Enna: martino turista per cibo a enna

Adriana Angelieri

di Martino Ragusa. Quando verrete in Sicilia cominciate il vostro viaggio da dove non lo inizia mai nessuno: da Enna. A dire il vero sono pochi anche quelli che concludono il loro viaggio nella provincia ennese. Tranne il turismo "guarda-i-mosaici-e-fuggi" di Piazza Armerina, tutta questa zona, mi spiace dirlo, è piuttosto snobbata dai turisti. Io non vi suggerisco di cominciare da qui per essere ancora più snob di quelli che snobbano, ma perché avete tutte le ragioni per farlo.  Anzitutto, troverete sempre il modo, il tempo e l’occasione per vedere il resto. Non si lascia la Sicilia senza aver visto Palermo, Taormina, Agrigento, Segesta, Selinunte, Siracusa, Erice, Catania con l’Etna, Ragusa Ibla, Modica, Noto e le altre città barocche. E se si lascia indietro qualcuna di queste tappe la si programma per prima nel viaggio successivo. Difficilmente però sento dire "caspita, mi manca Enna! Devo tornare in Sicilia per vedere quella zona". E veniamo alle ragioni della visita. Tralascio le attrazioni artistiche e archeologiche perché sono scontate in tutta la Sicilia. Ancora una volta è un fatto di sensazioni, impressioni, atmosfere. Intanto, da questo suo cuore dimenticato, posto a quasi mille metri di altezza, potrete vederne una bella fetta di isola. C’e solo da sperare nel bel tempo, cosa molto probabile da queste parti, e il vostro sguardo coglierà orizzonti vasti e lontani come mai. Poi, senza neanche accorgervi, mentre gli occhi guarderanno la vostra mente comincerà a capire. Vedrete l’Etna, ma non è la cosa più importante. È tutto quello che c’è prima che conta: valli e colline a perdita d’occhio senza neppure una casa a disturbare la loro solitudine selvaggia. Poi, su un cucuzzolo, un paesone enorme. Poi ancora valli e colline e un altro paesone arrampicato su un’altra collina. Quel paesaggio di sola campagna, senza case né borghi vi racconterà antiche storie di latifondi e servi della gleba, del rapporto duro con la terra sempre troppo lontana da casa e pericolosa, della necessità di difendersi sempre da qualcuno o qualcosa e dell’importanza della famiglia.Qui troverete i siciliani meno smaliziati dal turismo, più ospitali, più entusiasti di conoscervi e disposti a farsi conoscere. Troverete una timidezza poco frequente nel resto dell’isola, una riservatezza che l’orecchio più attento può cogliere perfino nel dialetto secco, dalle vocali caparbiamente chiuse e dalla musicalità sobria e lineare. Chi, come me, proviene da una delle tante zone dove la comunicazione è affidata più al canto delle parole che al loro significato letterale, ha l’impressione di una comunicazione finalmente diretta e senza sottintesi, cosa rara in Sicilia dove si può scegliere ancora se "parlari chiaru" o "parlari pi 'nnimma", parlare chiaro o parlare per enigmi. Non so dirvi se questa sia la vera Sicilia, perché la vera Sicilia è ovunque e anzitutto nella contraddizione. E siciliana è la compostezza degli abitanti dell’interno come è siciliana l’esuberanza di quelli della costa. E troverete tracce dell’una e dell’altra negli uni e negli altri. Ve l’avevo detto abbiamo pochi termini di paragone, abitiamo l’isola più grande del Mediterraneo e la più vicina al continente, ma siamo isolani fino al midollo come se vivessimo su uno scoglio. Siamo gente del sud, ma abbiamo un senso isolano di separatezza dal continente uguale solo a quello degli inglesi, che non a caso si sono imparentati con mezza nobiltà palermitana. Quindi, se avete davvero voglia di conoscere noi e la nostra terra non dovreste lasciare indietro la sobrietà ennese che, scava scava, è presente anche nel venditore più chiassoso di Ballarò. Per dormire vi consiglio un’antica masseria dell’800 di grande atmosfera sia per la posizione nella campagna ennese che per l’architettura impostata su arditi recuperi: l’Agriturismo Bannata. Verrebbe da pensare che per trovare le tracce gastronomiche dell’antica Grecia si debba andare ad Agrigento o a Siracusa. Non è così. Queste due città furono, è vero, due massime potenze della Magna Grecia ma la loro posizione sulla costa nei secoli successivi favorì l’esposizione alle sovrapposizioni arabe, normanne, angioine, e spagnole con l’assorbimento di raffinatezze estranee al rigore agro-pastorale della cucina ellenica. Enna fu più “trascurata” dai conquistatori e la sua cultura originale meno manomessa. Qui i Siculi autoctoni praticavano il culto delle divinità agricole prima ancora che da Gela, Agrigento e Siracusa fossero importate le divinità greche Demetra e sua figlia Persefone (Cerere e Proserpina dei romani) e rimase radicato in modo formidabile, tanto che Salvatore Morgana nel 1412 (intendo dopo Cristo) parla delle “Cerealia” feste pagane di ringraziamento alla dea Cerere per il raccolto.Di tutto questo oggi è rimasta una cucina che mette in primo piano i prodotti della terra. Elaborandoli sempre – quello è un vizio siciliano – ma in modo più contenuto che altrove. Se, insomma, mangiando a Palermo, ad Agrigento o a Ragusa avrete la sensazione di assaggiare sempre un pezzo diverso di Storia, qui a Enna approderete a sapori più arcaici, al confine con la preistoria. Incontrerete i gusti forti del finocchio selvatico, degli asparagi selvatici e dei mazzareddi o marzareddi, in italiano amarelli, che sono germogli di una pianta spontanea della famiglia della senape. Conoscerete la frascatula, una polenta di farina di fave abbrustolite, condita con il finocchietto e la salsiccia aromatizzata con i semi di finocchio selvatico e cotta tra due tegole ricoperte di braci. Gli agnelli e i capretti sono arrostiti "alla greca", in grandi pezzi steccati con aglio e erbe aromatiche e anche i sontuosi "falsomagri" della cucina angioina, con ripieni ricchi e elaborati, vengono semplificati in una piccola polpetta ripiena di uovo sodo e formaggio. Quanto vi dico, però, va sempre recepito tenendo conto che la Sicilia è sempre e ovunque terra di contraddizioni. Perciò proprio a Enna, roccaforte della semplicità, troverete la più complessa ricetta di trippa in circolazione in Italia. È la trippa all’olivetana, un timballo con strati di trippa, melanzane fritte, ragù di carne, caciocavallo, primosale, uova sode, garofano e cannella. Non è un piatto pesante, è solo un po’ nutriente… Per mangiare vi consiglio l'Antica Hostaria di Enna, dove lo chef Michele Bonaccorso mi ha proposto per antipasto una rassegna di frittate talmente varia che a momenti mi commuovevo perché evocava la mia infanzia al pari di un album di vecchie fotografie: con la ricotta di pecora fresca, con i finocchietti selvatici, con le fave, con le patate, con i "mazzareddi" e con le verdure di campo miste alla ricotta. Ricordate che in Sicilia le frittate sono una cosa seria e che raramente ne troverete di migliori nel resto del Paese, quindi pensateci bene prima di ritenerle una preparazione banale e declinare l’invito ad assaggiarle. Oppure l'Agriturismo Gerace di Antonella Fontanazza e Ettore Coppola, dove potrete trovare una cucina familiare e tipica del territorio fatta con i prodotti provenienti da 23 ettari di terreno coltivato a ulivi, mandorli, ficodindia, vigne e ortaggi. Per acquistare prodotti tipici ennesi, come formaggio piacentino, conserve, vini e olio di oliva, vi segnalo la Salumeria Millesapori di Rossana Balsamo. Trovate la salsiccia Pasqualora all'Azienda Agricola Mulinello;il maccu di fave larghe all'Azienda Biologica di Orazio Leonforte; L'olio delle colline ennesi al Frantoio Madem di Villarosa Infine assaggiate la focaccia Vastedda Cu' Sammucu al bar-pasticceria Pour Toi di Giuseppe Cantagallo. Nella Pasticceria "Caprice" di Nicosia, Felice La Porta prepara i nucatoli, tipici dolcini nicosiani di pasta frolla, mandorla e limone aromatizzati con cannella e vaniglia. Da assaggiare sono anche gli zuccherini, con uova farina e zucchero e le cassatelle tipiche della vicina cittadina di Agira. Sono ravioli al forno ripieni di ricotta, cioccolato, mandorla, cannella e uva passa. Se poi andate ad Agira non me la sento di consigliarvi un posto per le cassatelle, le trovate eccellenti in tutti i bar-pasticcerie. A questo proposito, sappiate che mentre al nord c’è una distinzione netta tra bar e pasticcerie, con i bar che offrono una varietà di dolci meno interessante delle pasticcerie, in Sicilia questa distinzione si assottiglia perché i bar hanno quasi sempre una pasticceria propria e le pasticcerie accolgono sempre un angolo bar. Questa consuetudine deriva dal fatto che i siciliani vivono all’aperto gran parte della giornata, amano sedersi al tavolo di un bar per gustare un buon dolce accompagnato da un caffè. 

Siciliana trasferita a Bologna per i tortellini e per il lavoro. Per Il Giornale del Cibo revisiona e crea contenuti. Il suo piatto preferito può essere un qualunque risotto, purché sia fatto bene! In cucina non devono mancare: basilico e olio buono.

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