Ostricoltura in Francia

Ostricoltura: dieci cose da sapere sulle ostriche

Giulia Ubaldi
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    Oggi vi parleremo di un argomento estremamente affascinante, ma allo stesso tempo poco noto, ovvero l’ostricoltura. Sono in molti infatti ad amare le ostriche, ma in pochi, anche tra i più appassionati, conoscono il complesso mondo che si cela dietro a questo mollusco. Per questo sono andata a visitare lo splendido parco della famiglia di Paul Berrigaud, ostricoltori da cinque generazioni, che produce circa 100 tonnellate di ostriche all’anno. La sua azienda, Les Belles d’Irus, si trova nel golfo di Morbihan, in Bretagna, un vero e proprio paradiso naturale costellato di piccole isole dove le maree di tanto in tanto ne cambiano il volto e dove il sole gioca spesso con le nuvole, dando alle sue acque riflessi cangianti. Ed ecco le dieci cose più importanti che qui ho imparato sull’ostricoltura. 

    Ostricoltura: dieci cose da sapere

    Insegna del produttore di ostriche in Francia

    PH Axel Puvis de Chavannes

    Le ostriche si producono in tutto il mondo, dalla Cina e dal Giappone all’Europa fino agli Stati Uniti. Ma è la Francia il primo paese a cui vengono collegate come se fosse la loro patria. Qui si coltivano principalmente in quattro aree, che vi citiamo in ordine geografico: 

    • Normandia, dove ci sono grandi allevamenti di ostriche in pieno oceano;  
    • Bretagna, dove gli ostricoltori sono produttori per tradizione, come la famiglia da cui siamo andati; 
    • Charente-Maritime, in Nuova Aquitania, dove invece le produzioni sono più piccole, spesso in acque metà dolci e metà di oceano e gli allevatori sono più che altro commercianti
    • nel sud della Francia, dalla costa sull’oceano nella Gironde, vicino a Bordeaux, fino all’altro lato, nella zona di Sète, in Occitania (quindi non più sull’oceano ma sul Mar Mediterraneo), di cui vi avevamo già parlato a proposito della Tielle e della Macaronade à la sétoise

     

    Come vedremo, in queste quattro zone si praticano quattro tipi di allevamento diverso, che determinano un terroir differente. Ma quindi perché tutta questa fama proprio in Francia? Per rispondere a questa domanda, non possiamo che iniziare dall’inizio, ovvero da un breve cenno storico. 

    Uno. La storia

    Il consumo di ostriche risale ai tempi dei Romani, quando non venivano allevate, ma si trovavano libere e selvagge. Fu poi tra la fine dell’800 e l’inizio del ’900 che questi molluschi iniziarono a riscuotere successo, soprattutto tra i re di Francia, che li resero un cibo di corte, dando loro notevole prestigio. Da questo momento in poi le ostriche diventano un cibo di lusso, ritenute anche un afrodisiaco naturale, etichetta che le marcherà per decenni fino ai giorni nostri. Quindi, è grazie a questa nobile spinta data dai re che sono diventate così di moda in Francia, oggi ritenuta la patria per eccellenza delle ostriche

    Due. Le varietà 

    La varietà di ostrica più diffusa oggi è la creuse, che nel tempo ha sostituito l’altra, la plat. Quest’ultima, infatti, il cui nome deriva dalla forma piatta (plat in francese), è stata per anni la sola e unica tipologia presente in Europa. 

    L’ostrica creuse, “la concava”, prende anch’essa il nome dalla forma che invece è più “scavata” in quanto viene lavorata; è originaria dei paesi asiatici, i soli dove si trovava fino a inizio secolo. In seguito, intorno agli anni Venti, è arrivata in Europa, in particolare in Portogallo, in un modo curioso: attaccandosi naturalmente alle navi. Lentamente ha iniziato a propagarsi nei paesi europei fino a quando negli anni Sessanta due malattie, la martelia e la bonamia, hanno colpito duramente la plat, portandola quasi all’estinzione. Da questo momento in poi la creuse è diventata la varietà di ostrica più diffusa in assoluto, mentre la plat è oggi molto rara da trovare – e per questo è anche più cara. 

    Possiamo dire che il processo non è stato poi così diverso dalla sorte che è toccata alle vigne a piede franco dopo la fillossera, sostituita dal piede americano. 

    Tre. Il sesso e la riproduzione 

    Le ostriche sono maschio o femmina? In realtà poco importa, sono ermafrodite, ed è impossibile notare la differenza sia durante la produzione e l’allevamento che una volta nel piatto. Quello che sappiamo è che la creuse cambia sesso una volta nella vita, mentre la plat più volte. È nei mesi estivi, di solito tra giugno e agosto (dipende dalla temperatura dell’acqua), che le ostriche, indipendentemente dal genere, iniziano ad espellere latte e larve, invisibili all’occhio umano. Da queste larve, lentamente e con l’aumento della temperatura, si sviluppano delle piccole ostriche che si possono anche comprare in alcuni laboratori specializzati nella produzione di novellame; Paul, ad esempio, ne acquista solo il 5%, mentre il restante 95% è tutto di sua produzione. 

     

    Dopo circa due mesi, questi molluschi hanno bisogno di attaccarsi ad un supporto fisso. In caso di allevamento, il sostegno viene poi portato in laboratorio e qui, attraverso una macchina, le piccole ostriche vengono delicatamente staccate per evitare che si rompano e messe nelle cosiddette poche, delle sacche a rete in cui passano il resto della loro vita; di solito in una poche ce ne stanno circa 2000 quando sono piccole e fino ad un massimo di 180 quando sono più grandi. Se invece restano in natura, si attaccano alle rocce: a tal proposito, sappiate che il gusto di quelle selvagge rispetto a quelle allevate non cambia.

    Ostricoltura

    PH Axel Puvis de Chavannes

    Quattro. La stagionalità

    In passato le ostriche si potevano mangiare solo nei mesi con la R (come le rane), da settembre ad aprile. Il picco veniva raggiunto (questo ancora tuttora) a dicembre, tra Natale e Capodanno, quando in tutta la Francia il consumo di ostriche arrivava – e arriva  – per tradizione al suo massimo consumo. Attualmente, però, le cose sono in parte cambiate. 

    Questo infatti accadeva poiché non esistevano mezzi adeguati di trasporto con un sistema sicuro di refrigerazione che permettesse di portare le ostriche ovunque, ben conservate al fresco durante il viaggio. Oggi non è più così: grazie ai refrigeratori le ostriche si possono tranquillamente trasportare anche con il caldo, in qualsiasi stagione, e a qualsiasi distanza. 

    Ma c’è anche un altro motivo molto importante: per tutelare gli ostricoltori e far sì che abbiano un lavoro più continuo, quindi un’entrata economica assicurata tutto l’anno e non più solo a dicembre, di fatto per destagionalizzare il prodotto e la tradizione, è stata creata una nuova varietà in laboratorio. È l’ostrica delle 4 stagioni, o triploide, che copre soprattutto i mesi estivi da giugno a fine agosto/inizio settembre quando l’animale è in riproduzione e quindi pieno di latte (e non piacevole al gusto). Ma la triploide è tendenzialmente più debole: con il freddo, d’inverno, da ottobre a febbraio/marzo tende a dimagrire, poiché ha bisogno di un apporto energetico maggiore, mentre con il caldo ingrassa. Le altre, invece, hanno due picchi in autunno e in primavera, quando raggiungono il loro apice di grasso, cosa che molti preferiscono. Ma a fare la differenza è anche il tipo di allevamento. 

    Cinque. Il terroir e i diversi tipi di allevamento 

    Come vi abbiamo anticipato, a cambiare il gusto tra un’ostrica e l’altra, e a determinare una grande differenza è anche il tipo di allevamento, cioè i vari terroir delle ostriche. Quello in Charente-Maritime, ad esempio, viene fatto in metà acqua dolce e metà acqua di mare, il che sviluppa un gusto differente rispetto a quelle allevate in Normandia in pieno oceano, dove vivono sempre sott’acqua, condizione che regala alle ostriche un sapore più iodato, cioè salato. 

    Ancora diverse sono le ostriche bretoni, come quelle di Paul, che si trovano in un golfo chiuso e alimentato da due affluenti da cui entra l’acqua dell’Oceano Atlantico. Un microclima e un ecosistema ideale, ci spiega Paul, anche perché permette di allevarle non a terra ma su dei tavoli, ricoperti di acqua a seconda delle maree. Un’altro sapore ancora hanno quelle a sud della Francia, nella laguna di Thau, perché le ostriche non risentono più dell’acqua dell’oceano ma di quella del Mediterraneo. 

    Insomma, l’ambiente e l’ecosistema sono fondamentali per la loro vita e… il loro gusto. 

    Sei. L’ecosistema: ambiente, alimentazione e maree  

    L’ecosistema necessario per le ostriche è dato dall’equilibrio di mare, terra, sole, vento, acqua e pioggia. “Devono esserci tutti in modo equilibrato, nessuno deve prevalere: ad esempio non devono esserci troppe piogge o troppo sole”, continua Paul. Questi elementi determinano l’habitat ideale per le ostriche. Sarà forse superfluo precisare che fondamentale è anche la pulizia dell’acqua, che sia dolce, di mare o di oceano, poiché le ostriche si nutrono filtrando l’acqua e mangiando solo ed esclusivamente fitoplancton

    Anche le maree giocano un ruolo cruciale nell’ostricoltura, poiché influenzano il lavoro dell’ostricoltore e quindi la vita delle ostriche. Com’è noto, le maree sono legate alla Luna, con un coefficiente che ogni volta indica il livello raggiunto. A seconda di questo, è possibile o meno andare sul parco delle ostriche; ad esempio, quando c’è la Luna piena si lavora di più. Ma che cosa fa esattamente l’ostricoltore? 

    Sette. Il mestiere dell’ostricoltore 

    Ostricoltore a lavoro

    PH Axel Puvis de Chavannes

    Quello dell’ostricoltore è un mestiere che oggi vogliono fare sempre meno persone. “È duro, faticoso, molto fisico, un po’ come l’agricoltore; e come sappiamo c’è un generale abbandono dell’agricoltura, anche perché non ci sono mai giorni di ferie… Ma d’altronde la natura non si ferma!”, dice Paul. 

    In Bretagna e in Normandia, dove l’ostricoltura fa parte della cultura locale, questo mestiere si trasmette di generazione in generazione, ma non solo. È necessario infatti seguire degli studi in Agricoltura e poi Acquacoltura, come ha fatto Paul. “Mio padre non voleva che seguissi le sue orme, così per anni ho fatto altro: ho studiato Turismo e Commercio, ho girato il mondo facendo surf, ma poi mi sono accorto che avevo troppa fortuna a poter ereditare una professione a contatto con la terra e con il mare”. Pensate che in Francia, per sostenere questo mestiere, c’è una legge per cui ogni ostricoltore può rivendere o cedere i suoi ettari solo ed esclusivamente ad un altro ostricoltore. Il tutto per alimentare la coltivazione ed evitarne il più possibile l’abbandono. 

     

    Tra i principali compiti di un ostricoltore c’è in primis quello di togliere tutte le alghe che con l’aumento della temperatura si formano sulle poche e impediscono alle ostriche di respirare e nutrirsi, cioè di avere ossigeno e cibo. In secondo luogo, occorre spostare le poche a seconda della concentrazione di fitoplancton nell’acqua e in relazione all’età delle ostriche (le più grandi avranno bisogno di mangiare di più). Infine, non meno importante, l’ostricoltore deve occuparsi di tutto quello che riguarda la selezione e la classificazione delle ostriche per la vendita.   

    Otto. Il calibro dell’ostrica

    Sul mercato le ostriche vengono presentate con diversi numeri, che dipendono dal loro peso e dalla loro grandezza. Per le ostriche creuses il calibro va da 5 a 0: più il numero è piccolo, più l’ostrica è grande, quindi ad esempio una 5 corrisponde ad un’ostrica tra i 30 g e i 45 g, mentre una 0 ad un’ostrica di oltre 150 g. La numero 3, ci spiega Paul, è la più cara e la più ricercata, in quanto ha la misura perfetta, cioè con la giusta quantità di carne. “Le più apprezzate sono quelle più carnose, che hanno mangiato e si sono nutrite di più”, continua Paul. 

    In generale un’ostrica si può consumare a partire dai 2 anni e mezzo, anche se meglio aspettare che compia 3 ai 4 anni di vita, quando raggiunge il suo picco ottimale per il consumo. Ricordiamo che le ostriche le mangiamo vive, muoiono nel momento in cui le mettiamo in bocca o le cuociamo. Altrimenti, un’ostrica può vivere anche fino a 9 anni, età in cui è meglio consumarla cotta, come è diventato di moda tra alcuni chef, che la propongono “invecchiata” in varie ricette.  

    Ma oltre al fatto di mangiarle, che cosa minaccia la vita di un’ostrica? 

    Ostricoltore al lavoro

    PH Axel Puvis de Chavannes

    Nove. Che cosa minaccia la vita di un’ostrica

    Le ostriche sono molluschi bivalvi estremamente delicati. Pensate che ogni anno sopravvive solo il 50% della produzione in condizioni normali, cioè senza particolari malattie. Proprio di recente, lo scorso Natale 2023, quindi nel momento di massimo consumo, il norovirus ha colpito la maggior parte delle ostriche nel Bassin d’Arcachon, nella Gironde, vicino a Bordeaux. La causa è da rintracciarsi in un problema sempre più frequente nell’ultimo periodo, ovvero al fatto che le ostriche vivono in località marittime, spesso interessanti anche da un punto di vista naturalistico, e quindi molto richieste come luoghi di villeggiatura e vacanza. Questo comporta non pochi problemi per l’ostricoltura, poiché le stazioni di depurazione sono sovraccaricate e non riescono più a depurare l’acqua come dovrebbero. Così tutto va a finire in mare, che l’ostrica filtra per nutrirsi, come ormai sappiamo. Ma in generale virus e batteri tendono a svilupparsi di più con il caldo, nei mesi estivi, per questo bilanci e controlli si fanno solitamente a fine settembre. Inoltre, quando gli allevamenti si trovano in mare aperto, esiste anche un altro pericolo naturale: quello dei pesci predatori, cioè di alcune specie, oltre a quella umana, che amano mangiare ostriche. 

    Infine, c’è un ultimo aspetto che minaccia l’esistenza delle ostriche, ovvero un calo del loro consumo. 

    Dieci. Il consumo di ostriche oggi 

    Nel tempo le ostriche hanno subito quello che Paul chiama un “processo di democratizzazione”, per cui, soprattutto in Francia, non sono più quel cibo così raro e di lusso come un tempo. “In passato erano l’alimento chic che ci si poteva permettere solo a Natale, e si aspettava questo giorno per mangiarle, mentre oggi sono accessibili a tutti e sempre. Vi basti pensare che io ne vendo 12 a 6 euro!”, ci spiega Paul. Allo stesso tempo il loro consumo è calato tra le nuove generazioni anche per altri motivi secondo il nostro ostricoltore: “In primis perché si è affermato il fast food, un cibo più veloce, mentre un’ostrica richiede tempo, soprattutto per aprirla”. Una volta, infatti, il loro consumo era legato al fatto di trovarsi in famiglia la domenica o un giorno di festa per passare ore insieme ad aprire e mangiare ostriche con calma. 

    In secondo luogo perché questi molluschi non piacciono a tutti, soprattutto alle nuove generazioni, poiché richiedono una notevole educazione al gusto e al palato. “Per tutti questi motivi, la nostra sfida oggi è quella di riuscire a fidelizzare proprio loro, i più giovani, anche perché le ostriche sono un prodotto che fa estremamente bene alla salute, in quanto ricca di oligoelementi e di ferro. E poi, ricordiamoci che sono un afrodisiaco naturale!”. 

     

    E voi, cosa sapete sull’ostricultura? Eravate a conoscenza di tutto questo?

     


    Immagine in evidenza di: Axel Puvis de Chavannes

     

    Antropologa del cibo, è nata a Milano, dove ha fondato il Laboratorio di Antropologia del Cibo. Scrive per varie testate e il suo piatto preferito sono gli spaghetti alle vongole, perché per lei sono diventati un'idea platonica: "qualsiasi loro manifestazione nella realtà sarà sempre una pallida copia di quella nell'iperuranio". Nella sua cucina non mancano mai pistilli di zafferano, che prima coltivava!"

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