Granchio blu: una specie invasiva che potremmo mangiare?

Matteo Garuti
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    Il granchio blu è una delle specie invasive di cui si sta più discutendo, per il suo impatto ecologico ma anche per il valore economico che potrebbe derivare dalla pesca e dal suo consumo alimentare. Insediatosi ormai da anni nel Mediterraneo, grazie al riscaldamento delle acque questo crostaceo ha potuto stabilizzarsi e diffondersi sempre più, come altri pesci esotici originari di altri mari. Ma quali sono le sue caratteristiche e le conseguenze della sua presenza nei nostri mari? E mangiarlo può essere una soluzione per contenerne l’invasione a danno delle specie autoctone e sostenere il settore della pesca? Considerando diversi aspetti biologici ed economici, approfondiamo l’argomento.

    Granchio blu: cos’è e per cosa si caratterizza?

    P. Dorman/shutterstock.com

    Il granchio blu (Callinectes sapidus) è solo uno dei tanti ospiti indesiderati che in questi anni si sono acclimatati nel bacino del Mediterraneo, rendendo la vita più difficile alle creature originarie del nostro mare, da tempo tra i più invasi per numero e velocità di colonizzazione. La diffusione di pesci, crostacei, molluschi e vegetali da acque tropicali e sub-tropicali danneggia la biodiversità e l’equilibrio degli ecosistemi, con ricadute anche sulle attività socio-economiche, a partire dalla pesca professionale. Questo fenomeno è incentivato dai cambiamenti climatici e dal riscaldamento delle acque, determinanti per favorire l’introduzione e l’adattamento di queste specie. Come spesso avviene quando animali di habitat lontani raggiungono un ecosistema, anche i crostacei alloctoni possono contribuire a propagare patogeni pericolosi per la vita marina indigena. Per la sua prolificità, la capacità di adattamento e di nuoto e l’aggressività rispetto ad altre creature di taglia inferiore o simile, il Callinectes sapidus è stato inserito nella lista delle 100 specie marine esotiche invasive del Mediterraneo.

    Ma come si presenta? Come suggerisce il nome, il colore blu caratterizza le grosse chele – in grado persino di danneggiare le reti da pesca – e le zampe degli esemplari maschi, che possono superare i 20 cm di lunghezza, soverchiando per stazza molti animali marini autoctoni. Questi crostacei vivono solitamente a 30-40 metri di profondità ma tollerano bene temperature e livelli di salinità molto variabili, anche in ambienti diversi quali coste, lagune salmastre ed estuari. In assenza dei suoi predatori nell’ambiente d’origine – tartarughe, calamari, pesci e uccelli – il granchio blu può riprodursi indisturbato. Questo crostaceo può mangiare di tutto, dalle vongole ad altri crostacei, fino a piccoli pesci e meduse, creature che – come le filiere commerciali ad esse legate – sono significativamente colpite dalla sua presenza.

    Come è arrivato nei nostri mari?

    Originario dell’Atlantico occidentale e del golfo del Messico, il granchio blu ha trovato casa prima nell’Adriatico settentrionale e nell’Egeo, con sporadiche catture già sul finire degli anni Quaranta, per poi propagarsi in tutte le aree del Mediterraneo. In generale, l’invasione delle specie aliene si alimenta con le migrazioni, in particolare attraverso il canale di Suez, e a causa del traffico marittimo per mezzo del rilascio di acque di zavorra dalle grandi navi, dove le specie marine di piccole dimensioni possono annidarsi. Nel caso del granchio blu, questa seconda modalità è la più indiziata. In misura comprensibilmente minore, possono comunque contribuire anche le immissioni volontarie dovute ad acquacoltura, acquariofilia e importazione di esche vive. In Italia e in Europa, come abbiamo visto, anche il gambero killer della Louisiana si è diffuso per queste stesse cause.

    PTZ Pictures/shutterstock.com

    Anche se non è ancora stato avviato un monitoraggio scientifico dedicato e focalizzato sul suo impatto ambientale, questa specie è ormai stabilmente insediata su tutto il litorale italiano e alla foce di molti fiumi, da Nord a Sud e in Sicilia e Sardegna. Nella laguna di Venezia, le nuove condizioni ambientali e le peculiarità di questo granchio ne hanno favorito una diffusione particolarmente invasiva.

    Bisogna sottolineare, inoltre, che il Callinectes sapidus non è l’unico granchio azzurro che si è insediato nel Mediterraneo, perché nella fascia meridionale da quasi un decennio è presente anche un’altra specie visivamente simile (Portunus segnis) originaria del Mar Rosso. Questo crostaceo, già segnalato anche nei dintorni di Lampedusa, ha colpito il settore della pesca in Tunisia e gli operatori hanno dovuto coinvolgere la Fao (Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura), che non ha potuto far altro che aiutare la popolazione locale a trarre vantaggio da questa presenza, promuovendo la commercializzazione degli esemplari catturati. Oggi, infatti, lungo le coste tunisine, il Portunus segnis viene pescato ed esportato a scopo alimentare. Le coste albanesi, invece, sono flagellate dal Callinectes sapidus, che sta allontanando dal litorale i pesci di scogliera, mettendo in crisi il settore della pesca locale.

    Tutto ciò evidenzia la continua evoluzione delle specie nel Mediterraneo, che stanno creando danni ma anche nuovi e imprevedibili equilibri negli ecosistemi marini. Ad ogni modo, a scopo preventivo, è importante segnalare avvistamenti alle istituzioni o agli enti di ricerca che si occupano del monitoraggio ambientale.

    Una specie apprezzata sul piano gastronomico: mangiarlo è la soluzione?

    I granchi blu – in particolare il Callinectes sapidus ma anche il Portunus segnis – non solo sono commestibili, ma hanno anche un certo valore nel mercato alimentare. Non a caso nel loro areale d’origine vengono consumati da sempre e sono apprezzati per il gusto delicato delle carni. Nella costa orientale degli Stati Uniti l’importanza economica del Callinectes sapidus è notevole, e nello Stato del Maryland risulta essere tra i principali prodotti della pesca, per un prezzo compreso tra i 25 e gli 80 euro per gli esemplari più grandi (500-700 g), mentre le cifre scendono per le taglie medie e piccole. A livello industriale, la polpa viene estratta con particolari sistemi meccanici e commercializzata surgelata.

    fluke samed/shutterstock.com

    Questa specie, però, non va confusa con il ben più pregiato granchio blu reale (Blue King Crab, Paralithodes platypus), tipico del Pacifico settentrionale e che può raggiungere 8 kg di peso. Considerato una vera e propria prelibatezza, si consuma nel periodo della muta e ha un prezzo che arriva a 150 dollari al chilo.

    L’idea di portare stabilmente i granchi blu anche sulle nostre tavole, ad ogni modo, in Italia trova un numero crescente di sostenitori, sia per i vantaggi economici da trarre dalla commercializzazione sia per il beneficio ecologico risultante da una riduzione numerica degli esemplari. Nei Paesi rivieraschi del Mediterraneo, il prezzo delle due specie citate varia da 5 a 15 euro al chilo. Con il progetto “Blueat – La pescheria sostenibile”, la start-up “Mariscadoras” di Rimini si sta impegnando per spingere i pescatori italiani a catturare il granchio blu, con sistemi di pesca sostenibile, per venderlo a un prezzo stabilito alla società che si occuperà della trasformazione e dell’esportazione verso i mercati internazionali. Analogamente, da tempo esistono iniziative per far conoscere e apprezzare a tavola i pesci sconosciuti, spesso originari di mari esotici.

    Il granchio blu americano è molto versatile in cucina, e con la cottura il carapace e le chele perdono il colore indaco e diventano rossi, come avviene per tutti i crostacei. Apprezzato per le sue carni, nelle zone d’origine viene cotto al vapore, bollito, grigliato o utilizzato come ingrediente di insalate, zuppe, polpette e condimenti, anche da abbinare alla pasta.

    Avete mai avvistato un granchio blu? Sareste pronti ad assaggiare questa specie?

    Matteo è nato a Bologna e vive a San Giorgio di Piano (Bo), è giornalista, sommelier e assaggiatore di olio d'oliva, ha collaborato con il Dipartimento di Scienze e Tecnologie agro-alimentari dell'Università di Bologna. Per Il Giornale del Cibo si occupa di attualità, salute, cultura e politica alimentare. Apprezza i cibi e le bevande dai gusti autentici, decisi e di carattere. A tavola ama la tradizione ma gli piace anche sperimentare: per lui in cucina non può mancare la creatività, "perché è impossibile farne a meno!"

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