dipendenza da cibo

Dipendenza da cibo: è possibile prevenirla?

Matteo Garuti
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    Fra i diversi disturbi del comportamento alimentare, la cosiddetta dipendenza da cibo è in aumento, specialmente nella fascia d’età più giovane, con ripercussioni gravi sia per la salute individuale che per la sostenibilità del sistema sanitario. Come diversi studi dimostrano, inoltre, le condizioni socio-economiche svantaggiate influiscono notevolmente sulla possibilità di entrare in questo tunnel di assuefazione. Per saperne di più sulla prevenzione e sul contrasto della dipendenza da cibo, abbiamo interpellato il professor Leonardo Mendolicchio, direttore sanitario di Villa Miralago importante centro per la cura dei disturbi alimentari e autore di pubblicazioni su questi temi.

    Dipendenza da cibo: come si riconosce?

    Per comprendere la dipendenza da cibo, il professor Mendolicchio invita innanzitutto a ragionare sull’obesità, che negli ultimi anni è cambiata in due aspetti rilevanti. Come dimostra l’esperienza clinica, infatti, oggi il fenomeno interessa sempre di più le fasce pre-adolescenziali, non a caso si parla soprattutto di obesità infantile.

    Rispetto al passato, inoltre, si osserva un’evoluzione verso i tratti tipici della dipendenza rispetto alla semplice iperfagia – l’eccessivo consumo di cibo – e all’alimentazione sregolata. Circa il 40% dei pazienti obesi medio-gravi sono mangiatori compulsivi, quindi quasi la metà di questi soggetti non sono grassi solo perché esagerano a tavola, ma in quanto colpiti da una particolare forma di assuefazione, che porta alle abbuffate frequenti e all’aumento di peso.

    cos'è la dipendenza da cibo

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    Quali sono i soggetti più colpiti?

    Le persone meno formate e meno istruite sono più esposte a questo rischio. I casi epidemiologici e gli studi scientifici, infatti, dimostrano chiaramente l’esistenza di un gradiente socio-culturale. Come puntualizza Mendolicchio, dove questo livello è più basso aumenta la propensione ai disordini alimentari, a partire dall’obesità.

    Potrà sembrare un paradosso, ma questa condizione riguarda maggiormente il Mezzogiorno d’Italia, un insieme di territori che vanta una qualità eccellente dei cibi e dove dovrebbe essere più forte la cultura popolare orientata sulla dieta mediterranea. Nella nostra intervista al professor Enzo Spisni, abbiamo approfondito le ragioni di questa progressiva perdita culturale, che ha determinato un peggioramento sul piano nutrizionale, proprio dove questo stile alimentare sano è nato.

    Zucchero e grassi: il ruolo dell’industria alimentare

    Le ultime considerazioni sul declino della vera dieta mediterranea si collegano alla diffusione di prodotti alimentari che fomentano la dipendenza. Secondo il professor Mendolicchio si tratta dei cosiddetti cibi palatabili o iper palatabili, strutturati sul piano dei macronutrienti per suscitare il desiderio continuo e l’assuefazione.

    I prodotti che per antonomasia favoriscono questo processo sono le bibite gassate zuccherate, sulle quali gli organismi sanitari hanno da tempo lanciato l’allarme. Addizionare una bevanda con il glucosio, infatti, innesca una serie di circuiti di dipendenza cerebrali, che portano a desiderarla sempre più e con più frequenza: è quanto accade con tutte le sostanze che producono assuefazione.

    cibi ricchi di zucchero

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    Da questo punto di vista, il glucosio è l’ingrediente più semplice e potente in grado di attivare questo tipo di dipendenza a livello cerebrale, agendo sullo stesso asset neuronale delle dipendenze patologiche, come quella da cocaina o altre sostanze. Tuttavia, anche l’implementazione con i lipidi contribuisce a questa situazione, come abbiamo visto nel nostro approfondimento sulla dipendenza da zucchero. Non a caso, sono essenzialmente il glucosio e i grassi a maggior ragione se combinati fra loro a rendere il cibo iper palatabile.

    Pertanto, la questione non si limita ai soft drink: tutti i cosiddetti cibi spazzatura o junk food, che stimolano il gusto e i meccanismi di gratificazione, possono innescare una vera e propria assuefazione. Per i bambini e per le persone più svantaggiate sul piano socio-culturale può essere più facile cadere in questo cortocircuito, causa frequente dell’obesità.

    Come si combatte la dipendenza da cibo?

    Come sottolinea Leonardo Mendolicchio, individuare i disturbi alimentari più frequenti purtroppo, è spesso abbastanza difficile, a causa della mancanza di dati epidemiologici precisi e attendibili su questi fenomeni. L’esperienza clinica, tuttavia, ne evidenzia un aumento generale, con bulimia e binge eating disorder (disturbo da alimentazione incontrollata) che si collegano maggiormente al problema della dipendenza da cibo.

    Non vanno però trascurate altre condizioni, tra le quali l’ortoressia, l’ossessione per il mangiare sano, socialmente più accettata in un momento storico dove si valorizza l’alimentazione “corretta”. Ad ogni modo, il problema della dipendenza da cibo è molto ampio e rilevante. L’allerta sull’obesità nei Paesi occidentali, peraltro, è stata riconosciuta da tempo dall’Organizzazione mondiale della sanità, anche rispetto alle risorse da impiegare per la salute pubblica. L’impatto, infatti, è davvero ingente anche in termini di costi sanitari.

    Considerando tutte le ripercussioni sulla salute, quindi, un adolescente che oggi è obeso probabilmente da adulto graverà molto sul sistema sanitario. L’intervistato ricorda che spesso sono proprio i genitori a chiedere aiuto, perché hanno figli di 7-8 anni gravemente in sovrappeso, nonostante i pediatri siano allertati sul tema e propongano continuamente interventi educativi familiari per arginare il fenomeno, attività che non sempre risultano efficaci.

    bambini e cibo

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    Recuperare consapevolezza sull’alimentazione

    Per prevenire la comparsa di dipendenza da cibo e altri disturbi, secondo il professore, è importante avere consapevolezza su cosa e su come mangiamo, perché proprio la mancanza di queste fondamenta socio-culturali determina la base delle problematiche alimentari.

    Anziché i etichettare alcuni cibi come responsabili o indicatori della dipendenza, bisognerebbe tener conto in senso ampio della qualità e delle quantità di quello che mangiamo. Viviamo in una società dove il rapporto col cibo è alterato ed eccessivamente spettacolarizzato, e non di rado le nostre scelte sono influenzate da logiche di mercato. Siamo sempre meno cittadini e sempre più consumatori, figure più facilmente indirizzabili verso determinati stili di acquisto. L’alimentazione, in questo senso, è uno dei settori strategici di maggior valore economico.

    Più che incriminare un insieme di cibi, perciò, dobbiamo renderci conto che un vuoto di cultura lascia campo libero a chi mira solo al profitto. Anche le tasse sul cibo spazzatura, pur essendo potenzialmente utili, in un certo senso si rivelano un paradosso del capitalismo moderno, con l’idea di guadagnare su un vizio allo scopo di placarlo.

    Sul piano formativo, quindi, il vero punto chiave su cui fare leva è l’idea di mettere le persone nella condizione di avere consapevolezza sull’atto del mangiare, che per sua natura è un momento di socialità, condivisione, piacere e cultura.

    come migliorare il rapporto con il cibo

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    Individuare le basi della dipendenza

    Per combattere la dipendenza da cibo, secondo Leonardo Mendolicchio, bisogna innanzitutto lavorare sulle cause alla base di questo disturbo. Nella nostra società il disagio e il malessere vengono spesso silenziati con una serie di ausili, dagli stupefacenti al cibo. Il problema è capire come trovare un equilibrio psico-fisico tale da non dovere ricorrere alle sostanze per sentirsi meglio.

    Inoltre, è necessario ragionare su come gli individui percepiscono il tema dell’alimentazione, che talvolta può essere vissuto in modo bipolare e ossessivo. Da un lato, si può essere troppo cibofilici, ovvero troppo innamorati del cibo. Pensiamo, ad esempio, al volume di investimento in ambito food che viene effettuato a livello massmediatico, in una società dove il tema dell’alimentazione è altamente enfatizzato.

    Dall’altro lato, invece, la nostra realtà è anche cibofobica, perché viviamo con una preoccupazione spesso esagerata sui possibili danni dovuti a eccessi o carenze di nutrienti. Queste situazioni finiscono per accrescere il disagio psichico, poiché in molti individui esiste un conflitto inconscio sull’alimentazione, che può rivelarsi davvero forte e dannoso. Si può anche manifestare una sorta di controllo nocivo e insensato dell’astinenza dal nutrimento, con le diverse forme ortoressiche e anoressiche, oppure la necessità di mangiare in modo compulsivo e smodato.

    Come ricostruire il rapporto col cibo?

    cucinare in famiglia

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    Una prevenzione efficace, quindi, mira a orientare il discorso sociale e culturale sul cibo, cercando di alleggerire la pressione mediatica e gli effetti ossessivi che questa può fomentare. Inoltre, è necessario intervenire in ottica preventiva sulle varie forme di disagio, cercando, anche nell’età preadolescenziale, di ricostruire un rapporto con l’alimentazione legato alla tradizione, ai gusti autentici e ai territori. Ciò che deve appagare è il rito sociale del cibo, con la condivisione e la preparazione degli alimenti, e non il mangiare da soli in modo incontrollato.

    Infine, secondo Leonardo Mendolicchio, è importante che l’educazione alimentare non si concentri unicamente sulla promozione di una dieta nutrizionalmente corretta, ma anche sul senso profondo dell’alimentazione. Di programmi educativi se ne fanno moltissimi, e spesso non funzionano. La partita, in sostanza, non si gioca solo sulla nutrizione sana, ma anche e soprattutto sul senso dell’esperienza del mangiare, come abbiamo sottolineato anche parlando del progetto Neu Lab, lanciato a Bologna dal professor Emilio Franzoni, allo scopo di prevenire i disturbi alimentari.

     

    Avevate sentito parlare della dipendenza da cibo e delle soluzioni per evitare e superare questa condizione?

    Matteo è nato a Bologna e vive a San Giorgio di Piano (Bo), è giornalista, sommelier e assaggiatore di olio d'oliva, ha collaborato con il Dipartimento di Scienze e Tecnologie agro-alimentari dell'Università di Bologna. Per Il Giornale del Cibo si occupa di attualità, salute, cultura e politica alimentare. Apprezza i cibi e le bevande dai gusti autentici, decisi e di carattere. A tavola ama la tradizione ma gli piace anche sperimentare: per lui in cucina non può mancare la creatività, "perché è impossibile farne a meno!"

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