Parrozzo, storia e origine del dolce abruzzese amato da D’Annunzio

Michela Del Zoppo
2 minuti

     

    Esiste una regione italiana in cui la diatriba “panettone vs. pandoro” non crea fazioni agguerrite di sostenitori dell’uno o dell’altro. Ci troviamo in Abruzzo, e il motivo per cui scegliere tra i due dolci tipici natalizi non è affatto un problema è perché esiste una terza opzione, altrettanto gustosa: il parrozzo!

    Tra i dolci abruzzesi è sicuramente il più iconico, con la sua forma a cupola e lo strato di cioccolato che lo ricopre. Scommettiamo però che non conoscete la sua storia, e come questo dolce sia stato “sponsorizzato” da un abruzzese d’eccezione: Gabriele D’Annunzio. Nato come specialità natalizia, è ora reperibile in ogni periodo dell’anno. Siete pronti a saperne di più?

    Parrozzo, la storia del dolce dalle origini contadine  

    Foto di Giovanna del Borrello

    La tradizione panaria abruzzese affonda le sue radici in epoche lontane. Qui, il pane rappresentava un elemento essenziale per il sostentamento quotidiano delle famiglie. Tuttavia, la farina di grano, prelibatezza riservata alle classi sociali più abbienti, era fuori dalla portata dei contadini, i quali dovevano accontentarsi di pagnotte semisferiche, cotte in forno a legna, preparate con farina di mais e chiamate “pane rozzo”. Ma come si è passati dal pane contadino a dolce della tradizione?

    Da pan rozzo a parrozzo: la svolta “dolce” di Luigi D’Amico

    La versione dolce del pane rozzo si deve all’intuizione del pescarese Luigi D’Amico, titolare di un’attività commerciale che sorgeva a Pescara, all’angolo tra Corso Manthonè e Piazza Garibaldi. Alla metà del XIX secolo, la ditta D’Amico – guidata dal nonno, anch’egli di nome Luigi – vendeva sia prodotti alimentari come vino, granaglie e pesci salati, sia prodotti come pece per calafatare le barche, reti da pesca e polvere da sparo. Biagio, il figlio del fondatore, guidò l’azienda verso una specializzazione nei prodotti alimentari, mettendo da parte la vendita di prodotti non alimentari e avventurandosi nell’importazione di beni ricercati.

    Tuttavia, la vera rivoluzione venne con Luigi D’Amico, figlio di Biagio, nel periodo immediatamente successivo alla Prima guerra mondiale. Sebbene avesse mantenuto il cuore commerciale dell’azienda, Luigi avviò due nuove iniziative: l’apertura di un bar “Il ritrovo del Parrozzo” e l’invenzione di questo dolce così come lo conosciamo noi. 

    Desideroso di reinventare la tradizione senza stravolgere l’essenza, nel 1919 D’Amico rielaborò la ricetta ispirandosi all’aspetto e ai sapori del pan rozzo: per imitare il giallo del granturco utilizzò le uova e ricoprì il dolce con un cioccolato di alta qualità per evocare lo scuro delle bruciacchiature caratteristiche della cottura nel forno a legna. Questi tutti gli ingredienti che compongono tuttora il parrozzo:

    • farina di mandorle;
    • zucchero;
    • mandorle tritate;
    • essenza di mandorla amara;
    • buccia di arancia o buccia di limone;
    • cioccolato fondente, che serve per la decorazione esterna.

     

    La forma semisferica fu mantenuta, e venne utilizzato uno stampo a cupola per ricordare le tradizionali pagnotte contadine. D’Amico, che conosceva il noto poeta e autore Gabriele D’Annunzio, gli inviò il primo Parrozzo a Gardone il 27 settembre 1919, accompagnato da una lettera dove dichiarava il dolce come il “Pan rozzo d’Abruzzo”

    Scrisse D’Amico: “Illustre Maestro questo Parrozzo – il Pan Rozzo d’Abruzzo – vi viene da me offerto con un piccolo nome legato alla vostra e mia giovinezza… ho voluto unire queste due offerte – il ricordo e… il dolce – perché conosco il valore di certi ricordi per l’anima vostra”.

    D’Annunzio, colpito da questa delizia, scrisse in risposta un sonetto dialettale elogiando il dolce. Questo componimento, insieme ad altri versi del poeta, si trova sulla scatola del Parrozzo come testimonianza delle sue nobili e letterarie origini. Questo legame con D’Annunzio fu ulteriormente sancito nel 1927, con l’adozione di versi scritti dal poeta a lode del dolce:

    È tante ‘bbone stu parrozze nove che pare na pazzie de San Ciattè, c’avesse messe a su gran forne tè la terre lavorata da lu bbove, la terre grasse e lustre che se coce… e che dovente a poche a poche chiù doce de qualunque cosa doce…

    Furono poi diverse le figure artistiche che giocarono un ruolo chiave nell’evoluzione e nella promozione del Parrozzo. Luigi Antonelli, critico d’arte e commediografo, che ne scrisse la storia; Armando Cermignani, ceramista, scelse i colori che tuttora si trovano sulla confezione del parrozzo; il maestro Di Iorio e Cesare De Titta, che si occuparono rispettivamente della musica e dei testi de “La Canzone del Parrozzo”; infine Tommaso Cascella, pittore, che con i suoi quadri decorò le pareti del bar Il ritrovo del Parrozzo.

    Tutti, ognuno per le sue competenze, contribuirono in modi diversi a far assurgere il parrozzo a simbolo d’Abruzzo.

    Da Pescara al mondo: la storia del parrozzo dopo la Seconda guerra mondiale 

    Nonostante il parrozzo fosse arrivato a essere conosciuto in molte regioni italiane, la Seconda guerra mondiale portò a interrompere le attività di D’Amico. Dopo la guerra, la ripresa fu complessa e Luigi D’Amico morì nel 1954. Sotto la guida della figlia Teresa, aiutata dal braccio destro del padre, il Cavalier Gennaro Di Matteo, e successivamente dal marito Giuseppe Francini, l’azienda affrontò numerosi cambiamenti. La svolta decisiva avvenne negli anni ‘70 quando, con l’intervento del figlio della coppia, Pierluigi Francini, l’azienda introdusse una moderna linea di confezionamento che estese la durata del Parrozzo, permettendogli di conquistare mercati in Italia e all’estero, dagli USA al Canada e all’Australia.

    Conoscevate la storia del parrozzo? Lo assaggerete?


    Credits immagine in evidenza: Foto di Giovanna del Borrello 

     

    Copywriter e Social Media Manager, se la cava meglio con le parole che con mestoli e padelle. Abruzzese DOC, in cucina si divide tra la tradizione della sua regione e quella della Puglia garganica, che è un po' una seconda casa. Sulla sua tavola non possono mai mancare un buon bicchiere di Montepulciano e un liquore di genziana, perfetto dopo una scorpacciata di arrosticini!

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