pasta alla milanese

Pasta ‘a milanisi: le origini di un piatto della tradizione siciliana

Giulia Ubaldi
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    Il bello della Sicilia è proprio questo: di dodici dominazioni, ognuna ha lasciato la sua traccia, anche e soprattutto in cucina. Ve ne avevamo già parlato in occasione di cibo e migrazioni, osservando le varie stratificazioni alimentari che rendono questa cultura gastronomica immensa.

    Oggi abbiamo scelto di raccontarvi un piatto di cui già il nome ha origini incerte, che si perdono e sfumano nella storia, tra realtà e leggenda: è la “pasta ‘à milanisi”, la pasta alla milanese, che per alcuni non ha nulla a che vedere con Milano, mentre per altri sì. Quel che è certo è che si trova ovunque in Sicilia, da Enna a Lampedusa e quasi sempre in occasione del pranzo del Venerdì santo.

    La pasta alla milanese: leggenda, storia e ricetta

    pasta a milanisi

    In realtà, la pasta ‘a milanisi non è poi così diversa dalla più nota pasta con le sarde, tranne che per due motivi: la presenza dell’estratto di pomodoro e l’utilizzo delle sarde salate, anche se alcuni oggi, come ad esempio la Trattoria Donna Rosa, di cui vi avevamo parlato in occasione degli mpalavvitati, preferiscono utilizzare le sarde fresche. Eppure il nome potrebbe essere legato proprio all’antica tecnica di salatura di questo pesce… Vediamo di perché.

    Le tre ipotesi sull’origine del nome

    È Angelo Augusto, giornalista di Licata appassionato di storia, a raccontarci la prima ipotesi sull’origine di questo nome, secondo un’antica leggenda con protagonista una signora licatese che all’inizio del Novecento emigrò a Milano. Una volta tornata in Sicilia, tutti la chiamavano “a milanisa e visto che lei cucinava sovente questa ricetta, il piatto prese il suo nome. Per alcuni questa versione lascia adito ad alcuni dubbi, perché la pasta ‘a milanisi non è diffusa solo a Licata, ma in tutta la regione. Secondo un’altra versione, furono invece gli emigrati siciliani al nord a modificare la classica pasta, con le sarde salate al posto di quelle fresche, poiché, come si può facilmente intuire, si trovavano piú facilmente.

    Infine c’è una terza ipotesi: i Normanni, che come sappiamo sono stati a lungo in Sicilia, venivano chiamati lombardi oppure milanesi; secondo alcune fonti, pare che siano stati proprio loro a introdurre il pesce conservato, quindi essiccato, affumicato o salato, nella parte interna della Sicilia lontana dalle coste, dove arrivava più difficilmente, e da lì potrebbe aver tratto origine questo piatto. Non dimentichiamo che qui le sarde non mancano mai, anche perché per secoli il salatore di sarde è stato uno dei mestiere più diffusi nell’isola, in particolare a Licata.

    La tradizione dei salatori di sarde

    sarde siciliane

    Le tecniche per conservare il pesce, quali l’affumicamento o appunto la salatura, sono antichissime e risalgono ai tempi degli egizi. In Italia, in particolare, la tradizione di salare il pesce azzurro è cambiata proprio negli ultimi decenni, quando da casalinga e artigianale è diventata purtroppo sempre più industriale. Basti pensare che oggi in qualsiasi supermercato troviamo scatolette di tonno, alici, sgombri, sardine, preparati in infiniti modi. Un tempo, però, non era così: i salatori di sarde erano particolarmente diffusi, come ad esempio a Licata, dove c’è proprio un intero quartiere, il Salato appunto, che in passato era il punto di sbarco e di conservazione delle sarde, l’attività fiorente della città ancora fino ai primi decenni del ‘900. L’intero quartiere era tutto abitato da salatori di sarde, come Angelo Vecchio, ultima appendice di una famiglia molto attiva in questo ambito. Dopo aver eliminato testa e interiora, venivano ricoperte interamente con un’abbondante quantità di sale e chiuse ermeticamente per almeno tre mesi in un luogo asciutto e fresco, al riparo dalla luce. Oggi potete preparare questo piatto anche con le sarde fresche, oppure perché non provare a utilizzare entrambe, accontentando tutti?

    Ricetta della pasta ‘a milanisi

    ricetta pasta alla milanese

    Ingredienti per 4 persone

    • 400 g bucatini o spaghetti
    • 200 g estratto di pomodoro
    • 8 sarde fresche o salate sott’olio
    • 1 cipolla
    • 100 gr pan grattato
    • q.b. di uva passa
    • q.b. di pinoli  
    • q.b. di pepe nero
    • q.b. di finocchietto selvatico
    • q.b. di sale
    • q.b. di olio extravergine d’oliva

    Procedimento

    1. Fate un soffritto di cipolla, poi quando è ben dorata e rosolata unite l’estratto di pomodoro e il finocchietto selvatico fresco.
    2. Dopo due minuti, aggiungete le sarde fresche ben pulite o le sarde salate; poi versate due bicchieri di acqua calda o di brodo di pesce (se ne avete da parte un po’ già pronto).
    3. Quando il sugo comincerà a bollire, aggiungete uva passa e pinoli e aggiustate di sale e pepe.
    4. Intanto, in un’altra padella preparate ‘a muddica: versate il pangrattato con un filo d’olio e mescolate continuamente finchè non risulterà dorato.
    5. Nel frattempo bollite l’acqua per la pasta e buttate i bucatini o gli spaghetti.
    6. Scolateli al dente e versateli nella padella con la salsa; mescolate bene, impiattate e ricoprite completamente di muddica.

    Le foto nell’articolo sono di Giulia Ubaldi.

    Antropologa del cibo, è nata a Milano, dove vive e scrive per varie testate, tra cui La Cucina Italiana, Scatti di Gusto, Vanity Fair e le Guide Espresso. Il suo piatto preferito sono gli spaghetti alle vongole, perché per lei sono diventati un'idea platonica: "qualsiasi loro manifestazione nella realtà sarà sempre una pallida copia di quella nell'iperuranio". Nella sua cucina non mancano mai pistilli di zafferano, che prima coltivava!"

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