Trentino-alto adige: weekend in alto adige

Adriana Angelieri

di Martino Ragusa.Sono arrivato in Alto Adige attratto dal suo paesaggio incantevole e dall’eccellente gastronomia, dalla proverbiale, perfetta ospitalità dei sud-tirolesi e, perché no?, anche dal folklore, che qui non è esca per turisti ma qualcosa di vivo, sentito e partecipato. E poi volevo capire qualcosa di più dei celebri “Masi Chiusi”.Erano, anzi sono tuttora, fattorie abitate da un’unica famiglia in grado di mantenersi con le sue sole risorse. Come vedete, l’argomento mi ha provocato un’empasse grammaticale. Mi rendo conto che dovrei coniugare i verbi al presente, perché i masi dell’alto Adige sono numerosi e attivi, tenuti in vita da circa duemila contadini sparsi per i monti e le valli di tutta la provincia di Bolzano. Però mi viene istintivo usare il passato, perché l’atmosfera che vi si respira non è certo quella del secolo in corso.Ciascun maso è costituite da due strutture, la casa e il fienile con la stalla. Il cuore della casa è la “stube”, la stanza con la stufa destinata al pranzo e ai momenti conviviali di solito in un angolo chiamato “del Crocifisso” perché dominato da una scultura di Cristo in Croce, sempre di dimensioni notevoli e inclinato in atteggiamento protettivo verso il centro della stanza.Nella stalla vengono allevate vacche, pecore, maiali e animali da cortile. I terreni annessi agli edifici, di solito, si estendono per parecchi ettari e comprendono l’orto, un pezzo di bosco per il fabbisogno di legna e i campi per la coltivazione del frumento, della segale e del fieno.Oltre che contadini e allevatori, gli uomini del maso erano (e molti sono ancora) anche falegnami e intagliatori del legno, provvedendo così alla costruzione di oggetti per l’arredamento e le suppellettili. Le donne sapevano (e molte ancora sanno) lavorare la lana e la lana cotta per la confezione di indumenti, cappelli e ciabatte. Alcuni fra i più grandi hanno esteso l’autarchia anche alle necessità dello spirito con la costruzione di una cappella accanto alla casa. In era pretecnologica l’autonomia era totale. Ma se è inevitabile che oggi i contadini comprino la lavatrice o il computer, è anche vero che la vocazione all’autosufficienza si è adeguata ai tempi, per esempio con la produzione autonoma dell’energia elettrica necessaria al fabbisogno della piccola comunità.Come potete immaginare, l’istituzione dei masi viene da lontano. Furono creati nel medio evo dai primi nuclei germanici insediati in Tirolo. L’ordinamento moderno risale a una legge del 1770 voluta da Maria Teresa d’Austria ed è ancora vigente anche se anacronistico rispetto alle leggi italiane e spesso in contrasto con la stessa Costituzione. Pensate che solo nel 2001 è stata ritoccata la norma apertamente incostituzionale che prevede la trasmissione di tutta la proprietà indivisa al primogenito maschio. Da quell’anno non vige più la distinzione tra maschi e femmine, ma il maso rimane una proprietà indivisibile che però può essere ereditata da uno qualsiasi dei figli, ma finalmente senza distinzione di sesso. Di solito va a chi accetta di sottoporsi alla vita ancora durissima del contadino, ma a rigor di termini la scelta dell’erede spetta ancora al capo-maso, fino a poco tempo fa il padre, d’ora in poi anche la madre.Soprattutto nel passato la regola dell’indivisibilità del maso è stata responsabile di piaghe umane e sociali. In sostanza, il quadretto poetico della bella famigliona contadina che viveva felice fra i monti tenendo in vita un patrimonio culturale antico di secoli, nascondeva ombre davvero sinistre e forse non ancora del tutto dissipate.Quando il maso veniva assegnato a uno dei figli, agli altri, di solito numerosi, si poneva la scelta se trovarsi un lavoro in città, contribuendo allo spopolamento della montagna, oppure se rimanere nel maso e lavorare alle dipendenze del fratello maggiore. Nel primo caso, non è difficile immaginare a quali traumi andasse incontro un giovane montanare strappato dal suo territorio e sbattuto e in una realtà urbana sconosciuta. Droga, alcolismo e malavita erano i pericoli concreti di questo sradicamento. Se accettava di rimanere non poteva quasi mai sposarsi perché non avrebbe mai potuto sostenere una sua famiglia. Questa regola non era avallata da nessuna norma, ma dalla legge necessità e da un sistema patriarcale con tutto il potere economico concentrato nelle mani del capo maso. Le conseguenze erano un alto numero di figli illegittimi nati dai giovani costretti al celibato e purtroppo un alto numero di suicidi sia tra quelli che rimanevano che quelli che andavano via.Anche se oggi il maso rimane una proprietà indivisibile, e questa indivisibilità continua a essere fonte di problemi, le condizioni di vita di chi rimane e chi se ne allontana sono notevolmente migliorate. Soprattutto per l’attenzione della provincia autonoma di Bolzano, che si è impegnata a mantenere il patrimonio culturale costituito dai masi chiusi con aiuti concreti, ma anche per l’apertura all’attività agrituristica che ha creato una breccia nel tradizionale isolamento delle famiglie.Se volete toccare da vicino la realtà del maso chiuso vi consiglio di prenotare una cena al Kleinmarerhof di San Candido.L’indirizzo è:Agriturismo KleinmarerhofFamiglia Maria e Alois TschurtschenthalerVia Marer 239038 San Candido (BZ)Tel. + Fax 0474/ 91 00 01Per dormire a San Candido vi lascio l’imbarazzo della scelta tra i due alberghi nei quali ho alloggiato in questi due giorni. Uno è il Dolce Vita Alpina Post Hotel di Wilma e Karl Wachtler.L’indirizzo è questo:Hotel PostaVia Sesto 139038 San Candido (BZ)Tel. 0474/ 91 31 33Fax 0474/ 91 36 35info@posthotel.itwww.posthotel.itL’altro albergo è l’Orso Grigio di Franz Ladinser.L'indirizzo:Hotel Orso GrigioVia P.-P.-Rainer 239038 San Candido (BZ)Tel. 0474/ 91 31 15Fax 0474/ 91 41 82info@orsohotel.itwww.orsohotel.it 

Siciliana trasferita a Bologna per i tortellini e per il lavoro. Per Il Giornale del Cibo revisiona e crea contenuti. Il suo piatto preferito può essere un qualunque risotto, purché sia fatto bene! In cucina non devono mancare: basilico e olio buono.

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