Crescentine o tigelle

Crescentine o tigelle? All’origine di un “must” emiliano

Angela Caporale
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    La secolare disputa culinaria e linguistica tra Bologna e Modena ha radici storiche e si costruisce su questioni quasi impossibili da risolvere. L’esempio più eclatante è sicuramente quello dell’origine dei tortellini, che ciascuno dei due territorio attribuisce a sé. Ma quest’oggi vogliamo parlare di un’altra preparazione tradizionale che divide l’Emilia: quella delle tigelle, chiamate nel modenese crescentine. Chi vuole farsene una scorpacciata, non deve fare altro che consultare i nostri indirizzi preferiti a Bologna, mentre quest’oggi parliamo della storia e della ricetta delle tigelle per cucinarle direttamente in casa… e chiamarle come preferite, perché in molti si chiedono se sia corretto crescentine o tigelle!

    tigelle bolognesi

    Claudio Caridi/shutterstock.com

    Di cosa parliamo quando parliamo di crescentine o tigelle

    Se volessimo semplificare la questione potremmo dire che a Bologna possiamo scegliere tra mangiare una tigella oppure una crescentina fritta, mentre a Modena la scelta è tra crescentina e gnocco fritto. Nel primo caso, intenderemmo mangiare un tipo di pane dalla tipica forma a disco preparata al forno o nel “tigelliere”, mentre nel secondo una pasta fritta. In entrambi i casi, farcita con salumi e formaggi tipici della zona.

    Si tratta, tuttavia, di una questione più profonda e controversa che si spiega anche in virtù del fatto che l’identità linguistica e gastronomica di entrambe le città è molto forte. Di conseguenza, non c’è una forma lessicale che sia prevalsa in maniera inequivocabile e, tutt’oggi, nelle due città troviamo entrambe le forme – tigella e crescentina – per definire la stessa preparazione.

    Quello su cui sono d’accordo sia a Modena che a Bologna è il ruolo sociale e conviviale delle crescentine/tigelle. Si tratta, infatti, di una ricetta fatta per le cene e i pranzi in compagnia, pronte per essere tagliate a metà e farcite a piacimento ma in compagnia. 

    All’origine del nome: il perché della confusione lessicale

    Per capire come mai ci troviamo di fronte a questa confusione è necessario partire dall’etimologia. Tigella, infatti, deriva dalla parola “tegella” che, a sua volta, deriva dal latino “tegula”, ovvero coperchio. Si chiamava così la copertura che serve per la cottura delle tigelle: tradizionalmente, infatti, i dischi di pasta venivano impilati e, tra l’uno e l’altro, venivano posti dei dischi di terracotta arroventati e delle foglie di castagno per evitare che si attaccassero. 

    Tigelliere tradizione antica

    francesco de marco/shutterstock.com

    Di fatto, la “tigella” è lo strumento che è necessario per preparare le “crescenti” (o crescentine, per l’appunto), il nome storico delle tigelle. Con il passare degli anni, c’è stato uno slittamento semantico che ha fatto sì che venisse accettato il fatto che si va a chiamare l’alimento con il nome dello strumento utilizzato per prepararlo. All’apparenza è un controsenso, come scrive lo scrittore Andrea Pini: “In pizzeria chiedereste mai il forno al posto della pizza? O al fast food una friggitrice al posto delle patatine? O a vostra nonna la teglia al posto della crostata?”.

    D’altro canto, si tratta di un fenomeno piuttosto comune, un altro esempio dello stesso fenomeno è il fatto che la paella è il nome della pentola in cui si cucina il piatto tipico spagnolo. Resta che per i puristi il nome vero è crescentina e così andrebbe chiamata, nonostante ormai in tutta Italia abbia prevalso la “versione bolognese”. 

    La preparazione tradizionale

    Per fare le crescentine (modenesi), dunque, ci vogliono le tigelle. Questo almeno secondo la preparazione tradizionale che richiede l’utilizzo di questi dischi di circa 15 cm di diametro e 1,5 cm di spessore realizzati in terra di castagneto triturata e modellata in uno stampo di legno con delle incisioni in bassorilievo, essiccati e cotti. Elemento peculiare delle tigelle è proprio l’incisione che ritroviamo poi sulla crescentina: rappresenta il fiore della vita. È segno di prosperità e fecondità, riconoscibile poi su ogni disco di pasta pronto per essere farcito.

    Come anticipato, le crescentine venivano poste tra le tigelle, arroventate e ricoperte da foglie di castagno per aromatizzare e proteggere la pasta, e cotte così. Oggi esistono delle piastre apposite, chiamate tigelliere, con uno stampo che può contenere fino ad un massimo di 7 tigelle/crescentine alla volta. 

    La ricetta delle crescentine (modenesi) o tigelle (bolognesi) 

    Gli ingredienti per la preparazione tradizionale e popolare delle tigelle sono: farina, acqua, sale, lievito di birra oppure bicarbonato. Ma esistono numerose varianti che aggiungono l’olio extravergine d’oliva, lo strutto, il latte, il burro o lo zucchero. Come in tutte le ricette popolari, è naturale che ogni casa abbia la sua versione e ogni famiglia preferisca la propria. Ma abbiamo raccolto per voi quella pubblicata dall’associazione “Succede solo a Bologna” che ha svolto un interessante lavoro di ricerca anche gastronomica sul territorio.

    Tigelle ricetta

    francesco de marco/shutterstock.com

    Ingredienti

    • 500 g di farina 00
    • 200 g di acqua tiepida
    • 100 g di latte
    • 25 g di strutto
    • 15 g di lievito di birra
    • q.b. di sale.

    Procedimento

    1. Sciogliete il lievito nell’acqua tiepida.
    2. Formate la classica “fontana” con la farina e versate, al centro, l’acqua con il lievito, il latte, lo strutto e il sale, impastando fino a quando non otterrete un impasto omogeneo ed elastico;
    3. Fate riposare l’impasto in una ciotola coperto da un panno umido per 1 ora;
    4. A questo punto, impastate nuovamente il tutto per qualche minuto e fate riposare ulteriormente per 30 minuti.
    5. Tirate l’impasto con un mattarello fino a ottenere uno spessore di circa 4 millimetri. Ricavate dei dischi, utilizzando per esempio un bicchiere.
    6. Fate riposare le tigelle ancora per circa 15 minuti, mentre nel frattempo riscaldate e imburrate la tigelliera.
    7. Cuocete ogni tigella per circa 5 minuti e servite ben calde!

    Come preparare le tigelle, secondo i lettori: alcune idee dal nostro ricettario

    Questa è una delle versioni della ricetta delle tigelle, ma attingendo al ricettario de Il Giornale del Cibo possiamo trovare anche altri spunti alternativi per tutti i gusti. Per esempio, questa variante proposta dalla signora Tiziana non prevede l’utilizzo dello strutto.

    Abbiamo poi la variante di mamma Zina, modenese DOC, che punta tutto sulla semplicità e sull’autenticità degli ingredienti montanari.

    Infine, chiudiamo con la ricetta delle tigelle montanare che suggerisce di utilizzare una farina più “grezza” come la 0 per un risultato più rustico.

     

    Qual è la vostra preferita?

    Passaporto friulano e cuore bolognese, Angela vive a Udine dove lavora come giornalista freelance. Per Il Giornale del Cibo scrive di attualità, sociale e food innovation. Il suo piatto preferito sono i tortelloni burro, salvia e una sana spolverata di parmigiano: comfort food per eccellenza, ha imparato a fare la sfoglia per poterli mangiare e condividere ogni volta che ne sente il bisogno.

    Una risposta a “Crescentine o tigelle? All’origine di un “must” emiliano”

    1. mauro ha detto:

      la differenza tra “crescentine” (da non confondere con le “crescentine fritte” di Bologna) e “tigelle” è che queste ultime erano i sassi o le formine di terracotta o di refrattaria che si usavano in origine per cuocere le crescentine (oggi si usa la “tigelliera” di ghisa a più posti). Col tempo in alcune zone limitrofe era invalso l’uso di utilizzare impropriamente la parola “tigella” (più facile da scrivere e dire) al posto di “crescentine”. Nel 2003 la Camera di Commercio di Modena (lunga mano del ministero dell’economia) ha fatto chiarezza e ha messo un punto fermo sulla diatriba nel creare il marchio “tradizione e sapori di Modena” con l’obiettivo di tutelare i prodotti agroalimentari e gastronomici tipici del territorio. Infatti tra i 26 prodotti elencati, molti dei quali sono DOP o IGP come l’aceto balsamico tradizionale, trovano posto i borlenghi, il gnocco fritto e le “crescentine”. Si chiamano proprio così e molti artigiani si sono adeguati. Tuttavia tanti ristoranti hanno ancora le vecchie insegne (costa cambiarle se non c’è un obbligo), tante persone non sono a conoscenza di questa iniziativa (non pubblicizzata adeguatamente) e non tutti hanno amore per le nostre tradizioni per sostenerle e raccontarle, perché si conoscano ovunque …….. per questo c’è ancora confusione.

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