Bettelmatt, il formaggio eroico delle montagne ossolane

Roberto Caravaggi
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    Cos’è il Bettelmatt? La risposta più facile e immediata è: un formaggio, di quelli da annoverare tra le più importanti produzioni casearie italiane. Ma non si sbaglia nemmeno nel definirlo uno scrigno di sapori capace di racchiudere anche un insegnamento secolare, ovvero quell’arte di fare formaggi rispettando il corso della natura. Una tradizione antica, scandita dalla vita in alta quota, in alpeggio. È lì che le vacche di razza Bruna pascolano libere, nutrendosi delle erbe spontanee che la montagna sa regalare nei mesi estivi. E, sempre lì, il latte viene munto giornalmente e lavorato a crudo, come una volta. Ecco perché, in un mondo che corre a velocità folle, possiamo definire questo prodotto delle valli ossolane, nell’alto Piemonte, un “formaggio eroico”. Pronti allora, si sale in quota per andare a conoscere il Bettelmatt!

    Il Bettelmatt, eredità della cultura Walser e antica merce di scambio 

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    Il Bettelmatt, al pari della Robiola di Roccaverano DOP e dello Strachitunt DOP, si inserisce nel solco dei formaggi di antica tradizione. Le prime tracce storiche portano al XIII secolo e alla cultura Walser, popolo di origine germanica che all’epoca ha colonizzato l’area delle Alpi tra Svizzera e Italia. Il nome stesso è composto da due parole – “bettell” e “matt” – che pare derivino dal tedesco col significato rispettivamente di “questua” e “pascolo”. “Pascolo della questua”, in riferimento al fatto di essere prodotto con latte di mucche al pascolo libero e utilizzato per forme di beneficenza. È documentato, tuttavia, come in epoca medievale il Bettelmatt fosse una vera e propria merce di scambio, che serviva a chi lo produceva per pagare tributi, canoni d’affitto o concessioni d’alpeggio. L’area di produzione, del resto, è stata storicamente crocevia di traffici commerciali e le forme venivano spesso trasportate sul dorso dei muli lungo i valichi di montagna per essere conservate in cantine e locali nascosti. Proprio per il suo valore commerciale, i produttori temevano infatti di esserne derubati.

    La tradizione del Bettelmatt è sempre rimasta viva nella cultura locale e se ne trova riscontro ad esempio nelle “Statistiche del Dipartimento dell’Agogna” di Vincenzo Cuoco e Melchiorre Gioia del 1831 e, ancora, in un manuale per la caseificazione edito dalla Hoepli negli anni Venti del secolo scorso. In anni più recenti, invece, è arrivata la costituzione di un decalogo produttivo (1998) e l’obbligo della marchiatura a fuoco (2003) che riporta il marchio del prodotto sulle forme per tutelarle da contraffazioni.

    Bettelmatt, un formaggio che parla di montagna

    Il Bettelmatt si presenta in forme cilindriche dai 4 ai 6 chili di peso, col diametro compreso in genere tra i 25 e i 35 centimetri e uno scalzo (l’altezza della forma) di 7-8 centimetri. La superficie è completamente ricoperta da una crosta il cui colore può variare dal giallo ocra al marrone-arancio fino al grigio, a seconda di diversi fattori, tra cui il grado di stagionatura. Sulla crosta stessa sono impressi sia il marchio con la denominazione del prodotto, sia quello del produttore. All’interno rivela una pasta di colore giallo paglierino, compatta e liscia, a parte qualche occhiatura. Morbido e untuoso al taglio nelle pezzature più giovani, tende a diventare più duro e compatto con l’avanzare della maturazione. Il tempo è fattore determinante anche per definirne il gusto. Intanto, stiamo parlando di un formaggio realizzato a partire dal latte crudo di vacche al pascolo libero, che si nutrono di quello che offre la natura della montagna ad alta quota. Questo si traduce in un profilo aromatico molto complesso: l’intensa nota lattica è il tratto comune, ma se subito dopo il termine minimo di stagionatura può prevalere un sentore dolce con richiami di frutta secca, a maturazione inoltrata gli accenti erbacei guadagnano terreno, regalando sensazioni sempre più intriganti. Di fatto, quello che le mucche mangiano definisce la “carta d’identità” del Bettelmatt: anche a parità di stagionatura due forme prodotte nello stesso periodo in alpeggi differenti possono rivelare apprezzabili differenze al palato. È quanto contribuisce a rendere speciale un formaggio che si produce solo nei mesi estivi, negli alpeggi oltre i 1800 metri di altitudine, e che proprio per questo si trova in commercio solo per un breve periodo dell’anno e in quantità limitate.     

    L’arte preziosa di un formaggio d’alpeggio

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    Con il Caciofiore della Campagna Romana abbiamo già sottolineato quanto sia delicata la lavorazione a latte intero crudo, ovvero senza filtrarlo, scremarlo o pastorizzarlo. Nel caso del Bettelmatt, a tutto questo si aggiunge la lavorazione diretta in alpeggio. Nelle tipiche costruzioni disseminate in alta quota, tra i prati dove le vacche di razza Bruna pascolano libere, si raccoglie il latte della mungitura giornaliera e lo si fa coagulare a temperatura ambiente, con la sola aggiunta di caglio di vitello naturale. La cagliata risultante viene poi rotta grossolanamente e sottoposta a una semicottura a 45-48 °C. Dopodiché la si preleva con delle fascere, che oltre a determinarne la forma servono a favorirne lo spurgo. In questa fase, che si protrae fino a un massimo di dodici ore, avvengono anche la pressatura attraverso un torchio e la marchiatura, che imprime sullo scalzo data di produzione e nome del caseificio. Segue la salatura, a secco o in salamoia, e dopo quindici giorni si passai locali di stagionatura: cantine o ambienti dotati di pareti, pavimenti e soffitti idonei a mantenere un corretto livello di umidità e di temperatura. Adagiate su assi di legno, le forme iniziano così la maturazione, che può durare da un minimo di sessanta giorni a un anno e più. Tutte queste fasi sono definite da un decalogo sottoscritto nel 1998 dai sette produttori di Bettelmatt insieme alla Camera di Commercio della Comunità Montana delle Valli dell’Ossola. Se avete quindi la fortuna di degustare un formaggio marchiato Bettelmatt, avete quindi la garanzia di trovarvi davanti un prodotto tanto raro quanto prezioso. 

    Dove si produce il formaggio Bettelmatt? 

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    Abbiamo usato i termini “raro” e “prezioso” non a caso. Il Bettelmatt conta infatti solo sette produttori, disseminati tra le alture delle valli Formazza e Antigorio e ricadenti nei comuni di Formazza, Baceno e Premia. Stiamo parlando dell’alto ossolano, quell’area geografica che si trova proprio nella punta più a nord del Piemonte, direttamente confinante con la Svizzera. Qui si trova l’alpe omonima (Bettelmatt) e sempre qui si trovano gli alpeggi, tutti compresi tra i 1800 e i 2400 metri di altitudine, dove le mucche pascolano traendo nutrimento dalla ricca flora locale e in particolare della motellina, erba che cresce spontanea tra luglio e settembre. 

    Il Bettelmatt quindi identifica un territorio e una cultura ben definiti e proprio per questo è incluso nel registro delle PAT, i Prodotti Agroalimentari Tradizionali depositato presso il MIPAAF (Ministero delle Politiche Agricole Ambientali e Forestali), e fa parte dei prodotti Arca del Gusto di Slow Food

    Il Bettelmatt in cucina: tra risotti, fondute e l’assaggio in purezza

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    Delicato, armonico, con un’importante nota lattica, quasi burrosa nelle forme più giovani, intensa e via via più complessa in quelle a lunga stagionatura, il Bettelmatt si rivela piuttosto versatile in cucina. Perfetto per mantecare un risotto con radicchio e gherigli di noce o crumble di nocciole tostate, oppure per realizzare una fonduta con riccioli di porro croccante, il suo carattere fondente si esalta anche in ricette vegetariane come i finocchi gratinati. Il Bettelmatt è inoltre l’elemento ideale per preparare deliziosi flan, da servire con una salsa speziata in agrodolce, giocando ad esempio con cipollotti, frutti rossi, cannella e chiodi di garofano.

    Assaporarlo in purezza però, accompagnandolo semplicemente con un calice di buon vino o con una birra artigianale piemontese, crea un filo diretto tra il nostro palato e tutto quello che c’è dietro la produzione di questo formaggio. In questo modo potrete apprezzare tutte le sfumature e i sentori erbacei che lo caratterizzano e che ne fanno un prodotto in continua evoluzione, mai uguale a se stesso, e soprattutto narratore e custode di una storia e di un territorio.

    Vi abbiamo raccontato tutto ciò che sappiamo sul Bettelmatt, ora però tocca a voi. Chi ha già avuto modo di regalarsi l’emozione di assaporarlo?


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    Nato a Milano, vive da sempre a Locate di Triulzi, nella provincia sud del capoluogo lombardo. Oltre a collaborare con alcune testate giornalistiche locali è food blogger per storiedifood.com, dove racconta soprattutto di specialità e piccole realtà artigianali. Il suo piatto preferito è la piadina romagnola perché, nella sua semplicità, sa appagare come poche altre cose.

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