Beni confiscati all’Agromafia nel territorio emiliano-romagnolo
Il tesoro sequestrato alle mafie cresce, ma gestirlo e restituirlo alla collettività diventa sempre più difficile. E l’agroalimentare, uno dei settori più impregnati dalle infiltrazioni della criminalità organizzata, da questo esito paradossale del grande sforzo compiuto in Italia per smantellarla, esce indebolito, marchiato com’è dai bolli di mafia, camorra e ‘ndrangheta.
Beni confiscati alle mafie, un tesoro dimenticato
Tredicimila sequestri e confische in un anno: il ruolo dell’agroalimentare
Analizzare e confrontare la gran mole di dati elaborati a vari livelli rende l’idea della gravità della situazione. L’ultimo, prodotto dal ministero dell’Interno nel tradizionale rapporto estivo sull’attività del Viminale, parla di circa 13 mila tra beni sequestrati e confiscati alle mafie, per un valore di oltre 3 miliardi e mezzo di euro. Quanti di questi saranno riutilizzati, secondo quanto previsto dalla legge 109 del ’96?
Prevederlo è impossibile, di certo però questo è un nodo difficile della questione: stando all’ultimo rapporto Agromafia di Coldiretti ed Eurispes la cifra sprecata con la mancata destinazione dei beni sfiora i 25 miliardi all’anno, un’enormità dovuta principalmente alla macchinosità dell’iter, ma secondo la Anbsc, l’agenzia nazionale che dal 2010 si occupa proprio della destinazione di beni mobili, immobili e aziende, in vent’anni oltre 18mila sono stati restituiti alla comunità. In ogni caso, ancora dal dossier di Coldiretti ecco un altro dato significativo: un immobile su 5 sottratto alla criminalità ha un legame con l’economia del cibo. Rimaniamo dunque su questo terreno, provando a delineare la situazione in una regione per diversi aspetti paradigmatica: l’Emilia Romagna.
I numeri: 55 sequestri
In un anno, dall’inizio di agosto del 2015 al 31 luglio 2016, in Emilia Romagna sono stati sequestrati alla criminalità organizzata 499 beni confiscati alle mafie, per un valore complessivo di 225 milioni, e 97 beni confiscati in via definitiva. La classifica stilata dal Viminale vede la regione al sesto posto assoluto nel primo caso (dopo Sicilia, Campania, Lazio, Calabria e Lombardia) e all’ottavo nel secondo, e in totale al terzo posto al nord dopo Lombardia e Piemonte.
E non è finita: è interessante dare uno sguardo alle aziende confiscate con la sentenza Aemilia di fine aprile, che non compaiono ancora tra questi numeri: 25 aziende, 72 appartamenti, 89 box o magazzini, 16 terreni, 7 patrimoni non meglio definiti, vicina al tema col grande lavoro fatto sul caporalato, commenta così: “Si allarga – dice Franco Zavatti, coordinatore sicurezza e legalità Cgil Emilia-Romagna – l’evidente e urgente necessità di accrescere la quota dei patrimoni confiscati alle mafie, per la loro rapida riassegnazione ed utilizzo per fini pubblici e sociali. Questa resta una priorità assoluta, superando storture e lentezze non più sopportabili”. Il dato del Viminale, comunque, ha anche un aspetto positivo: è il calo rispetto al dossier 2015, quando sequestri e confische erano stati 696 e 355, con un’impennata senza precedenti rispetto al 2014 (448 e 12). Il numero nazionale, comunque, è da brividi: 6865 per i sequestri, 4466 per le confische.
Due beni su tre congelati
In cosa consistono questi beni: sono soprattutto immobili (case, palazzi, terreni, attività commerciali e industriali) e aziende, i cui proprietari erano o sono affiliati a qualche clan. Si tratta di un patrimonio importante, solo in Emilia Romagna di diverse centinaia di milioni di euro, che se la legge venisse applicata automaticamente e nei tempi porterebbe ossigeno, linfa e nuove prospettive alle varie comunità. È invece, cifre alla mano, un patrimonio che fatica a staccarsi dalla matrice criminale per essere riutilizzato a scopi sociali o istituzionali. L’Ansbc fornisce dei dati risalenti allo scorso febbraio, ed è l’unica in grado di metterli sul piatto della bilancia: su 248 immobili strappati alle mafie solo 81 sono stati destinati. È il 67,3%, ossia 2 su 3.
La regione sta dietro solo ad Abruzzo, Marche e Toscana, i cui numeri sono però nettamente inferiori. E ancora. In una regione il cui indice di penetrazione della criminalità, secondo il rapporto Agromafia di Coldiretti, è medio-basso, i Comuni che hanno nel loro territorio almeno un bene confiscato sono ben 48, distribuiti in tutte e 9 le province. A Reggio Emilia, coinvolta nell’inchiesta Aemilia sulla ‘ndrangheta, nessuno dei 19 beni interessati è stato destinato, così come a Brescello, il cui Comune è stato sciolto per mafia. Opposta e virtuosa la situazione di Parma, 11 su 11, mentre in provincia di Bologna la percentuale è intorno al 50%, con 15 beni assegnati su 31. Male, invece, nel Riminese, appena due appartamenti restituiti su 18.
La Taverna degli artisti di Bellaria
Proprio qui, in Riviera, un caso emblematico è quello del ristorante La taverna degli artisti di Bellaria: il locale venne chiuso e sequestrato in seguito agli arresti – una storia di usura – delle operazioni Coffee break e Cartesio, 2009 e 2011, e confiscato nel 2012; quindi, mentre il Comune concludeva il suo iter per l’assegnazione dell’immobile (il progetto è quello di una casa della salute), nel novembre del 2014 ecco arrivare la revoca della confisca per una sentenza del corte d’Appello del tribunale di Catanzaro.
In questo caso, il ristorante, il legame con l’agroalimentare è evidente, e sono 4 oggi – secondo i dati dell’agenzia rielaborati dall’associazione Confiscati bene – i locali riassegnati secondo quanto previsto dalla legge 109. Ma non sono solo i ristoranti il “gancio” della criminalità con questo settore tanto ambito dai clan: sono anche i terreni, i mercati, i bar, i negozi, le aziende agricole, le ditte che si occupano di trasporti e logistica, quelle che fanno intermediazione di lavoro. In Emilia Romagna, per esempio, spiccano tra gli immobili destinati le 57, tra scuderie, stalle, rimesse e autorimesse. E ancora terreni (27), ville e case popolari, negozi di informatica, attività immobiliari, magazzini e tanto altro. Una rete di proprietà che invade tutte le filiere, e non solo dell’agroalimentare.
I perché delle mancate assegnazioni dei beni confiscati
Sono tante e di varia natura. Anzitutto la gestione da parte dell’Anbsc, da più parti ritenuta un po’ farraginosa pur con l’attenuante della mole di lavoro cui l’agenzia è costretta; quindi la poca informazione o lo scarso spirito di iniziativa dei Comuni; e ancora, la difficile tracciabilità dei beni; infine, il costo di alcuni di questi, spesso gravati da ipoteche. Quanto alla scarsa informazione, un lavoro importante sta svolgendo a Bologna il master post universitario in Gestione e riutilizzo dei beni confiscati intitolato a Pio La Torre, che ha realizzato una mappa georeferenziata dei beni sequestrati o confiscati alla criminalità organizzata. Importante e sintomatico anche il lavoro del laboratorio di Data journalism della facoltà di Scienze della Comunicazione dell’ateneo bolognese: hanno incrociato e rielaborato i dati di Confiscati bene e chiamato quasi tutti i Comuni emiliano romagnoli interessati per sapere a che punto fosse l’iter di riassegnazione dei beni, ricevendo risposta da meno di un terzo degli enti interpellati.
Fonte immagine: posztos / Shutterstock.com
L’Emilia Romagna, ormai, è a pieno titolo una regione interessata da fenomeni malavitosi di stampo mafioso, e non stupiscono dunque i numeri di cui ormai si fregia quando vengono pubblicati rapporti come quelli di cui abbiamo parlato. Ci siamo occupati diffusamente, nei mesi scorsi, del dossier di Coldiretti ed Eurispes dedicato all’agromafia, ma merita attenzione anche quello di Legambiente focalizzato sulle ecomafie, tra le quali ormai a pieno titolo figura anche quella legata all’agroalimentare. L’attenzione di istituzioni, opinione pubblica e associazioni ora c’è, e l’emergere di tutti questi dati deriva anche dal lavoro delle forze dell’ordine: la strada per debellare il marcio che inquina il comparto è stata avviata, ma pare ancora inesorabilmente lunga.