Chissà se siamo riusciti a deliziarvi con questo menù a base dei piatti tipici valtellinesi meno noti… La parola ora passa proprio a voi: quale di quelli appena proposti sareste curiosi di provare?

    Nato a Milano, vive da sempre a Locate di Triulzi, nella provincia sud del capoluogo lombardo. Oltre a collaborare con alcune testate giornalistiche locali è food blogger per storiedifood.com, dove racconta soprattutto di specialità e piccole realtà artigianali. Il suo piatto preferito è la piadina romagnola perché, nella sua semplicità, sa appagare come poche altre cose.

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