Tiki Bar

Tiki bar: la “nuova” moda del bere felice 

Giulia Zamboni Gruppioni Petruzzelli
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    Basterebbe il nome, Tiki, per mettere allegria: due sillabe che sanno di qualcosa di vivace, forse un po’ infantile, sicuramente esotico. E invece c’è di più, perché i Tiki bar sono davvero luoghi in cui buonumore e spensieratezza sono di casa, ingredienti fondamentali di un format che sta vivendo una seconda ondata di popolarità tanto nel suo luogo d’origine (gli States), che da noi. Ecco allora in cosa consistono, dove trovarli e perché sono diventati sinonimo del “bere felice”, soprattutto a base di rum.

    Tiki Culture, ovvero cosa sono e quando nascono i Tiki bar

    Tiki Bar insegna

    Cole Carrara/shutterstock.com

    Basterebbe il nome, si diceva, e allora partiamo proprio da qui, che molto può spiegare della filosofia che anima questo tipo di locali. “Tiki” sono infatti le divinità polinesiane rappresentate con sembianze umane e, all’interno degli omonimi bar, vengono chiamati così i cocktail, spesso serviti nei caratteristici bicchieri (“mug”) in ceramica dalla forma antropomorfa che ricorda gli idoli oceanici. Un richiamo agli elementi tropicali che viene acuito da tutto il contesto: i Tiki bar si distinguono infatti per i loro arredi coloratissimi, a base di fiori sgargianti, palme da cocco e vegetazione rigogliosa, fenicotteri e danzatrici di hula Hawaiane, in un misto di culture in cui nulla è autentico. Non solo le isole del Pacifico e le influenze Maori, ma anche quelle caraibiche lasciano infatti la loro impronta “esotica” negli spazi e nelle atmosfere tipici dei Tiki bar: dalla drink list a base di rum – retaggio della miscelazione cubana – al sottofondo musicale, allo spirito di accoglienza e familiarità del servizio al banco. Una rivisitazione libera e occidentale del paradiso tropicale (e dei suoi stereotipi) che invita a rilassarsi e a distrarsi, godendosi il piacere di un buon cocktail immersi in un mondo diverso dal reale.

    Proprio questo era l’effetto che ebbero i Tiki bar quando si imposero nel panorama statunitense del secondo dopoguerra in cui molti dei reduci del conflitto cercavano in patria una via di fuga dal presente e dai traumi recenti, rifugiandosi nel mito delle mete lontane che alcuni di loro avevano visto. L’ospitalità, la bellezza mozzafiato e la tranquillità leggendarie di questi luoghi si intridono di identità pop made in USA (come non pensare a Elvis Presley e alle sue rinomate mise floreali?) e i Tiki bar vanno per la maggiore, recuperati da un passato appena trascorso e non ancora dimenticato. Sì, perché la vera data di nascita dei Tiki bar risale a circa una trentina di anni prima. È il 1933 quando l’imprenditore Donn Beach, nato Raymond Ernest Beaumont Gantt, di New Orleans, apre le porte del suo Don The Beachcomber a Hollywood, il primo Tiki bar della storia. La fine del Proibizionismo americano e la fantasia di un spiaggia polinesiana sui generis, insieme a un menù a base di cucina cinese, furono la combinazione perfetta per questo locale, ancora attivo, in cui il distillato cubano la fa da padrone con alcuni dei cocktail più famosi della categoria.

    Mai tai, Zombie e Scorpion: 3 cocktail a prova di Tiki-intenditore

    Cocktail tiki bar

    Vershinin89/shutterstock.com

    Colorati, addobbati con ricche composizioni di fiori e decisamente instagrammabili, i Tiki-cocktail uniscono al rum, loro principale ingrediente, sciroppi, note fruttate (soprattutto ananas, arancia, passion fruit e cocco) e qualche erba aromatica coerenti con l’immaginario tropicale che cercano di evocare. E nonostante oggi si trovino anche drink a base di gin, quelli “originali” vanno ancora per la maggiore. Tra questi, come non nominare il famoso Mai Tai, mix di rum Giamaicano, orzata, succo di arancia e lime, nato negli anni Quaranta e mai andato fuori moda, grazie anche a successive rivisitazioni e promozioni commerciali?

    Oppure ancora lo Scorpion, shakerato di rum chiaro e rum scuro, frutto della passione e succo d’arancio e lime, oltre ad altri aromi.

    O infine lo Zombie, cocktail a base di diversi tipi di rum, ancora presente nei menù di molti Tiki bar, che è valso a Don Beach, suo inventore, un posto nella storia della mixology internazionale, alimentandone la leggenda. Sembra infatti che il nome derivi dalla vicenda di un cliente che chiese a Don Beach di preparargli un drink capace di risollevarlo dai postumi della sbornia, prima di un incontro di lavoro. Il sapore vellutato della frutta nascondeva però le insidie dell’alcool e così, qualche giorno dopo, lo sfortunato avventore sarebbe tornato sui suoi passi per raccontare al noto bartender che il suo drink, più che aiutarlo, lo aveva ridotto uno zombie.

    Tiki bar da Nord a Sud: gli indirizzi utili in Italia

    Tiki Bar cocktail frutta

    Maksym Fesenko/shutterstock.com

    Se negli Stati Uniti, dopo alcuni anni di oblio, i Tiki bar sono tornati alla ribalta già dalla fine degli anni Novanta, il processo di affermazione di questa tipologia di locale sul nostro territorio è invece relativamente recente e da qualche tempo si è assistito a una loro progressiva diffusione. Tra i primi e più rinomati Tiki bar dello Stivale (e del mondo) va sicuramente menzionato il Nu Lounge Bar di Bologna che, a due passi da piazza Maggiore, dispensa spirito Tiki in perfetto stile esotico. Merito del team guidato da Daniele Dalla Pola, bartender esperto di mixology e lifestyle Tiki che ha da poco aperto anche un altro locale sempre a tema, questa volta negli States, l’Esotico Miami.

    Il Rita’s Tiki Room (in ripa di Porta Ticinese) e il Jungle Tiki (in corso Garibaldi) sono invece protagonisti della scena milanese (già ricca di cocktail bar e ristoranti da scoprire) e, nella migliore tradizione tiki-kitsch, propongono drink floreali in perfette atmosfere polinesian-nostrane e un menù che va dalla Cina all’Oceania. “Il tempio della miscelazione tropicale”: così si definisce il Makai Surf e Tiki Bar di Roma (via dei Magazzini Generali) che unisce la cultura dei surfisti californiani all’ambientazione (e alla lista dei cocktail) ispirata ai mari del sud. I livornesi possono contare sul Makutu Tiki Bar (piazza dei Domenicani, 20) – sobrio negli arredi ma eccentrico nella miscelazione – e sul Surfer Joe’s Tiki Room (viale Italia), ma anche la Campania non è da meno. Segnate allora il Labelon Experience Beach Club, presso la spiaggia di Bacoli a Napoli, con il suo Tiki Bar a bordo piscina e a Pompei il Moai Exclusive Tiki Bar.

    Si ispira alle feste Hawaiane (luau) il Luau Tiki Bar di Bari (via XXIV Maggio) dove, a detta dei tre soci, ci si sente sempre in vacanza, complice anche “il contesto idilliaco e rilassato” riprodotto dagli interni del locale. Chiudiamo questo Tiki-tour virtuale risalendo lungo l’Adriatico e fermandoci al Tiki Comber di Cesenatico che celebra la Tiki-wave con un design da spiaggia caraibica e un repertorio di drink a base di frutta fresca e immancabile rum.

    Anche se le critiche non sono poche, soprattutto nella fetta anglosassone del Pianeta, nei confronti di un format che snatura il senso simbolico profondo di certe usanze e lo mischia impropriamente a elementi culturali estranei con intento commerciale, ricreativo ed estetico, rimane il fatto che i Tiki bar, con quel loro essere un po’ kitsch e artefatti, riescono senza dubbio a mettere di buon umore. E qui è proprio lo stato d’animo che conta.

     

    Anche voi siete amanti della Tiki-culture e dei cocktail tropicali?

    Giulia è nata a Bologna ma geni, pancia e cuore sono pugliesi. Scrive principalmente di tendenze alimentari e dei rapporti tra cibo e società. Al mestolo preferisce la forchetta che destreggia con abilità soprattutto quando in gioco c'è l'ultima patatina fritta. Nella sua cucina non deve mai mancare... un cuoco!

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