Il Giornale del Cibo e la Compagnia del Cibo Sincero. Perche’?
Dopo aver partecipato alla Riunione dei Presidenti della Compagnia del Cibo Sincero, e riprendendo la campagna sul pubblico mangiare, Giuliano Gallini, Segretario Generale della Compagnia del Cibo Sincero e Direttore Commerciale di CIR food, scrive questo articolo lanciando una provocazione… il dibattito è aperto.
di Giuliano Gallini.
Quando abbiamo creato il sito web Il Giornale del Cibo e quando, un paio d’anni dopo, abbiamo fondato la Compagnia del Cibo Sincero avevamo l’obiettivo di riportare il buon senso nel mondo dell’alimentazione e della cucina. Obiettivo tanto arduo da risultare, me ne rendo conto, umoristico. I punti di vista dei fondatori (tra gli altri Martino Ragusa, Patrizio Roversi e io) erano diversi – Martino un gastronomo alle prese con la ridefinizione della cucina italiana, Patrizio un uomo di cultura e di spettacolo, io un dirigente d’azienda che deve assicurare la produzione ogni anno di settanta milioni di pasti completi, freschi e sicuri, a non più di 5 euro l’uno – ma tutti convergevano su un’evidenza: il discorso sul cibo in Italia è egemonizzato e condizionato da insopportabili snob. Ho citato Martino e Patrizio: ma la responsabilità di questa affermazione, e di tutto questo articolo, è ovviamente solo mia.
Il discorso sul cibo in Italia è egemonizzato e condizionato da vezzi, ideologie, valori à la carte, emotività. Tutti intramontabili connotati del birignao dello snob: nel nostro caso del raffinato gourmet, dell’elitario intenditore, del sofisticato e ricercato fustigatore del cibo a buon prezzo. Finché gli snob fanno birignao, si dirà, pazienza: basta non frequentare i loro salotti e il fastidio finisce lì. Non si corre neppure il rischio di incontrarli al ristorante: bazzicano templi che i comuni mortali non si possono permettere. Robe da trecento e passa euro a pasto. Robe da matti – o, appunto, da snob.
Fortunato chi si può permettere tavole del genere, fortunato – chi allestisce tavole del genere – ad avere un pubblico di ricchi sempre più ricco. E crepi l’invidia. Ma purtroppo la cosa non finisce lì. Siccome il discorso sull’alimentazione, sull’agricoltura e sulla cucina è egemonizzato da questi signori (tra i quali molti ristoratori stellati, gastronomi movimentisti, giornalisti, qualche politico e parecchi opinion leader) i danni che questi cattivi maestri hanno fatto e stanno facendo sono stellari.
I danni dei cattivi maestri
Qualche esempio? Con l’aiuto dei miei colleghi abbiamo raccolto uno stupidario alimentare. Sono le richieste che alcune amministrazioni pubbliche, travolte dalle posizioni elitarie di questi maestri, fanno alle aziende fornitrici di ristorazione collettiva per i servizi di refezione scolastica o sociosanitaria. Più che uno stupidario sembra un barzellettiere, ma purtroppo è realtà.
Viene chiesto: sale marino della Normandia, agnello e abbacchio bio reperibile solo in Scozia, pesce fresco reperibile solo a 1000 km di distanza dal luogo di consumo, il pane solo dal panificio del paese (che crea pericolosi monopoli) e così via. Non credo sia necessario sottolineare come queste richieste non migliorino la qualità del pasto, né contribuiscano alla salute dei consumatori/utenti, ma provochino solo costi inutili per le amministrazioni pubbliche o per le famiglie. Ma non si tratta solo di richieste assurde in merito alla tipologia delle materie prime. Anche per quanto riguarda i servizi vengono fatte richieste irrazionali. Valga per tutti il caso dei pasti in ospedale. Dietro la pressione di industrie produttrici di complicati carrelli e vassoi personalizzati si è finito per abbandonare la distribuzione ai reparti con il metodo della multi porzione alzando i costi e costringendo a trasporti con grandi camion con sponda idraulica aumentando l’inquinamento ambientale. Moltissimi capitolati, infine, premiano la ditta che propone le soluzioni più costose, invece di quelle che propongono le soluzioni più economiche, sane, sobrie, frugali. Tecnicamente sono chiamate migliorie: ma spesso sono solo sofisticazioni.
In sintesi: i vezzi, l’ideologia, le mode, l’emotività portano a un estremismo infantile che si traduce grosso modo nelle seguenti linee:
1. Solo biologico (anche se le quantità necessarie non sono reperibili sul mercato o sono reperibili facendo fare all’eroico prodotto migliaia di chilometri, con grande gioia dell’ambiente e della CO2)
2. Prodotti a chilometro zero (anche se entro i 5 chilometri c’è solo un produttore il quale poi se ne approfitta con il prezzo; e basterebbe andare 10 chilometri più in là per trovare una carota che costa la metà)
3. Il venerdì caschi il mondo ci deve essere in menù la carota biologica (me la prendo sempre con le carote ma, giuro, mi piacciono), anche se il mercato quel giorno non la propone o la propone a un prezzo esagerato (e non si possono dare zucchine invece di carote sennò è frode alimentare)
4. Il servizio va fatto con ipertecnologie (anche se costano e inquinano di più di sistemi semplici)
Stupidi e approfittatori
Conosco bene il settore della ristorazione collettiva ma penso che anche nella ristorazione commerciale, o al supermercato, non si fatichi a trovare irrazionalità, vezzi e mode che alzano in modo ingiustificato i costi per il consumatore e neppure fanno bene alla salute. E’ solo stupidità? Secondo l’intramontabile definizione di uno storico italiano è stupido chi fa del male agli altri senza che la sua cattiva azione abbia almeno una conseguenza favorevole per se stesso. Molte delle cose che ho detto sono determinate dalla stupidità di burocrati e ideologi: molte altre però sono dettate da interessi e da rendite di posizione spesso tanto elevate da essere inconfessabili.
Che fare?
Io mi sono stancato sia della stupidità sia degli approfittatori e quindi, con i miei colleghi in azienda, ho lanciato una campagna in difesa del Pubblico Mangiare. Mi riferisco al mangiare nelle scuole, negli ospedali: un servizio che fa parte del nostro welfare migliore ma che, a causa degli insopportabili elitarismi di cui ho parlato fino a ora, è lievitato nei costi e nei prezzi e rischia, anche per questo motivo (non solo ovviamente per questo), di scomparire. Per evitare questa tragedia bisogna riportare questi servizi a criteri di sobrietà, frugalità, equilibrio, buon senso: che non significa tornare indietro sul prodotto biologico, sulla filiera corta, sul chilometro zero e sulla salute degli utenti. Ma significa evitare le speculazioni cambiando metodi e filosofie dei criteri di aggiudicazione. Basta con le cosiddette migliorie, basta premiare chi promette di far spendere di più alla amministrazione pubblica o al singolo cittadino: è ora di premiare chi si ingegna a trovare soluzioni razionali, buone, salubri e poco costose. Per tornare all’inizio di questo articolo: chi si ingegna a trovare SOLUZIONI SINCERE.
Siamo stati preveggenti?
Il manifesto della compagnia del cibo sincero recitava: “…apprezziamo i prezzi ragionevoli; apprezziamo la capacità di coniugare i prodotti naturali, i prodotti rispettosi dell’ambiente, la buona cucina con prezzi abbordabili da tutti; apprezziamo chi riesce a realizzare questo equilibrio rispettando tutte le leggi senza scappatoie nel nero; apprezziamo le politiche che tendono a soddisfare con qualità anche i bisogni delle grandi masse e non solo quelle dei raffinati gourmet; apprezziamo chi si impegna a produzioni che siano sostenibili sia per l’ambiente che per la salute individuale che per le tasche dei consumatori.”
Vantarsi non è mai molto elegante ma siccome abbiamo scritto il manifesto prima dell’inizio della grande crisi del 2009 (che si sta ancora trascinando e che – ormai è chiaro – è una crisi sistemica e di lungo periodo) affermare che siamo stati lungimiranti e avveduti non è forse sbagliato. Non sono infatti mancati, allora, i risolini sarcastici; e molti insopportabili snob non hanno rinunciato a gridare: Ma come! E la Grande Cucina? I nostri amati Grandi Chef? E i prodotti di Grande e Unica Qualità? Non scherzo: ho discusso a lungo con uno di questi circa il costo giusto di una bottiglia di vino. Sosteneva: meno di 80 Euro a bottiglia io non la bevo! Meno di 80 Euro a bottiglia non è vino! E discorsi analoghi si facevano anche per il pasto delle mense scolastiche o ospedaliere. Follia.
Ora la spending review ha colpito anche il nostro settore. In questo provvedimento ci sono cose giuste e cose meno giuste. Non voglio qui affrontare questo discorso perché mi porterebbe su un piano politico e voglio per ora evitarlo. Ma può essere interessante informare che il decreto impone uno sforzo di risparmio anche sulle mense pubbliche. E’ stato chiesto di rinegoziare le condizioni e i prezzi di fornitura per trovare soluzioni meno costose a parità di salute e qualità. E secondo me questa richiesta non è scandalosa: ma è giusta e perseguibile se tutti abbandonano posizioni ideologiche ed elitarie.
Una modesta proposta
Scusatemi se, infine, non riesco a rinunciare a una modesta proposta. Molto diversa da quella di J. Swift: anche se visti i tempi che corrono potrà, però, apparire ugualmente satirica. Il nuovo direttore generale della Rai è stato questo mese assunto (pare anche con l’avvallo dei rappresentanti della cosiddetta buona società civile) a tempo indeterminato e con un salario di 650.000 euro anno. Per rispetto a quello che io chiamo sobrietà, frugalità, equilibrio, buon senso e che il governo chiama spending review non si potrebbe dimezzargli il compenso? Guadagnerebbe sempre dieci volte di più di un suo impiegato e potrebbe senz’altro continuare a permettersi (ammesso che gli piacciano) i ristoranti da 300 euro.
Si dice sempre che con i piccoli risparmi non si risolvono i problemi del Paese. Ben altro, ben altro è necessario, dichiarano i grandi economisti. Ma con la somma risparmiata sullo stipendio del direttore generale della RAI (che non diventerà per questo povero) sarebbe possibile aumentare lo stipendio a 100 persone di circa 270 euro al mese. Con quella somma i 100 fortunati potrebbero permettersi qualche volta di cenare fuori in un ristorante sincero da 30-40 Euro. Questi ristoratori vedrebbero aumentare la domanda e quindi riprenderebbero fiducia. E, così via, un po’ di crescita questo paese riuscirebbe finalmente a vederla.