Pratica E Antropologia Della Cucina Siciliana

Redazione

di Serena Canu Per hobby, per passione o per necessità quotidiana, la cucina è sempre stata una presenza costante nelle nostre case. Cucinare, però, non vuol dire solo preparare pranzi e cene sperimentando – chi più, chi meno – ricette diverse, ma anche scoprire e riscoprire usanze, tradizioni e terre. Ne è un esempio Fabrizia Lanza, che ci racconta la sua esperienza in Sicilia, dove si trova la scuola cucina creata da sua mamma – Anna Tasca Lanza – 25 anni fa.Come prima cosa, vorremmo conoscerti meglio. Ti presenti brevemente ai lettori del Giornale del Cibo?Fabrizia: Nella mia prima vita ero storica dell’arte e lavoravo nei musei, mestiere che mi piaceva moltissimo. E’ finita in seguito a varie avventure, non ultimo il fatto che io studiavo-lavoravo in Veneto, mentre mia madre desiderava che mi unissi a lei nella gestione della scuola di cucina che aveva creato nel 1989 nelle nostre proprietà in Sicilia. Ho ceduto dopo qualche resistenza e ho iniziato a lavorare con lei nel 2005. Racconto questo non per vantarmi, ma perchè il mio approccio non è certo quello dello chef, piuttosto quello di antropologa dilettante. Il mondo del cibo che ho avvicinato in Sicilia è talmente sconfinato, intrigante e ancora – a dispetto di tutto – così preservato, che oltre a cucinare mi sono messa a studiare forsennatamente.Il prodotto di questa mia prima avventura è stato una serie di video, inclusi due filmati sul cibo delle feste, che un domani vorrei facessero parte di un archivio sui modi di fare che stanno scomparendo: sappiamo benissimo che tra vent’anni queste vecchiette non ci saranno più e probabilmente alcune tecniche spariranno con loro.Il mio lavoro principale è diventato la scuola di cucina in questa piccola azienda dedicata alla cultura del cibo siciliano, una piccola realtà all’interno di una più grande dove produciamo vino. Quasi tutto ciò che cuciniamo è fatto da noi: frutta, verdura, carne, uova, burro. La nostra non è una scuola di cucina tradizionale alla Gambero Rosso, dove vai ed impari fisicamente la ricetta. Noi cerchiamo di veicolare un vero e proprio modo di vivere: l’idea campagnola del vivere con quello che si produce, come usava 30-40 anni fa. E’ più un’esperienza, come dico nel mio sito ‘Sicilian cooking experience’.A questo aggiungiamo che, per tradizione familiare – la mia è da entrambe le parti una delle più antiche famiglie di Sicilia (Tasca e Lanza) – abbiamo avuto in casa degli chef testimoni di una tradizione alimentare-culinaria di altissima qualità: i Monsù. Quindi abbiamo la fortuna di vivere e di condividere con i nostri ospiti e con gli allievi della scuola una cucina di alto livello.Ci racconti qualcosa di più sulla figura dei Monsù?F: La parola monsù viene da monsieur e nella letteratura gastronomica siciliana è uno chef siciliano dalla formazione francese. La cucina francese, infatti, è arrivata nel sud Italia attraverso i Borboni alla fine del ‘700. Il punto di svolta risale alla cacciata dei Borboni in seguito alla rivoluzione francese e al loro arrivo a Palermo, con al seguito tutta la corte. E’ cominciata così una sorta di francesizzazione della cucina siciliana di tipo baronale e nella vita dell’aristocrazia diventa presto di moda avere uno chef con un esperienza a Parigi.Il nostro chef, definito dai giornali ‘l’ultimo dei monsù’, si chiamava Mario, ma noi lo chiamavano Don Mario, perchè lo chef in casa si chiamava sempre Don. Come per la pittura non c’era tanto individualismo, ma una grande costruzione formale rigida e forte, entro la quale lo chef poteva esprimersi. Oggi è cambiato tutto.Tua mamma ha aperto la scuola di cucina 25 anni fa. Ce ne parli?F: Mia madre aveva sempre fatto piccoli lavori, non si era mai lanciata in un progetto imprenditoriale. Questa idea però le è piaciuta e, invogliata dall’esperienza di un’amica, ha cominciato rivolgendosi soprattutto ali americani, per tanti anni nostro pubblico di riferimento. Adesso per fortuna arrivano anche degli italiani e il pubblico si è molto allargato rispetto all’inizio, anche grazie alle varie iniziative che riusciamo a organizzare. Credo che mia madre sia stata l’ambasciatrice della cucina siciliana in America, a livelli altissimi. Era una donna molto forte, facevo le tournèe con lei… siamo state a Delhi, a Malta, in America e in Inghilterra diverse volte. Abbiamo fatto diversi viaggi insieme, sempre per cucinare.Come lo spieghi questo interesse da parte del pubblico americano?F: Rivolgersi agli americani è stata una scelta di mia madre. Intanto bisogna dire che quando lei ha iniziato, nel 1989, il pubblico italiano non era pronto. Non c’era questa gran corsa all’agriturismo, al mangiare bene, al weekend gastronomico. Gli americani obiettivamente sono un po’ più avanti di noi da questo punto di vista, infatti anche oggi per certe mie ricerche trovo una riscontri più lì che non in Italia. In realtà in Italia mia mamma non ha mai avuto grande eco, ha scritto anche un libro con Mondadori – La Sicilia in cucina – ma credo che non l’abbiano più ristampato una volta esaurito. Anche il suo primo libro americano Cuore di Sicilia, tradotto in Italia nel 2006, non lo conosce nessuno nonostante il fatto che siamo state entrambe al Gambero Rosso. Probabilmente la formula che noi vendiamo agli americani non è la stessa che possiamo vendere agli italiani.La cucina serve per scoprire i luoghi e fare esperienza. Ci parli dei tuoi corsi?F: Sto progettando dei corsi tematici dedicati sia alla cucina – dolci, fritture, erbe selvatiche – sia alla scoperta del territorio per coloro che non sono necessariamente fanatici della cucina. Si fa visita al formaggiaio che fa la ricotta, a chi fa la raviola fritta a Caltanissetta e via dicendo. Ci sono quindi dei weekend esclusivamente dedicati al cibo e dei weekend durante i quali al cibo viene associata anche una perlustrazione turistica. Un’iniziativa rivolta soprattutto agli italiani, che hanno la possibilità di arrivare in Sicilia anche solo per alcuni giorni. La particolarità di questo viaggio è il luogo unico in cui le persone vengono ospitate, nè albergo nè agriturismo, ma casa mia, dove c’è la storia della mia famiglia. Io mi prendo carico degli ospiti, li vado a prendere in aeroporto e sto con loro fino alla domenica sera. Un pacchetto in cui la persona si dimentica di tutti i suoi problemi!A proposito di tradizioni, d’estate facciamo il Festival del pomodoro, dove prepariamo l’estratto di pomodoro da utilizzare al posto del dado. Prima lo facevano tutti in Sicilia, ma si tratta di un lavoro enorme quindi ora molti hanno smesso, basti pensare che da 500 kg di pomodoro vengono fuori 50 kg di estratto! Anche per questo lavoro organizzo delle classi e le persone vengono ad aiutarmi. In questi casi si tratta più che altro di stagisti, spesso americani, che vengono in Italia ad imparare.In corrispondenza delle feste faccio anche quello che chiamo ‘Cibo-cultura’, intere settimane legate alle tradizioni festive del luogo: la settimana santa (con i prodotti tipici pasquali),i morti, la festa di San Giuseppe.Ci sono anche dei giovani che fanno queste esperienze?F: Mia madre aveva iniziato con dei pensionati, molti dei quali erano immigrati di terza/quarta generazione che cercavano le loro radici. Solo dopo hanno cominciato ad arrivare i giovani interessati alla cultura del cibo. Ci sono anche delle coppie che fanno la luna di miele e per loro ho pensato a un weekend diverso. I giovani in realtà hanno più difficoltà, soprattutto per il costo del biglietto per la Sicilia.Avete degli aiuti durante lo svolgimento dei corsi, ad esempio per coltivare i prodotti?F: C’è Giovanna che vive lì e lavora con me, una ragazza di un paese vicino, e poi c’è un ortolano. Io mi occupo di organizzare la programmazione e si fa anche moltissima ricerca. Adesso, ad esempio, abbiamo un esperto che si occupa di cultura biologica che mi dà consulenza. Lavoro molto in questo senso, ho anche un frutteto di frutta antica.Per quanto riguarda le ricette, invece, lavoro molto con le persone nei dintorni che partecipano a corsi specifici legati alle feste tradizionali. Ci sono infatti determinate settimane in cui c’è un tripudio di produzioni, allora invito le donne dei paese a cucinare assieme alcune ricette tipiche.Che genere di visitatori avete, in particolare per quanto riguarda l’Italia?F: Per ora ne abbiamo pochi, soprattutto appassionati e persone che fanno viaggi alternativi.Questo posto secondo me è magico, per questo ci tengo a farlo conoscere ancora di più. Ne parlo come una figura di ritorno, perchè sono andata via a 18 anni dalla Sicilia e mi dispiace che se lo godano più gli americani degli italiani. Oggi però è venuto il momento in cui gli italiani potrebbero finalmente scoprirlo. E’ vero che l’Italia è piena di posti belli, purtroppo tanti non sono tenuti e vissuti appieno come questo, per mille ragioni. Sarà forse che questo posto appartiene alla mia famiglia da 200 anni, che mia madre ci ha lavorato per 30 anni e che la Sicilia è davvero una regione particolarmente preservata al suo interno…Secondo te è corretto dire che la fortuna ora sta toccando la Sicilia, e quindi anche la sua gastronomia?F: Credo che la cucina siciliana sia unica, sia come varietà di ingredienti che per il clima e per la natura del suolo, come tutto il sud Italia. E poi ha una serie di stratificazioni storiche molto interessanti. Nessuno ha mai fatto il punto su questo e si dicono sempre un po’ le solite cose, ad esempio che gli arabi hanno portato lo zucchero e gli americani i pomodori, ma sarebbe bello se qualcuno facesse un piccolo incrocio tra il momento in cui arrivano questi prodotti e il modo in cui cambia la cucina. Ci sono dei piatti che usano l’agrodolce – che è romano e non arabo come si dice – ai quali viene poi aggiunto qualcosa di francese, come la besciamella. Ci sono dei potpourri interessanti e una varietà gastronomica gigantesca: la Sicilia è un continente e non si mangiano le stesse cose a Palermo e a Trapani, a Mazara e a Gela e via dicendo.E’ questa caratteristica della cucina siciliana che incuriosisce le persone che partecipano ai vostri corsi?F: Credo di si. Intanto la Sicilia è il primo posto esotico dell’Occidente e l’ultimo posto occidentale dell’Oriente. Questo, unito all’aura storica, mitologica e archeologica, attira le persone. La Sicilia non è un’isola accogliente, bisogna faticare per raggiungere alcuni posti, anche per questo la valorizzazione del territorio è importante.Parliamo di tradizione. Durante i vostri corsi, come vi ponete rispetto al problema delle tradizioni che vanno scomparendo? Tramandarle è una responsabilità.F: Mia madre ha avuto moltissimo il sentimento del recupero della tradizione. E’ stata una pioniera, perchè allora non c’era nulla del genere, tanto meno in Sicilia. Lei non aveva nessuna formazione – aveva la terza media presa in casa, perchè le nobildonne del tempo non dovevano studiare, ma sposarsi e fare figli – ma ha avuto questa intuizione e ha cominciato ad intervistare le signore del posto. Io che ho avuto la fortuna di studiare, invece, ho fatto questo lavoro con un po’ più di metodo. Nonostante le differenze, però, il recupero delle tradizioni è sempre stato il nostro primo obiettivo. Fra l’altro facciamo tutto in casa, dalle conserve alle altre preparazioni che da sempre caratterizzano la campagna: vino cotto, nocino, mandorlino, estratto. E non è una cosa ad uso turistico, poi tutto questo lo mangiamo!Come si sviluppano i contatti con la cultura d’oltreoceano?F: Vado spesso a cucinare nei loro ristoranti. Faccio anche delle tournèe in America, in Brasile e altri i posti dove ci sono persone interessate, portando in giro le tradizioni culinarie siciliane. Ho cucinato nei migliori ristoranti statunitensi, per esempio da ‘Chez Panisse’ di Alice Waters , il ristorante più famoso d’America, che quest’anno farà i 40 anni. Lei è una che si batte molto per la qualità del cibo e per l’introduzione di cibo più sano nelle scuole.Gli americani apprendono diligentemente, sono adulatori e imparano in fretta. Se non hanno le materie prime se la fanno portare. E i giovani chef americani sono molto più umili degli chef italiani. Ma sono talentuosi, curiosi!Ospite illustre è stata Julia Child, guru assoluto della cucina americana dagli anni ’70, è stata quella che ha introdotto la cucina francese negli Stati Uniti fondendola con quella americana.Per conoscere i dettagli dei corsi, potete visitare il sito della scuola di cucina di Fabrizia Lanza.Sul canale youtube del Giornale del Cibo trovate alcune video-ricette realizzate da Fabrizia.

Lascia un commento