tasse sul cibo spazzatura

Tasse sul cibo spazzatura: sono la strada giusta per un’alimentazione più sana?

Matteo Garuti

Le tasse sul cibo spazzatura da alcuni anni sono considerate con attenzione, nell’ambito degli strumenti per contrastare i danni alla salute dovuti a un’alimentazione troppo ricca di zuccheri e grassi. Ci sono Paesi che hanno già introdotto questa politica fiscale, mentre in altri, come l’Italia, si discute sull’opportunità e sull’utilità di una tassazione simile. Il dibattito è aperto, anche e soprattutto in merito alla reale efficacia di un incremento fiscale sul cosiddetto junk food. Ci occupiamo spesso di alimentazione dal punto di vista della salute, come nella nostra intervista alla dottoressa Luisa Zoni, dietologa dell’Ospedale Bellaria-Maggiore di Bologna, sui disturbi del comportamento alimentare. Stavolta approfondiremo il tema delle tasse sul cibo spazzatura, indagando i diversi aspetti coinvolti da questi strumenti economici.

Tasse sul cibo spazzatura: perché?

junk food tasse

Associare al cibo il concetto di “spazzatura” è sempre spiacevole. Tuttavia, i danni causati da un’alimentazione dominata da prodotti alimentari industriali che rientrano nella categoria dei junk food sono ampiamente dimostrati. Come sappiamo, l’eccesso di zuccheri e grassi saturi è la principale causa dell’obesità, che a sua volta favorisce la comparsa di alterazioni anche molto gravi, come le patologie cardiovascolari e respiratorie, ma anche i tumori e il diabete. In molti Paesi del mondo, compresi quelli in via di sviluppo, il problema sanitario dovuto al sovrappeso è diventato una vera emergenza, che coinvolge anche i bambini e pesa sempre più sui bilanci sanitari nazionali. In questo computo, che può apparire arido, sono poi da aggiungere rilevanti fattori di costo sociale indiretto, come il calo di produttività lavorativa, le possibili disabilità e la morte prematura. Le ragioni delle tasse sul cibo spazzatura si fondano su questi presupposti.

Una scorciatoia per fare cassa?

Il quadro appena descritto contribuisce a spiegare l’opportunità di introdurre provvedimenti fiscali mirati, volti a guidare i cittadini verso un’alimentazione più sana. Risulta chiaro, inoltre, che in una situazione di difficoltà economica diffusa l’introduzione di tasse su prodotti superflui e dannosi si accredita come una strada percorribile. Questi strumenti fiscali, di fatto, sono concettualmente associabili alle tasse su tabacchi e alcolici.

Le campagne di educazione alimentare sono costose e richiedono tempi lunghi per avere effetto. Anche per questi motivi, agli occhi dell’opinione pubblica le tasse sul cibo spazzatura possono essere viste come una sorta di “scorciatoia” per i governi, interessati a contrastare il problema dell’obesità senza gravarsi di ulteriori spese. Va detto, però, che quando sono state applicate, queste imposte non hanno trovato particolare ostilità da parte dei cittadini.

tasse sul cibo

Misure suggerite dalle organizzazioni sanitarie

Al netto delle considerazioni precedenti, le principali autorità sanitarie, a partire dall’Organizzazione mondiale della Sanità, suggeriscono e auspicano l’introduzione di tasse sul cibo spazzatura. L’obiettivo è quello di penalizzare la domanda di junk food, promuovendo il consumo di vegetali, ma anche la riformulazione in chiave più salutistica delle ricette dell’industria alimentare.

Opposizioni e difficoltà

Le proposte per introdurre tasse sul cibo spazzatura devono fronteggiare alcuni problemi rilevanti. Come è facilmente intuibile, le aziende produttrici e le rispettive associazioni di categoria osteggiano queste misure, che nei Paesi dove le lobby dell’industria alimentare sono particolarmente forti – su tutti gli Stati Uniti – faticano molto a vedere la luce. Gli interessi delle aziende talvolta riescono a influenzare la politica, che peraltro molto raramente si mostra compattamente favorevole a questi provvedimenti fiscali.

Inoltre, le tasse sul cibo spazzatura accusano delle difficoltà strutturali da considerare. L’obiezione principale e più fondata di chi le critica sottolinea che la composizione dell’insieme dei cibi da etichettare come junk food non è semplice né unanimemente condivisibile. Ancor più delicato è l’aspetto economico-sociale, perché l’aumento dei prezzi grava soprattutto sui cittadini più poveri, che dedicano al cibo una percentuale maggiore del proprio denaro. Per questo, la tassazione deve evitare effetti compensatori negativi, come l’ulteriore riduzione di vegetali e nutrienti nobili nella dieta delle fasce deboli.

Il dibattito in Italia

olio di palma

In Italia si inizia a discutere di tasse sul cibo spazzatura all’inizio del 2012, a seguito di una proposta in questa direzione del governo Monti. L’ipotesi, criticata e additata come ennesimo balzello per fare cassa, è presto accantonata. Nel 2016 viene presentata una seconda proposta più articolata, di iniziativa parlamentare. Il disegno di legge prevedeva un aumento dell’Iva al 22% sull’olio di palma e di palmisto e sui grassi idrogenati, allo scopo di promuoverne la sostituzione con altri oli vegetali con caratteristiche nutrizionali preferibili. Inoltre, il ddl avrebbe vietato i junk food nei menù della ristorazione ospedaliera e scolastica.

Per le bibite zuccherate si richiedeva un prelievo fiscale aggiuntivo, da destinare a campagne di informazione alimentare. Le etichette avrebbero dovuto riportare avvertenze specifiche sul rischio di obesità dovuto a un consumo eccessivo di questi prodotti. Più recentemente, si è parlato di una tassa sulle bibite zuccherate da inserire nell’ultima manovra economica. La proposta, tuttavia, ha trovato subito la contrarietà del viceministro dell’Economia e di Assobibe, l’associazione di Confindustria dei produttori di bevande analcoliche. A oggi, in Italia, la tassa sul cibo spazzatura resta un’ipotesi ancora lontana dalla realtà.

L’Iva sui prodotti alimentari

Per valutare meglio l’opportunità di una tassa sul cibo spazzatura in Italia, è utile conoscere più nel dettaglio l’applicazione dell’Iva sui generi alimentari nel nostro Paese.

  • Iva al 4%. L’aliquota più contenuta è prevista per gli alimenti considerati di prima necessità e alla base dell’alimentazione. Rientrano in questa categoria: frutta e verdura non conservata, latte e formaggi, burro e oli vegetali, conserve di pomodoro, farine, legumi, cereali, pane, pasta e affini.
  • Iva al 10%. A questa percentuale corrisponde un insieme molto ampio ed eterogeneo di prodotti. Fra questi: carni di tutti i tipi, pesci, uova, zuccheri, miele, biscotti, caramelle, cacao e cioccolato, caffè, yogurt, panna, salse e sughi, spezie, omogeneizzati, alimenti dietetici, grassi animali, marmellate, vegetali conservati, aceti, estratti.
  • Iva al 22%. L’aliquota più alta è riservata ai beni ritenuti meno indispensabili o di pregio. Fra questi: alcolici e bevande analcoliche, aragoste, astici, ostriche e tartufi, ma anche sale e acque minerali.

Le tasse sul cibo spazzatura nel mondo

junk food

In alcuni Paesi le tasse sul cibo spazzatura sono già una realtà, mentre in altri si stanno studiando provvedimenti fiscali in questa direzione. Ecco alcune diverse casistiche, in Europa e nel mondo.

Francia

La legislazione francese da anni è all’avanguardia in materia di politiche legate al settore agroalimentare. Come abbiamo visto in un precedente approfondimento, la Francia è stato il primo Paese al mondo a dotarsi di una legge contro lo spreco alimentare. Nel 2012, inoltre, è stata introdotta una prima tassa di circa 7 centesimi al litro sulle bibite zuccherate. Oltre a garantire all’erario circa 280 milioni di Euro all’anno, l’imposta ha portato a un leggero calo delle vendite di bibite, pari al 3,3%, a fronte di un aumento di prezzi del 5%.

Recentemente, il governo francese si è espresso con nettezza a favore di un’imposta specifica o di un aumento mirato dell’Iva sui cibi ritenuti più dannosi, in relazione al profilo nutrizionale. L’ipotesi di un’unica tassazione su tutti gli alimenti considerati “spazzatura”, ad ogni modo, resta la più accreditata. Nella lista dei “cattivi”, quindi, rientrerebbero dolciumi, energy drink e merendine, che potrebbero subire un aumento dell’imposta sul valore aggiunto pari al limite massimo. Pertanto, molti cibi che al momento sono tassati per il 5,5% verrebbero gravati per il 20%. La preferenza per una tassazione unica sarebbe motivata dal fatto che l’obesità è favorita da una molteplicità di ingredienti.

Per le famiglie meno abbienti si prevedono aiuti per compensare le tasse sul cibo spazzatura. Tra le ipotesi compensative, per le fasce più svantaggiate sono stati considerati un aumento degli incentivi sui farmaci contro l’obesità e piani di educazione alimentare. Oltre a questo, nell’iniziativa rientrerebbero limitazioni sulla pubblicità e sull’esposizione in vetrina dei junk food, ma anche una riduzione delle porzioni nelle mense. Vedremo se il nuovo governo francese vorrà dare seguito a questa iniziativa.

Regno Unito

Il governo inglese si era espresso a favore di un piano per contenere il consumo di zuccheri, basato su una tassazione rivolta a produttori e importatori di bibite. Tuttavia, con l’insediamento del primo ministro Theresa May questo progetto, almeno per il momento, non ha avuto seguito. Nel Regno Unito, comunque, sono vietate le pubblicità televisive di junk food rivolte ai bambini.

Germania

Recentemente, la Germania si è distinta per una proposta che si differenzia dalle normali tasse sul cibo spazzatura. L’iniziativa tedesca, infatti, parte da una considerazione di carattere ambientale, classificando i prodotti in base alla loro impronta carbonica, ovvero all’emissione di gas serra che provocano. L’Agenzia federale per l’ambiente tedesca (UBA), denunciando i sussidi alle industrie accusate di nuocere all’ambiente, ha proposto di alzare l’imposta sul valore aggiunto dal 7 al 19% sulle carni e sui prodotti del settore lattiero-caseario. Dal Secondo dopoguerra, infatti, queste produzioni godevano di una tassazione ridotta, per favorire la diffusione dei cibi proteici anche fra le classi più povere. Parallelamente, la proposta di UBA indicava una riduzione delle imposte per i prodotti ortofrutticoli.

obesità nel mondo

Le considerazioni alla base della proposta sottolineano che la carenza proteica tipica del Dopoguerra oggi non esiste più. Di contro, ai giorni nostri il problema sarebbe quello dell’obesità e dell’eccesso di proteine nella dieta, che andrebbe a sommarsi allemergenza del riscaldamento globale, in parte dovuto proprio alle abitudini alimentari contemporanee. In Germania, gli allevamenti contribuirebbero per circa il 10% alle emissioni di gas serra. L’idea di tassare latte, burro, würstel e altri prodotti tradizionali di origine animale, tuttavia, non ha ricevuto il favore delle forze politiche, nemmeno degli ambientalisti. Questa iniziativa, comunque, è la prima ad avere evidenziato l’opportunità di un’azione a tutto tondo contro il riscaldamento globale. Per contrastare davvero i cambiamenti climatici, anche le abitudini alimentari non possono rimanere invariate.

Danimarca

Nel 2011 la Danimarca ha approvato una tassazione maggiorata sui cibi con un contenuto di grassi saturi superiore al 2,3%. Il provvedimento, però, si è rivelato un insuccesso e dopo soli quindici mesi è stato eliminato. La maggior parte dei consumatori aveva mantenuto le proprie abitudini, orientandosi verso marchi più economici.

Ungheria

Nei Paesi dell’Europa orientale le abitudini alimentari dannose sono piuttosto diffuse, con un forte consumo di zuccheri, sale e grassi di origine animale. In Ungheria dal 2012 è stata introdotta una tassa sul cibo spazzatura calcolata a seconda degli alimenti, che pare essersi rivelata molto efficace. Secondo una rilevazione del 2013, le vendite dei prodotti tassati sono calate del 27%, indirizzando i produttori a riformulare le ricette di diversi alimenti. Le maggiori entrate dovute alla tassa sono destinate alla spesa sanitaria.

USA

Negli Stati Uniti l’obesità e le abitudini alimentari dannose rappresentano una vera calamità. L’impegno per un’alimentazione più sana ha vissuto un forte impulso con l’amministrazione Obama, grazie anche all’impegno della first lady Michelle. L’ipotesi di introdurre tasse sul cibo spazzatura, però, ha sempre dovuto scontrarsi contro il volere dei grandi colossi dell’industria alimentare. Al momento, le campagne d’informazione e le pubblicità shock rappresentano gli strumenti più utilizzati negli USA, ma non sono stati approvati provvedimenti fiscali federali. L’insediamento della presidenza Trump può far presagire un passo indietro, o quantomeno un rallentamento, nella guerra al junk food.

Messico

Il Paese centroamericano rappresenta un caso interessante e già oggetto di studi. In Messico l’obesità e i problemi di salute a essa correlati sono particolarmente diffusi e rappresentano un’emergenza seria per la salute pubblica, come negli USA e forse anche più. Per questo nel 2014 il Paese si è dotato di una tassa sul cibo spazzatura, con un’impostazione simile a quella che si vorrebbe seguire in Francia. Il provvedimento che vale l’8% del prezzo base interessa tutti gli alimenti non essenziali con un apporto energetico pari o superiore a 275 chilocalorie per 100 grammi di prodotto. Indicativamente, rientrano in questa lista dolciumi, patatine, snack e gelati.

furto al supermercato

Dopo più di un anno dall’introduzione, uno studio pubblicato su Plos Medicine ha certificato l’efficacia – seppur contenuta – del provvedimento sui consumi di cibo spazzatura, che sono calati del 5,1%, una quantità pari a 25 grammi pro capite al mese. Il provvedimento è risultato più efficace per le fasce di reddito più basse, peraltro maggiormente soggette al rischio di obesità, che hanno ridotto il consumo di junk food del 10,2%. Anche se lo studio presentava limiti metodologici, il trend è parso chiaro. Tuttavia, come vedremo più avanti, l’efficacia potrebbe essere incrementata.

Le tasse sul cibo spazzatura funzionano?

Dopo aver considerato la casistica internazionale relativa alle tasse sul cibo spazzatura, è lecito chiedersi se e quanto questi strumenti siano davvero efficaci per contrastare le cattive abitudini alimentari. Il dubbio, come detto, è alimentato dalle numerose critiche subite da provvedimenti di questo tipo, provenienti sia dal mondo politico che – ovviamente – dalle aziende del settore. Una ricerca pubblicata dall’Ufficio europeo dell’Organizzazione mondiale della Sanità, tuttavia, sembra sgombrare il campo dall’incertezza.

Per essere efficaci

Lo studio dell’OMS sostiene le tasse sul cibo spazzatura, confermando che questi provvedimenti rappresenterebbero una giusta politica fiscale in difesa della salute pubblica. Questa opzione, pur non essendo l’unica da attuare, avrebbe un’alta capacità di avviare miglioramenti nelle abitudini alimentari. Anche uno studio del 2012 dell’Università di Oxford pubblicato sul British Medical Journal giungeva a conclusioni simili, fissando un limite minimo per la tassazione. In estrema sintesi, ecco quali sono i principali aspetti evidenziati dalle ricerche.

  1. La tassazione, prima di tutto, deve considerare l’elasticità della domanda di un prodotto, ovvero quanto un aumento di prezzo può far diminuire il consumo. Questo aspetto può cambiare nel tempo, in base alle abitudini dei consumatori e alle possibili alternative di acquisto.
  2. È fondamentale che l’incremento del prezzo ricada in toto sul consumatore, e non sia assorbito o mitigato dai produttori. Le aziende, per evitare un drastico calo di vendite, potrebbero far fronte al provvedimento abbassando i prezzi, fenomeno che si è già verificato in Francia e in Danimarca, per reagire alle tassazioni sopra citate.
  3. Le tasse sul cibo spazzatura per essere davvero efficaci dovrebbero provocare un aumento di prezzo non inferiore al 20%. Risulta evidente che per attuare provvedimenti così drastici serve coraggio e consenso politico.
  4. L’incremento di prezzo deve coinvolgere un’ampia gamma di prodotti ritenuti poco salutari, e non concentrarsi su pochi alimenti.
  5. La tassazione deve essere abbinata ad incentivi per il consumo di cibi sani, come la frutta e la verdura.

È chiaro che le tasse sul cibo spazzatura non devono essere provvedimenti isolati al solo fine di recuperare risorse economiche, ma vanno inserite all’interno di piani strutturati di educazione e informazione. Il dibattito resta aperto, e presumibilmente le soluzioni adottate nei diversi Stati continueranno a differenziarsi. L’obiettivo, comunque, rimane quello di formulare proposte in grado di correggere le abitudini alimentari, alleggerendo la spesa sanitaria.

Dopo questo approfondimento sulle tasse sul cibo spazzatura, può essere interessante leggere i nostri articoli sulle diete dannose da evitare, sulla predisposizione genetica all’obesità e su un artista che utilizza il junk food per realizzare le sue curiose opere.

Fonti:
Organizzazione mondiale della Sanità
Senato della Repubblica Italiana
ANSA
Confagricoltura
Health Spectator
Plos Medicine
British Medical Journal

Matteo è nato a Bologna e vive a San Giorgio di Piano (Bo), è giornalista, sommelier e assaggiatore di olio d'oliva, ha collaborato con il Dipartimento di Scienze e Tecnologie agro-alimentari dell'Università di Bologna. Per Il Giornale del Cibo si occupa di attualità, salute, cultura e politica alimentare. Apprezza i cibi e le bevande dai gusti autentici, decisi e di carattere. A tavola ama la tradizione ma gli piace anche sperimentare: per lui in cucina non può mancare la creatività, "perché è impossibile farne a meno!"

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