Intervista a Giovanni Passerini, l’arte culinaria è come il jazz: improvvisazione e perfezione
Nel 2016, Giovanni Passerini è stato eletto il migliore chef italiano in Francia dalla guida “Le Fooding”, una delle più amate dai francesi. Qualche anno dopo anche l’Italia gli ha riconosciuto questo primato, quando 50 Top Italy ha dichiarato il suo ristorante parigino come migliore ristorante italiano al mondo fuori dai confini nazionali. Per tutti questi motivi, abbiamo deciso di incontrarlo e di intervistarlo, per sapere e capire quali sono state le tappe più significative e influenti della sua carriera, cioè quelle che l’hanno portato sul podio della gastronomia globale.
Uno. Roma e gli studi forzati in Economia
Giovanni Passerini nasce nel 1976 a Roma, in una famiglia della borghesia romana. Più per aspettative familiari che per passione, intraprende gli studi universitari in Economia e Commercio senza un grande interesse e rimane a vivere in città fino a 24 anni. In seguito, per vari motivi, riesce a esimersi dal servizio militare e, come dice lui, a recuperare un anno di vita. Così decide di andare in Erasmus a Madrid, esperienza che segnerà una svolta nella sua carriera.
Due. L’Erasmus a Madrid
“Sono arrivato in Spagna negli anni del G8, un periodo in cui ci si ribellava, in cui c’erano un sacco di movimenti no global all’avanguardia”. È in questa fase di feste e di apertura che Giovanni realizza quello che già in fondo sapeva da un po’, ovvero che il mondo dell’Economia non era il suo campo, ma che erano altri tre i suoi interessi principali: la musica, la fotografia e la cucina. Ed è così che una volta tornato a Roma dopo l’Erasmus, decide di mandare il suo curriculum a vari ristoranti all’estero.
Tre. Le prime esperienze in cucina, dalla Germania all’incontro con Justine
Giovanni inizia subito dall’alto, con una prima esperienza in cucina nel 2002 in un ristorante stellato di Colonia, in Germania, e poi con un periodo da Heinz Beck. Successivamente viene chiamato per caso in un piccolo bistrot di quartiere di nuovo a Madrid, dove ritorna a vivere e lavorare per quasi un anno. È qui che incontra Justine, una ragazza francese di Parigi, che si trovava lì in Erasmus e che oggi è sua moglie e la madre delle loro figlie. Quando lui ritorna a Roma, per un periodo la storia prosegue a distanza, poi lei decide di raggiungerlo in Italia.
Quattro. Il successo di Uno e Bino
Justine prende questa decisione nel momento in cui a Giovanni viene affidata una missione importante, ovvero quando Gloria Gravina, proprietaria del ristorante “Uno e Bino” di Roma, decide di affidargli totalmente la cucina del suo locale. “In quel periodo avevo una voglia pazzesca di fare cucina creativa, infatti ho creato dei piatti che se ci ripenso oggi me ne vergogno… come ad esempio il Mojito di alici! Ma in realtà anche alcuni di cui vado fiero, come il Tortello di pecorino con latte di mandorle e aglio”. Uno e Bino ha un grandissimo successo, ed è in questi anni che Giovanni inizia a farsi un nome. Ma ora è tempo di partire di nuovo: Justine desidera tornare a Parigi e questa volta è lui a decidere di seguirla e a trasferirsi in Francia con lei.
Cinque. Il trasferimento a Parigi e il primo contatto con la realtà francese allo Chateaubriand
Siamo nel 2007 quando Giovanni arriva a Parigi. “Mi aspettavo ambienti super precisi e pieni di rigore, invece mi sono ritrovato in cucine dove si ascoltava Herbie Hancock a massimo volume, dove non si faceva che sperimentare in modo spontaneo, con piatti che cambiavano di continuo… insomma, un posto, la Francia, dove il cuoco è un vero artigiano”.
Giovanni inizia con un’esperienza allo “Chateaubriand di Inaki Aizpitarte”, che sente subito essere “il luogo dove succedono le cose, the place to be”.
Sei. L’Arpège di Alain Passard
In seguito fa uno stage di qualche mese a “L’Arpège” di Alain Passard, per lui il padre della gastronomia: “siamo passati tutti da lui, in questo teatro dove non ci si annoia mai e dove dietro le quinte regna l’improvvisazione”. Questa, infatti, continua ad essere la scoperta di Giovanni a Parigi, cioè quella di un mestiere che a differenza del rigore e della rigidità che aveva appreso fino a quel momento, gli si presenta ora come uno degli spazi più liberi, creativi e improvvisati che lui abbia mai visto.
Sette. La Gazzetta di Petter Nilsson
Un giorno Giovanni decide di bussare alla porta di uno di quei luoghi che ha fatto la storia della gastronomia francese, ovvero alla Gazzetta dello chef svedese Petter Nilsson, oggi ormai chiuso. Rimane qui due anni e mezzo, duranti i quali sviluppa un rapporto davvero speciale con Petter: “mi ha dato tutto quello che in quel momento mi mancava, come ad esempio un po’ del rigore che avevo perso; ma allo stesso tempo mi ha insegnato anche la sapienza artigianale di questo lavoro… Una vera enciclopedia vivente”. Col passare degli anni, però, inizia a maturare in lui la consapevolezza di essere pronto per un nuovo capitolo: è arrivato il momento di aprire un suo ristorante
Otto. La nascita di Rino e della sua prima figlia
Il suo soprannome è sempre stato Rino, per questo decide di chiamare così il suo primo piccolo ristorante, che apre nel 2010 al 46 di rue Trousseau, nell’undicesimo arrondissement, di fianco al Marché d’Aligre. Giovanni ha fin da subito le idee ben chiare su come voleva che fosse: “prima di tutto doveva essere buono e goloso, ma senza ottenere questa bontà attraverso l’utilizzo del sale, del grasso o dello zucchero; poi dove esserci un’anima italiana che mi permetteva di distinguermi nel mondo della gastronomia, ma in modo nascosto, raffinato, un po’ europeo; e infine un menù fisso, che da maniaco della sequenza quale sono doveva cambiare tutte le settimane”. I piatti, infatti, non erano fissi o studiati, ma elaborati di volta in volta, in modo istintivo, senza alcun eccesso di razionalismo, cosa che continua a caratterizzare ancora oggi la sua cucina. “Tant’è che se mi chiedi qualche piatto, non me ne ricordo nemmeno uno, talmente ne abbiamo fatti, talmente ne abbiamo cambiati”.
Ricordiamo che siamo negli anni in cui a Parigi stava nascendo una nuova gastronomia, la bistronomie, cioè una cucina innovativa che si ispira ai piatti classici dei bistrot, con sempre onnipresente il classico menù degustazione con prodotti di stagione. Per questo a Giovanni da un lato l’identità italiana continuava a “servirgli” per differenziarsi in questo mondo in crescita, ma allo stesso tempo la gente non ne poteva più di questi menù fissi con prodotti di stagione, ce n’erano troppi… “E anche se Parigi è stata la capitale di questo nuovo movimento, i movimenti dopo un po’ stancano”. Così, dopo esattamente quattro anni, Giovanni decide di chiudere “Rino” il giorno esatto in cui aveva aperto, anche perché nel frattempo era diventato papà e voleva godersi la paternità e l’arrivo della sua prima figlia.
Nove. Passerini, Restaurant e Pastificio
Dopo la chiusura del suo ristorante, Giovanni inizia ad avvicinarsi all’idea di una cucina più rustica, ventilando l’ipotesi, ad esempio, di sbattere in un menù del giorno un tagliolino al ragù. Inoltre, inizia a pensare che forse era arrivato il momento di fare qualcosa con sua moglie Justine, che tra l’altro nel frattempo era passata dall’organizzare eventi nel teatro al mondo della cucina. “Abbiamo realizzato insieme che quello che ci piaceva di più fare era andare a mangiare in locali con più spazio e comfort tra i tavoli, e in ristoranti senza il menù degustazione, perché veramente non se ne poteva più. Così ci siamo messi a cercare un locale più grande e dopo averlo trovato, abbiamo passato anni intensi a gestire un cantiere difficile, fino al grande giorno in cui abbiamo aperto”.
Il 12 maggio del 2016, esattamente otto anni fa, Justine e Giovanni inaugurano il “Restaurant Passerini” (di cui vi avevamo già parlato a proposito della nostra guida sui migliori locali dove mangiare a Parigi), con annesso anche un piccolo pastificio omonimo dove fanno e vendono pasta fresca, soprattutto ravioli ma anche lasagne. Lei si occupa della sala e in generale “gestisce l’umano”, come dice Giovanni, “perché è molto più brava di me!” Lui continua a dirigere la cucina, con un’équipe sempre in continuo movimento, con giovani che vanno e vengono da tutto il mondo. Il menù ovviamente non è fisso o a degustazione, cambia tutte le settimane a seconda di quello che gli va di cucinare, anche se ci sono alcuni piatti che sono sempre presenti come il piccione in due servizi o la trippa: “quella la tengo per stupire i francesi, perché si aspettano le tagliatelle alla bolognese e invece ogni volta si stupiscono quando leggono trippa sulla carta”.
In generale la sua cucina continua a essere estremamente istintiva, oserei dire un caos perfettamente organizzato, un pezzo jazz tanto improvvisato quanto perfetto, una canzone di Herbie Hancock, uno squisito delirio gastronomico che in bocca unisce la pasta con alcuni ingredienti, sapori e gusti francesi, per un risultato totalmente inaspettato, ma sempre impeccabile.
Dieci. Passerina, la Cave à manger
Ma Giovanni non si ferma qui. Oltre alla nascita della sua seconda figlia e all’arrivo del cane Nata (che ritiene la sua terza figlia), arriva anche la quarta. Da tempo, infatti, aveva puntato il locale davanti al ristorante Passerini, fino al giorno in cui decide di prenderlo. “Non l’ho fatto tanto per fare l’imprenditore, quanto per divertirmi, perché avevo bisogno di un luogo con meno stress, meno impegnativo”. Doveva inaugurarlo a fine febbraio del 2020, ma con l’arrivo della pandemia resta chiuso per due anni. Quando è il momento di riaprire, nel gennaio del 2022, il format viene leggermente rivisto, cioè diventa un posto dove andare a bere e mangiare, o meglio a grignoter, cioè mangiucchiare, un’attività che i francesi amano molto. Il tutto in un “bordello sotto controllo”, come lo definisce Giovanni e sotto il controllo di Antoine, che è la persona perfetta per gestire “Passerina”. Sul nome, ca va sans dire… “Potrai facilmente immaginare che per anni si sono divertiti a prendermi in giro per il mio cognome e a storpiarlo in tutti i modi possibili”.
Ma oltre a tutto questo lavoro, la vita va anche vissuta, dice Giovanni. Per questo il venerdì lascia il ristorante per andare in campagna con le sue quattro donne, lasciando le altre due a Parigi in buone mani, dando piena fiducia ai suoi dipendenti, certo che serviranno in tavola una delle creazioni dell’ultimo… minuto.
Allora, vi abbiamo fatto venire voglia di provare i piatti del ristorante di Giovanni Passerini durante il prossimo viaggio a Parigi o continuerete ad essere scettici all’idea di mangiare cucina italiana al di fuori dei confini nazionali?
Immagine in evidenza di: PH www.passerini.paris/restaurant-passerini/photos/