Tête de Moine, taglio con Girolle

Tête de Moine AOP: storia e curiosità del formaggio svizzero che si gusta in petali

Roberto Caravaggi
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    Non solo cioccolato. La presenza delle Alpi, coi loro grandi pascoli, fa della Svizzera un paese vocato alla produzione casearia. Ne sono esempio le sue denominazioni d’origine, Emmentaler, Sbrinz e La Gruyère su tutti. Meno famoso, ma inconfondibile è il Tête de Moine AOP (che sta per Appellation d’Origine Protégée, l’equivalente della DOP italiana). Magari vi è già capitato di vedere una forma di formaggio cilindrica con montato nel mezzo un curioso strumento che ruota sulla superficie raschiandola e ricavandone sottili veli. Con ogni probabilità si trattava proprio del Tête de Moine, prodotto per la prima volta dai monaci del monastero di Bellelay e oggi esclusiva di sette caseifici dell’area montuosa a nord-ovest della Svizzera, che lo fanno nel rispetto del rigido disciplinare di produzione. È questa eccellenza svizzera che volentieri vi portiamo a scoprire.

    Tête de Moine AOP: la storia secolare del formaggio dei monaci di Bellelay  

    Tête de Moine durante la fase di taglio con il Girolle

    Formaggi Svizzeri

    Pare si chiami così perché la raschiatura della superficie ricordava il modo in cui i monaci usavano rasarsi il capo. Anche se un’altra teoria spiega che nel monastero si tenesse una sorta di inventario dove si riportava la quantità di formaggio stoccata “a testa” per ciascun monaco. Ad ogni modo, la dicitura Tête de Moine compare per la prima volta alla fine del XVIII secolo in uno stampato intitolato “Tableau du maximum des objets de première nécessité” (ovvero, “elenco dei beni di prima necessità”). Le sue origini tuttavia sono ben più antiche. Le prime tracce storiche risalgono infatti al 1192, con documenti che attestavano il pagamento del tributo annuale sui poderi del monastero di Bellelay proprio col formaggio autoprodotto. Un antico mezzo di pagamento quindi, alla stessa maniera di alcune eccellenze casearie italiane, come ad esempio il Bettelmatt.

    Così ha continuato a essere utilizzato per secoli, finché all’epoca della Rivoluzione Francese i monaci furono costretti ad abbandonare il monastero. La tradizione è stata però salvata dai caseifici limitrofi, che hanno continuato a produrre il Tête de Moine. Fino alla svolta decisiva, arrivata nel XIX secolo grazie a un contadino di Bellelay, che è riuscito a far apprezzare il suo formaggio oltre confine, portandolo addirittura ad essere premiato a varie esposizioni internazionali di settore, a partire dal “Concours Universelle” di Parigi del 1856.

    Questo ha dato nuovo impulso alla produzione e ha portato, nel 2001, al riconoscimento della denominazione d’origine da parte della Comunità Europea. Attualmente sono sette i caseifici che realizzano il Tête de Moine AOP nel rispetto del rigido disciplinare di produzione.

    Tête de Moine AOP: intensità e aromi di montagna

    Petali di Tete de Moine serviti con frutta

    Sunvic/shutterstock

    La forma tipica di Tête de Moine AOP è un cilindretto di 10-15 centimetri di diametro e altezza compresa tra il 70% e il 100% del diametro. In genere è quindi più largo che alto e trasmette un’idea di compattezza. Il peso può variare dai 700-900 grammi delle pezzature che si trovano più comunemente in commercio fino a un massimo di 2 Kg. 

    All’esterno è uniformemente coperto da una crosta di colore rossastro, a volte tendente al bruno, uniforme e oleosa. La struttura interna è giallo-avorio, di consistenza semidura e compatta, con solo qualche piccola occhiatura e rare e isolate fissurazioni. La pasta è fondente e aromatica, umida abbastanza da presentarsi cedevole al taglio e facile alla raschiatura. Al palato presenta un’importante nota lattica, dove sono in evidenza i sentori erbacei dovuti all’alimentazione e al pascolo dei bovini. Tendenzialmente dolce, con l’avanzare della stagionatura il gusto si fa più pungente e intenso, sviluppando una moderata piccantezza e accentuando la sua complessità aromatica.

    Proprio in base al grado di stagionatura e dei criteri di produzione, il Tête de Moine AOP si distingue in:

    • Classic: stagionato almeno 75 giorni e avvolto da carta argentata, dal gusto più delicato e aromatico;
    • Réserve: stagionato oltre 4 mesi per un gusto più intenso, riconoscibile dal suo imballaggio color oro;
    • Extra: stagionatura oltre 6 mesi, deciso e pungente al gusto, si distingue per l’imballaggio nero;
    • Bio: imballo verdeacqua per distinguere questa versione stagionata almeno 75 giorni, come il Classic, ma prodotta con latte 100% biologico;
    • Fermière: prodotto esclusivamente tra aprile e ottobre e vendibile solo presso la stessa azienda che ha munto e trasformato il latte, è una versione di nicchia, caratterizzata da imballo marrone e da una stagionatura di almeno 100 giorni.

    Il Tête de Moine AOP è commercializzato in forme intere, mezze forme o rosette. Le forme intere sono avvolte esternamente da un incarto il cui colore, come sopra descritto, varia a seconda della tipologia. Quelle reperibili nel mercato italiano sono: Classic, Réserve e Bio. Le mezze forme sono imballate sotto vuoto, mentre le rosette sono petali di formaggio già raschiato e confezionati all’interno di vaschette in atmosfera protetta. In tutti i casi è riportato il logo con sfondo rosso-giallo, che riporta la scritta Tête de Moine in alto e al centro la rappresentazione di tre frati, uno dei quali intento a raschiare una forma di formaggio. 

    Le regole per fare un formaggio nel segno della genuinità

    Formaggio tete de moine, fase del taglio.

    d.swe/shutterstock

    Il Tête de Moine AOP è un formaggio a latte vaccino intero e crudo, ovvero non sottoposto né a scrematura né a pastorizzazione. Si lavora il latte fresco della mattinata, unendolo eventualmente a quello munto la sera prima. Non passano mai più di ventiquattro ore dal conferimento all’inizio del processo di trasformazione, che parte dal rimestare tutto il latte raccolto all’interno di una caldaia in rame in modo da portarlo alla stessa temperatura. Si scalda quindi fino a 38 gradi e si aggiunge il presame, coagulante naturale che dopo circa mezz’ora porta alla formazione della cagliata. Dopo l’azione di rottura mediante pettini metallici se ne ottiene una massa granulosa, che viene porzionata e pressata all’interno di stampi forati per favorire lo spurgo del siero. A questo punto si passa al bagno in salamoia, che dura circa dodici ore, terminato il quale si procede alla stagionatura. In tutta l’area della DOP questa fase prevede che le giovani forme siano disposte su assi di abete rosso all’interno di locali a temperatura di 13-14 °C e umidità dell’aria al 90%. Compito del casaro è di rivoltarle e spazzolarle regolarmente con acqua salata e colture microbiche naturali per favorirne la corretta maturazione e lo sviluppo della cosiddetta “morchia”, ovvero la tipica crosta rossastra. Niente sostanze chimiche o coloranti, il cui uso è severamente bandito dal disciplinare. Dopo 75 giorni le forme sono pronte per essere commercializzate come Classic o per proseguire la stagionatura secondo le tempistiche definite per le altre versioni. Non prima però di superare la “tassazione”, ovvero i rigorosi controlli a cura di una commissione esterna. Di ciascuna forma si valutano aspetto, occhiatura, consistenza e colore della pasta, oltre naturalmente a odore e gusto. Solo quelle che superano la prova possono fregiarsi della denominazione AOP, mentre il marchio di caseina applicato appena prima della salagione, dove sono riportati data di produzione e codice identificativo del caseificio, ne garantisce la completa tracciabilità.   
    Ma il disciplinare di produzione non si limita a definire scrupolosamente tutti i passaggi della lavorazione appena descritta. Oltre a dettagliare l’aspetto e le caratteristiche del prodotto finale, ci sono precise prescrizioni che vanno dalle modalità di conferimento del latte all’alimentazione dei bovini. Qui, in particolare, è specificato che le vacche devono essere condotte al pascolo libero per un minimo di 120 giorni all’anno e che devono essere nutrite per almeno il 70% con erbe e foraggi autoctoni. E nel periodo restante, divieto assoluto di insilati, ogm e di qualsiasi tipo di conservante. Persino riguardo le patate, tra gli alimenti ammessi, è espressamente indicato che non devono presentare tracce di germogliatura. Tanta attenzione a quello che le mucche mangiano si traduce in un latte puro e genuino, che sa di montagna: la chiave di un formaggio degno di essere annoverato tra le eccellenze casearie della Svizzera.

    Nel Giura bernese, sette produttori custodi di biodiversità 

    La storia stessa del Tête de Moine lascia intuire come sia un prodotto specificatamente locale, nato nell’abbazia di Bellelay e portato avanti dai piccoli caseifici che le erano assoggettati. Il territorio di riferimento è quello del Giura bernese, un massiccio montuoso che si estende nel nord della Svizzera, al confine con la Francia. In quest’area piovosa e ricca di pascoli con tanta biodiversità si concentrano i sette produttori oggi aderenti alla DOP. Gli allevatori che mungono il latte e i caseifici dove viene poi lavorato si trovano nel raggio di pochi chilometri, aspetto fondamentale per avere una materia prima sempre fresca. Al resto ci pensa l’abilità dei casari, detentori di una sapienza artigiana che qui si tramanda da generazioni e che è garanzia di genuinità. 

    Il rispetto del territorio e del benessere animale sono altri elementi comuni a tutti gli attori coinvolti nella produzione del Tête de Moine. Si tratta infatti di piccole aziende agricole, perlopiù a conduzione famigliare, che allevano una media di 30 mucche ciascuna e che sono certificate PER, il protocollo svizzero di riferimento per l’agricoltura ecologica. Tra gli standard previsti ci sono la rotazione delle colture e la concimazione di suolo fatta in modo da non sovraccaricarlo: un’agricoltura estensiva, in contrapposizione a quella intensiva che invece sfrutta i terreni, snaturandoli. Riduzione delle emissioni di CO2 e uso di energia da impianti fotovoltaici delle aziende stesse completano un quadro virtuoso.

    Tête de Moine AOP, una pioggia di petali che impreziosisce i piatti

    Tête de Moine, petali tagliati con la Girolle

    Formaggi Svizzeri

    Va detto, innanzitutto, che il Tête de Moine non è un formaggio da affettare. È infatti concepito per essere tagliato a metà e raschiarne la superficie centrale (quella liberata dalla crosta) con una lama, a mo’ di quanto ripreso in Italia dalla raspadüra lodigiana. A questo scopo è stato anche brevettato uno strumento chiamato Girolle. Si tratta di un tagliere in legno d’acero a base circolare con impiantato al centro un perno metallico appuntito, che serve a bucare la mezza forma di Tête de Moine. Questa viene trapassata proprio nel mezzo e spinta fino a poggiare bene sulla base. Alla sommità del perno metallico si avvita quindi una lama girevole, regolata in modo da aderire alla superficie del formaggio per poterla quindi raschiare con movimento circolare, tipo macinacaffè. Se ne ottengono così le tipiche rosette, ovvero quei veli arricciati che esaltano la caratteristica scioglievolezza della pasta interna. Fattore essenziale per la riuscita dell’operazione di raschiatura è il freddo: con la forma appena tolta dal frigorifero la lama scorre più agevolmente sulla superficie e il taglio risulta più uniforme. In vendita esistono confezioni con la forma di Tête de Moine già dotata di Girolle e di campana di vetro. In alternativa, una volta tagliata la forma, la modalità suggerita per conservarla correttamente è avvolgerla in una pellicola idonea al contatto con alimenti e riporla in frigorifero. 

     

    A questo punto è naturale chiedersi: come valorizzare tanta storia e tradizione in cucina

    Il modo migliore per apprezzarne l’intensa nota lattica e le sfumature aromatiche che esprime è degustarlo in purezza, come aperitivo o a fine pasto, sorseggiando un vino rosso non troppo strutturato o anche una birra artigianale di medio corpo. Le rosette di formaggio possono essere rese più sfiziose condendole con un filo d’olio e del pepe nero per arricchirle di uno spunto piccante oppure disponendole su fette di pane bruschettato servito caldo, così da accentuarne la scioglievolezza. Il Tête de Moine si rivela infatti straordinariamente fondente in bocca, dove risulta avvolgente con la sua progressione di sentori di crosta e di fieno. Per questo motivo, nonostante si presti a tante ricette in cucina, si tende ad aggiungerlo a crudo, lontano quindi dal fuoco o da cotture che ne svilirebbero le caratteristiche. Anche in un risotto con fondo di cipollotto, per portare l’esempio di un piatto dal sapore primaverile, il Tête de Moine può essere usato in mantecatura a fuoco spento. In questo modo diventa elemento integrante del piatto, apportando cremosità e trovando un ideale contrasto con qualche foglia di origano fresco. La particolarità della raschiatura in forma di rosette lo rende inoltre perfetto come elemento che eleva l’estetica dei piatti: dalla decorazione di una semplice bowl vegetariana al ravvivante contrasto cromatico con una crema di patata viola o con un gazpacho, fino a guarnire una tartare di pomodori cuore di bue, olive e basilico o, ancora, un filetto di merluzzo con pomodori secchi e basilico per un accostamento di sapori in apparenza azzardato ma vincente. Il suo gusto intenso ma delicato, del resto, sa accompagnarsi bene a diversi sapori senza sovrastarli.

     

    Il racconto trova qui la sua naturale conclusione. Ora non resta che passare all’azione. Dopotutto se regalare fiori è un gesto d’amore, non trovate che assaporare una rosetta di Tête de Moine AOP possa essere considerato un modo di volersi bene?

     

    Nato a Milano, vive da sempre a Locate di Triulzi, nella provincia sud del capoluogo lombardo. Oltre a collaborare con alcune testate giornalistiche locali è food blogger per storiedifood.com, dove racconta soprattutto di specialità e piccole realtà artigianali. Il suo piatto preferito è la piadina romagnola perché, nella sua semplicità, sa appagare come poche altre cose.

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