Multiculturale ed etico: al ristorante Gustamundo “ogni cena è una storia”

Alessia Rossi
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    Seduti attorno a un tavolo, davanti un piatto pieno, si annulla ogni distanza e ogni forma di (apparente) diversità tra le persone. Che poi nel piatto ci sia una lasagna alla bolognese o quella venezuelana di platano e carne, fa poi così differenza? Il cibo è in grado di unire e di creare nuove possibilità di inclusione, anche sociale, politica ed economica. L’abbiamo visto con progetti come Orient Experience o Migrateful, e ora lo vediamo insieme a Pasquale Compagnone che nel 2017 ha dato avvio, a Roma, al suo progetto che ha preso la forma di Gustamundo, un ristorante etnico (ed etico) in cui a cucinare sono proprio chef e cuochi provenienti da altri Paesi e arrivati in Italia come migranti. L’abbiamo intervistato per farci raccontare com’è nata questa realtà che ha visto passare moltissimi ragazzi e ragazze provenienti da tutto il mondo e in cui la cucina è davvero portavoce del concetto che ogni diversità – o presunta tale – è un valore.

    Gustamundo, nascita del ristorante etnico ed etico  

    Pasquale Compagnone è un imprenditore di lunga data, con esperienza e già avvezzo alla cucina etnica, nonché grandissimo appassionato. Nel ‘93 ha aperto infatti un ristorante messicano, El pueblo, in cui già si potevano intravedere alcune caratteristiche che sarebbero poi diventate  punti cardine di Gustamundo: si porta avanti infatti una cucina che sia il più possibile autentica e vicina a quella del Paese originario, cercando di mantenere intatte le ricette, i gusti, le tradizioni. Poi, la svolta: “nel 2017 si è liberato il locale a fianco. Dal momento che ero fortemente contrario alla narrazione che si stava portando avanti in quegli anni dei migranti, ho pensato di voler proporre una modalità di inclusione che passasse dalla cucina, con ‘migranti’ e italiani insieme” racconta Pasquale.

    © Gustamundo

    Nasce così il progetto Gustamundo, sostenuto e finanziato dal ristorante El pueblo (i due ristoranti sono poi stati uniti in un unico locale): per i primi anni, con la collaborazione di molti centri di accoglienza e di alcune onlus, sono state organizzate cene multietniche offrendo opportunità lavorative e di sviluppo professionale a persone che vivono in condizioni di fragilità e a rischio di emarginazione, come rifugiati e richiedenti asilo. L’idea è che loro propongano piatti che fanno parte della propria cultura, per creare una vicinanza con i clienti e far conoscere, oltreché la cucina del Paese d’origine, anche la propria storia. “C’è chi scappa per guerre tribali, come nel caso di alcuni stati africani, chi invece per veri e propri conflitti armati come in Afghanistan, chi ha subito abusi e violenza, e così via. L’obiettivo di Gustamundo è quindi duplice: da una parte, aprire un ristorante multietnico di qualità, dall’altra offrire un lavoro a queste persone”.

    Il cibo come strumento di inclusione lavorativa

    Persone che, nel loro Paese, erano cuochi o lavoravano comunque nel settore della ristorazione. Come racconta Pasquale, infatti, “abbiamo fatto una ricerca per trovare degli ex cuochi. L’idea di avviare un ristorante multietnico doveva garantire un livello medio-alto, perché altrimenti a Roma si chiude dopo sei mesi. All’inizio ero io che sentivo i centri di accoglienza e li invitavo a presentare i curricula di chi dichiarasse di aver fatto il cuoco. Adesso invece, con il fatto che siamo più conosciuti, sono loro che ci propongono delle persone. A quel punto, noi facciamo fare loro una prova, una o due serate, in cui propongono i loro piatti: invitiamo i clienti ad assaggiarli, e se la qualità è medio-alta si è inseriti nello staff”.

    © Gustamundo

    Gustamundo è, quindi, un esempio virtuoso. “Siamo portati a enfatizzare sempre le notizie negative. Quando ci sono risvolti o esempi positivi di inclusione, non se ne parla mai abbastanza e così alle persone invece arriva solo il brutto. Bisognerebbe parlare più spesso invece di ciò che è bello e funziona, soltanto a Roma ci sono moltissime esperienze positive. E ci tengo a dire che noi lavoriamo in piena legalità e trasparenza: i ragazzi e le ragazze sono contrattualizzati, non c’è sfruttamento o lavoro nero, inoltre diamo pari stipendi a uomini e donne. Ho sempre ritenuto l’inclusione come uno strumento di lavoro: i ragazzi sono formati, hanno un contratto regolare e c’è una strada imprenditoriale che parte da me, che sono l’imprenditore, ma rispettando l’etica commerciale e morale dei rapporti lavorativi”.

    “Ogni cena, una storia”: i sapori i racconti dal mondo nella cucina di Gustamundo

    Il cibo va al di là del semplice atto di mangiare. È cultura, tradizioni, viaggi, storie, possibilità. Questo si rispecchia nel payoff di Gustamundo, “ogni cena, una storia”. Perché è ciò che accade in questo luogo, in cui sono passati oltre 60 persone, impiegati come chef e cuochi, provenienti da Senegal, Mauritania, Mali, Costa d’Avorio, Guinea, ma anche Siria, Afghanistan, Iran, Iraq, e dietro i piatti che propongono di storie ce ne sono eccome. Alla fine delle cene, si condivide il tavolo con i cuochi e le cuoche del ristorante e si conoscono le loro “storie quotidiane di integrazione, sogni lasciati alla spalle e speranze nel futuro di rimanere in Italia”. Senza però forzare nessuno, come racconta Pasquale: “Abbiamo grande rispetto della loro privacy e io personalmente – per scelta – non ho mai chiesto quale fosse la loro storia. Sono poi stati loro con il tempo ad aprirsi”.

    GustamundoRoma/facebook.com

    Questo si riflette anche nella scelta con cui vengono presentati i ragazzi e le ragazze dello staff di Gustamundo nel sito web, con una sorta di carta d’identità. Ad esempio, c’è Parwana, originaria dell’Afghanistan, le cui ricette del cuore sono il mantù (ravioli tipici ripieni di carne) e kabuli (riso con carne di agnello). Ha riabbracciato a Roma Sayeeda ed Edriss, i suoi fratelli, dopo anni. O ancora, Ilyas Mohammad, che in Pakistan aveva un ristorante che è stato raso al suolo: dopo aver perso la moglie, ha intrapreso il lungo viaggio che l’ha portato in Italia, allontanandolo dai suoi figli di 12 e 17 anni. Li ha riabbracciati solo quest’anno, dopo quasi dieci anni. Una figura storica per Gustamundo, la cui esperienza si coglie nel suo cavallo di battaglia: il byriani, uno dei piatti più richiesti.

    Come spiega Pasquale, il menù è variegato e sempre variabile, in quanto segue i percorsi migratori. “Ci sono però alcune costanti, come hummus e falafel del nostro cuoco siriano che è ospite della Comunità di Sant’Egidio, il tajine di carne, lo zighinì, il tipico piatto eritreo, o ancora il mafè, un piatto senegalese”.

    “In cammino” e altri progetti di Gustamundo

    Gustamundo non è mai stato fermo. Sono oltre 200 i CUD che Gustamundo ha rilasciato, e durante gli anni pandemici Pasquale ha poi creato l’Associazione di Promozione Sociale, “In Cammino con Gustamundo”, che affianca l’attività del ristorante con un servizio di catering “migrante, etnico e solidale” e promuove la formazione dei migranti con corsi di vario genere. Ma non solo, perché collabora anche con altre associazioni per aprire corridoi umanitari e ricongiungere nuclei familiari dei profughi e delle persone arrivate in Italia, come fatto con Parwana e Ilyas.

    GustamundoRoma/facebook.com

    Recentissimo è anche l’avvio di un’altra iniziativa, ossia un corso gratuito di pasticceria interculturale, sicurezza sul lavoro e controllo degli alimenti (HACCP) curato dal gruppo di cuoche migranti e richiedenti asilo. “Si tratta di un laboratorio di pasticceria artigianale, ‘Un dolce che cambia la vita’, ma è più di questo. Per prima cosa, vorremmo dare la possibilità a quattro cuoche che vengono da situazioni di forte fragilità di insegnare, in una prima fase, i loro dolci ad altri migranti, mentre in una seconda fase lo apriremo anche agli italiani. Vogliamo creare un posto in cui qualsiasi donna migrante possa venire a preparare i propri dolci in un posto sano, igienico e munito di tutte le autorizzazioni, e non cucinare a casa magari in condizioni igieniche precarie. Vorremmo anche sollecitare i ristoranti a una sorta di adozione, ossia trovare del locali che, appunto, adottino uno di questi dolci e lo affianchino ai loro: così, nella carta dei dolci, di fianco al tiramisù leggi la baklava di Dilrouba dall’Azerbaijan”.

    Insomma, come il cibo non è mai “solo” cibo, anche Gustamundo è più di un semplice ristorante. Per chi fosse a Roma, consigliamo un passaggio per assaporare i sapori forti e decisi della cucina africana o mediorientale e conoscere le storie dello staff.

    È nata vicino a Bologna, ma dopo l'università si è trasferita a Torino per due anni, dove ha frequentato la Scuola Holden. Adesso è tornata a casa e lavora come ghost e web writer. Non ha molta pazienza in cucina, a parte per i dolci, che adora preparare insieme alla madre: ciambelle, plumcake e torte della nonna non hanno segreti per lei. Sta imparando a tirare la sfoglia come una vera azdora (o almeno, ci prova).

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