Prosecco made in Italy: la sua grande richiesta è un’opportunità o una minaccia per i luoghi di produzione?

Giulia Zamboni Gruppioni Petruzzelli
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    Nel maggio 2016, la Rai ha mandato in onda un servizio di Report dedicato al Prosecco, inteso sia come territorio specifico, sia come prodotto: il celebre vino frizzante alla base dei brindisi nostrani, nonché ingrediente principale di cocktail di successo come lo spritz. Del territorio, la nota trasmissione approfondiva principalmente le difficoltà di alcuni viticoltori di Prosecco (frazione della provincia di Trieste da cui il vino prende il nome) e i patti nati per agevolarli, poi disattesi dalle istituzioni. Del prodotto, invece, metteva in luce l’esistenza di una domanda crescente, anche nei mercati esteri, e di una risposta che ha portato a un’espansione delle vigne in tutta l’area veneto-friulana interessata dalla coltura, e che non sempre tiene conto delle norme vigenti, delle peculiarità paesaggistiche e degli abitanti del luogo. Ed è proprio su questo aspetto che vogliamo soffermarci anche noi: il Prosecco vino ha dunque molti meriti e altrettanti demeriti, e non è semplice capire se si tratti di un’opportunità o di una potenziale minaccia.

    Per questo, abbiamo deciso di riassumere la questione e le argomentazioni di entrambe le parti, lasciando a chi legge il giudizio su chi abbia ragione. 

    Prosecco e Spritz: numeri, mercato e territorio 

    prosecco e spritz

    Dulin/shutterstock.com

    Prima di tutto, i numeri: già dal 2016 si parla di “record Prosecco”, con una produzione pari a mezzo miliardo di bottiglie, di cui 400 milioni circa appartenenti alla categoria Doc e il restante alla Docg, tipica dell’area tra Conegliano e Valdobbiadene dove ha origine il Prosecco superiore. Una crescita che traina tutto il mercato degli spumanti italiani: i suoi quasi due milioni di ettolitri nei primi 9 mesi del 2019 (dati Istat), fanno del Prosecco il primo della sua categoria anche per quanto riguarda l’export. Regno Unito, Stati Uniti, Germania e Francia sono i paesi che lo apprezzano di più, nonostante la concorrenza di spumante locale e di imitazioni di falso Prosecco, come il Kensecco e il Semisecco tedeschi. Stando alle proiezioni di Coldiretti sui dati Ismea, infatti, nel 2019 le bottiglie di spumante italiano prodotte sarebbero state oltre 700 milioni, di cui solo il 40% destinato all’Italia. Una ragione, almeno per quanto riguarda gli States, c’è: lo Spritz

    Per quanto sia antica la storia dello spritz, infatti, la moda di questo cocktail (mix di Prosecco, acqua di Selz e Aperol o Campari) è piuttosto recente e apparentemente inarrestabile, complice la progressiva destagionalizzazione del suo consumo, anche all’estero. E così, grazie allo Spritz, l’anno scorso sono stati versati 0,5 milioni di ettolitri di Prosecco (il 60% fuori dall’Italia), e altrettanti di Aperol. Oltreoceano, la Spritz-mania dura ormai da tre anni, ma non vi sono segni di cedimento, tutt’altro: entrato nella classifica ufficiale dei cocktail preferiti dagli statunitensi, lo Spritz si guadagna anche pubblicazioni e ricette dedicate. 

    Insomma, il Prosecco vale oro (oltre 2,5 miliardi di fatturato l’anno), perciò non c’è da stupirsi se nella zona compresa tra Veneto e Friuli Venezia Giulia in cui cresce la varietà Glera, dalle cui uve bianche si ottengono le famose bollicine, è scoppiata una vera e propria corsa ai terreni. Una conversione del suolo che, però, insieme ai vantaggi, presenta non poche criticità. 

    Le ragioni del sì: il Prosecco come risorsa

    prosecco bicchieri

    shutterstock.com

    Il valore di mercato, lo abbiamo visto, è tra le prime e non certo trascurabili ragioni che spiegano il successo del Prosecco e l’intensa attività di colonizzazione delle colline o di riconversione delle colture a cui si è assistito negli ultimi anni. Ma non è la sola, perché questa attività ha implicazioni importanti anche a livello lavorativo. Sono 13.500 i produttori, 1.380 le cantine vinificatrici e 300 gli imbottigliatori, con un aumento dell’occupazione in vigna del 10% nell’ultimo anno e del 40% nei mestieri impiegatizi, dedicati soprattutto all’esportazione. Un’economia fiorente, quindi, che garantisce un’opportunità a tanti operatori del settore. 

    Non bisogna poi dimenticare il riconoscimento che le colline di Valdobbiadene e Conegliano hanno ottenuto nell’estate del 2019, quando sono state elette ufficialmente a patrimonio dell’umanità, accanto ad altre eccellenze italiane legate a bevande e cibi già nella lista Unesco. È evidente come questa nuova onorificenza confermi l’esistenza di una ricchezza e di un’identità territoriale specifica e speciale, che costituisce a tutti gli effetti un vanto locale unico al mondo. E qui torniamo al business e alle occasioni che il Prosecco e le sue zone di produzione danno. Sì, perché inevitabilmente la fama porta con sé anche la “fame”, intesa come appetito e curiosità: in una parola, i turisti. Protagonista di veri e propri itinerari enogastronomici, il Veneto richiama così visitatori da ogni parte d’Italia e non solo, che inutile forse ribadirlo sono un’ulteriore fonte di introito per ristoratori ed esercizi commerciali del luogo. Il Consorzio del Prosecco, tra gli altri, plaude quindi alla nomina da poco ricevuta.

    Le ragioni del no: rischi per la salute e per l’ambiente  

    Non sono dello stesso parere  i Comitati “no Prosecco”, contrari alla recente espansione delle colture di Prosecco su gran parte del territorio perché preoccupati per la salute degli abitanti di quelle zone e per la biodiversità.

    I rischi per la salute

    I 18 Comitati si sono infatti radunati sotto la sigla “ColtiviAmo il futuro” e sono convinti che l’intensificazione della produzione enologica sia un rischio per la salute dell’uomo e la natura. In particolare, i trattamenti fitosanitari (necessari per assicurarsi la buona riuscita della vendemmia e ammessi dalla normativa vigente) denunciano associazioni e cittadini sono tuttavia troppo massicci, inarrestabili e sregolati, perché effettuati con maggiore frequenza e con minore attenzione rispetto a quanto previsto. In alcuni casi si vede sempre nelle immagini di Report questo si traduce nella irrorazione meccanica (invece che manuale) anche in punti sensibili, come le strade trafficate, o nella mancanza di un congruo preavviso a chi abita nei dintorni, costretto a barricarsi in casa con le finestre chiuse. 

    Infatti, come evidenziato anche dalla recente video-inchiesta “Il lato nascosto del Prosecco” di Internazionale, spesso i nuovi filari occupano ogni angolo di terreno libero, arrivando a ridosso di abitazioni e scuole, senza alcuna cura per la  protezione di chi lavora o vive nei dintorni, o per la salubrità dell’aria (spesso caratterizzata da odore acre). Proprio la salubrità dell’aria è stata al centro della diatriba mediatica del febbraio dello scorso anno: il pericoloso “effetto cocktail” descritto dall’esperta dell’Isde (Associazione medici per l’ambiente) Patrizia Gentilini (intervistata da Striscia la Notizia a commento di una ricerca svolta dal mensile Il Salvagente), sarebbe frutto a suo parere dell’ingestione inconsapevole di più pesticidi insieme, come quelli utilizzati nei vigneti. Tuttavia, si tratta di una tesi fortemente criticata dai Consorzi del Prosecco, che hanno dimostrato la conformità delle sostanze chimiche rispetto ai limiti imposti dalla legge, citando anche le statistiche del 2017 realizzate dalla ULSS2 Marca Trevigiana sul tasso di mortalità e le forme tumorali contratte dalla popolazione della provincia di Treviso.  

    I rischi per l’ambiente 

    prosecco territorio

    Pavel Rezac/shutterstock.com

    L’ambiente è l’altra grande preoccupazione delle associazioni “no Prosecco” e di altre come Legambiente, Marcia Stop Pesticidi, WWF, Pesticides Action Network, contrarie anche alla nomina Unesco. Quella del Prosecco, sostengono, ha già raggiunto le dimensioni della più grande DOP in Italia, superiore persino a quella del Chianti (23 mila ettari occupati dallo spumante, contro i 14 mila del vino toscano), e ha ridotto l’area a una gigantesca monocoltura. I danni sono ravvisabili nella minaccia alla biodiversità e nell’appiattimento paesaggistico (in aperta contraddizione con il riconoscimento di unicità e armonia delle Nazioni Unite). Secondo quanto riportato da entrambi i servizi della RAI e di Internazionale, infatti, ampie porzioni di aree boschive sarebbero state recentemente convertite in vigne per il Prosecco, a discapito della fauna e della flora locale, e a unico vantaggio delle tasche di chi ha acquistato, per somme esigue, quei terreni. Poco conta, secondo gli intervistati, che per gli alberi abbattuti ne vengano piantati di nuovi altrove, perché altrove, appunto, non è lì. 

    Un recente studio dell’Università di Padova, evidenzia inoltre come l’erosione del suolo provocata dalle coltivazioni e dall’acqua utilizzata per irrigare i vigneti (che l’Istituto quantifica in 4,4 chili di terreno eroso per bottiglia prodotta) non sarebbe sostenibile a lungo e potrebbe avere conseguenze disastrose, se non controllata o mitigata da interventi correttivi come, ad esempio, quello di lasciare che l’erba cresca tra un filare e l’altro, cosa che ridurrebbe l’impatto sul suolo del 50%.  

    Evidentemente, l’adozione del Disciplinare Tecnico “Colline di Valdobbiadene e Conegliano” del 29 ottobre 2019 con cui si intende uniformare gli interventi di pianificazione urbana nelle zone protette dall’Unesco, o l’esistenza di diverse aziende biologiche, non sono giudicati ancora sufficienti. E si fa anche strada il timore che questa moda del Prosecco possa rivelarsi presto come un’enorme bolla economica, da cui sarebbe davvero difficile riprendersi. Per ora almeno a giudicare dal  reportage che si citava all’inizio le conseguenze immediate sono tanta rabbia e qualche casa abbandonata. Ma se le associazioni avranno ragione c’è da aspettarsi anche di peggio. 

    Quello del Prosecco è dunque un terreno piuttosto fragile, in cui si scontrano interessi, opportunità, disattenzioni e rischi che riguardano direttamente un’intera comunità, ma che dovrebbero coinvolgere l’opinione (e l’azione) pubblica a un livello più ampio. Voi cosa ne pensate?

     

    Giulia è nata a Bologna ma geni, pancia e cuore sono pugliesi. Scrive principalmente di tendenze alimentari e dei rapporti tra cibo e società. Al mestolo preferisce la forchetta che destreggia con abilità soprattutto quando in gioco c'è l'ultima patatina fritta. Nella sua cucina non deve mai mancare... un cuoco!

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