farina dagli scarti delle mele

Dagli scarti di mela una farina nutriente per fare il pane: il progetto della Libera Università di Bolzano

Angela Caporale
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    Dalla riscoperta della fermentazione alla creazione di nuovi ingredienti sostenibili e nutrienti. Questa è l’intuizione che ha portato alla produzione di una farina a partire dagli scarti delle mele che può “innovare” il pane. Autori e autrici del progetto di ricerca sono il team del Micro4Food Lab della Libera Università di Bolzano, ricercatori specializzati nei processi di fermentazione in ambito alimentare guidati dalla prof.ssa Raffaella Di Cagno e dal prof. Marco Gobbetti, microbiologi e docenti alla Facoltà di Scienze e Tecnologia, Tecnologia e con il supporto del Dr. Pasquale Filannino dell’Universitá degli studi di Bari, uno dei primi studenti tesisti della Prof.ssa Di Cagno. La “scoperta” di questo nuovo ingrediente è stata pubblicata in un articolo scientifico sulla rivista Food Chemistry e rappresenta un’innovazione che potrebbe aprire nuove frontiere che coniugano la lotta contro gli sprechi, la ricerca della sostenibilità e lo sviluppo della nutraceutica. Per approfondire che cosa hanno studiato i ricercatori altoatesini, che cosa si può fare con questa “farina” di scarti di mela e che caratteristiche ha, abbiamo intervistato proprio la professoressa Raffaella Di Cagno, coordinatrice del progetto.

    Raffaella Di Cagno

    Micro4Food Lab

    Dagli scarti delle mele una farina per fare pane fragrante e aromatico

    L’Alto Adige è terra d’elezione per la coltivazione delle mele, famose in tutto il mondo. E non sorprende che parta proprio da qui – dalla Libera Università di Bolzano – l’idea di trovare un modo innovativo e sostenibile per ridurre le eccedenze lungo la filiera. Da torsoli, semi e scarti di buccia, infatti, è diventato possibile creare un ingrediente nuovo, una farina, che si miscela perfettamente con quella per fare il pane e permette di ottenere pani fragranti e dalle note aromatiche spiccate. 

    La professoressa Di Cagno ci spiega che il progetto nasce nell’ambito di una collaborazione dell’Università con un’azienda altoatesina del settore alimentare e nota produttrice di strudel. “Insieme a loro ci siamo soffermati a ragionare sulla grande quantità di scarti di mele che producono durante l’anno e di dare nuova vita in alternativa a quanto già portato avanti dall’azienda. La maggior parte è infatti recuperata per la produzione di succhi. Il mio interesse era capire se c’era la possibilità di valorizzare ulteriormente questo scarto alimentare. Cercavo una soluzione a basso impatto e che non disperdesse i nutrienti presenti anche in queste parti.” Gli scarti delle mele (e non soltanto) sono, infatti, ricchi di nutrienti preziosi per la salute: l’obiettivo, dunque, è recuperarli e far sì che non vadano sprecati.

    scarti mele

    alicja neumiler/shutterstock.com

    La fermentazione è il procedimento perfetto, secondo il team di ricercatori, per ottenere questo obiettivo. “Sebbene sia considerata una delle più tradizionali e antiche opzioni per trasformare le materie prime in prodotti, pensiamo ad esempio allo yogurt” ci spiega la microbiologa, “oggi è rivalutata proprio perché consente di valorizzare materie prime e scarti.”

    Anche se parliamo di food innovation, la professoressa Di Cagno sottolinea  che in realtà si tratta di una procedura semplice e naturale perché parte da microorganismi – batteri lattici oppure lieviti – che sono già normalmente presenti negli scarti. “Il nostro intervento è stato quello di sfruttare la loro presenza, guidandoli per stimolare una particolare trasformazione”.

    Come avviene la fermentazione degli scarti delle mele

    Nel caso specifico degli avanzi delle mele, i ricercatori sono partiti da una massa composita di bucce, semi, residui di polpa, e hanno isolato e identificato i batteri lattici e i lieviti presenti. “In laboratorio, ho selezionato quelli più performanti per determinate capacità metaboliche e li ho aggiunti come starter in maniera tale che potessero dominare l’ecosistema e, quindi, favorire la fermentazione.” Durante il processo, si assiste a una trasformazione ulteriore delle componenti presenti negli scarti che, come ci spiega la professoressa, fanno sì che migliori il valore nutrizionale di alcuni componenti: “nel caso degli scarti delle mele, ad esempio, aumenta la biodisponibilità di fibre.”

    Il risultato è una sorta di purea ricca in composti fenolici, ovvero preziose sostanze antiossidanti che contrastano l’invecchiamento cellulare, ma che non può essere utilizzata di per sé. Per questa ragione, i ricercatori di Micro4Food Lab hanno optato per l’essiccazione ottenendo una farina, da utilizzare in diversi modi. “Ho immaginato due possibilità – un integratore alimentare e l’aggiunta alla farina del pane – ma nulla ci impedisce di sperimentare anche altre strade.” Nel caso del pane, risultano molto interessanti anche le osservazioni sul prodotto.

    scarti di mela farina

    Micro4Food Lab

    Che sapore ha il pane fatto (anche) con la farina di scarti delle mele fermentati?

    Avendo realizzato una farina a partire dagli scarti delle mele, la professoressa Di Cagno ha avviato una serie di esperimenti per trovare il giusto equilibrio per realizzare un pane “fortificato” con questo nuovo ingrediente. “Abbiamo fatto diverse prove per capire la percentuale giusta da aggiungere alla preparazione base per il pane, in maniera tale da non interferire con le caratteristiche, compreso il sapore del prodotto.”

    Il risultato, ci assicura, è sorprendente: sostenibile, nutriente e buono. “L’aggiunta della farina di scarti delle mele rende il pane più ricco di fibre e gli permette di rimanere fresco più a lungo. Inoltre, abbiamo riscontrato miglioramenti anche dal punto di vista della struttura del pane perché agisce positivamente sulla capacità di assorbimento dell’acqua.” Il pane si conserva meglio e ha sapore e aroma ottimi. “Questa farina” aggiunge la professoressa, “ha un effetto positivo anche sull’abbassamento dell’indice glicemico del prodotto, come dimostrato dalle analisi di laboratorio.”

     

    Questo nuovo ingrediente può essere utilizzato anche in altre preparazioni. “È aromatico e profumato, immagino si potrebbe impiegare insieme anche ad altre farine, ma anche nelle bevande o negli yogurt vegetali. E, soprattutto, pensiamo che il processo di fermentazione si possa applicare al recupero anche di altri tipi di scarti di origine vegetale.”

    Il team altoatesino, dunque, traccia una strada green e sostenibile di azione sugli scarti della filiera agroalimentare che punta sull’“invenzione” di nuovi ingredienti sostenibili, gustosi e interessanti dal punto di vista del profilo nutrizionale. “Elemento cruciale è la consapevolezza che la fermentazione – che può essere spontanea – può essere anche guidata selezionando i microrganismi che possono raggiungere un determinato obiettivo.”

    Altre eccedenze su cui la professoressa Di Cagno sta lavorando, mediante un progetto europeo (FUNBREW) applicando lo stesso principio, sono gli scarti della filiera della birra (trebbie), che “opportunamente fermentati arricchiscono e fortificano diversi prodotti quali pane, pasta e altri cereali per la colazione.”

    La riscoperta della fermentazione, dunque, non ci dona soltanto un modo nuovo per trattare le materie prime, ma disegna una traiettoria di innovazione e sviluppo che potrebbe dare vita a  nuovi ingredienti, per di più utilizzando gli scarti alimentari che altrimenti andrebbero buttati.

     

    Conoscevate questo progetto?

    Passaporto friulano e cuore bolognese, Angela vive a Udine dove lavora come giornalista freelance. Per Il Giornale del Cibo scrive di attualità, sociale e food innovation. Il suo piatto preferito sono i tortelloni burro, salvia e una sana spolverata di parmigiano: comfort food per eccellenza, ha imparato a fare la sfoglia per poterli mangiare e condividere ogni volta che ne sente il bisogno.

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