Oca a San Martino….ma non era castagne e vino?
In fatto di tradizioni culinarie per la festa di San Martino esistono due punti fermi che nessuno mai metterebbe in dubbio. Quanto è vero infatti che in Romagna “Par Sa’ Marten u s’imbariega grend e znèn” (per San Martino si ubriacano grandi e piccini), in Sicilia “A San Martino ogni mustu diventa vinu”.
Il vino, insomma, l’11 novembre unisce tutta Italia, così come le castagne. Quello che invece ci ha destabilizzato quando ci siamo messi alla ricerca di ricette e piatti tipici di questa festivitá è stato scoprire che in Veneto “Chi no magna l’oca a San Martin nol fa el beco de un quatrin!” (Chi non mangia l’oca a San Martino non fa il becco di un quattrino).
Ma ci è sembrato ancora più strano il fatto che i veneti, o almeno quelli che abbiamo interpellato noi, di oca a San Martino sapessero niente.
Ed è per questo che abbiamo deciso di scendere in fondo alla questione per capire meglio: cosa c’entra l’oca con San Martino?
Oche a San Martino: una questione padana
Per quanto su un campione di 8 veneti, 7 non conoscano l’esistenza dell’oca a San Martino, abbiamo appurato che l’11 novembre il nostro animale è presente sia nelle tavole di alcune città della Pianura Padana che del Friuli. La prima prova tangibile la troviamo a Padova, dove per San Martino, nei ristoranti della provincia, viene ancora oggi mangiata e celebrata l’oca padovana.
Altra testimonianza ci arriva da Marsano al Tagliamento, in provincia di Pordenone, dove ha una sua storica sagra che dura per quasi tutto il mese di novembre e che tocca il suo apice proprio per la cena dell’11 novembre, che prevede un menù interamente a base d’oca.
Ma è soprattutto in Lombardia che la tradizione dell’oca a San Martino resiste, sbandierando la sua ricetta tipica: il bottaggio, altrimenti detto cassoeula (ricetta solitamente preparata con la carne di maiale, che però conosce anche questa variante), consociuto anche come ragò d’oca, nonché oca con le verze, ingrediente che attenua alla perfezione il sapore intenso della carne di questo animale.
Dopotutto, la Lomabardia è la patria dei salumi d’oca: è in provincia di Pavia che troviamo infatti “la città dell’oca”, Mortara, in cui viene prodotto il cosiddetto “salame ecumenico”, un salume d’origine ebraica, prodotto con il metodo Koscher, di cui tempo fa vi abbiamo parlato in questo articolo.
Ma perché l’oca a San Martino?
La consuetudine, in realtà, non riguarda la sola Pianura Padana ma coinvolge molti paesi europei, Svezia e Danimarca in primis. Leggenda vuole infatti che gli abitanti di Tours (a cui sono legate le origini del santo) volessero nominare quello che poi diventò San Martino vescovo senza la sua approvazione e che lui, venutone a conoscenza, si fosse nascosto nel pollaio di un convento vicino per sfuggire alla nomina. A scoprire il nascondiglio sarebbero state proprio le oche che, starnazzando, attirarono l’attenzione degli altri abitanti facendolo scoprire: e da allora, per punizione, i pasti dell’11 hanno come piatto principale l’oca arrostita.
Metteteci poi che la nostra amica oca, fino ad un paio di decenni fa, era considerata tra i contadini padani il maiale dei poveri. Di lei, insomma, non si buttava via nulla, tanto meno l’11 novembre, data che coincideva con la fine dei contratti agricoli annuali e il pagamento delle tasse e dell’affitto da parte dei contadini ai proprietari terrieri: era quello il momento scoprivano se sarebbe rimasti o se, licenziati, sarebbe toccato “fare San Martino”, ovvero, traslocare.
Ora che abbiamo appurato che esiste la tradizione dell’oca per la festa di San Martino tocca a voi darci una mano: conoscete la ricetta originale del bottaggio? E quella dell’oca ripiena? Lasciateci un commento o scriveteci a redazione@ilgiornaledelcibo, la pubblicheremo con piacere.