10 cose da sapere sul comptoir, il bancone dei bistrot parigini simbolo di resistenza locale                                                             

Giulia Ubaldi
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    I bistrot parigini sono un baluardo di resistenza locale, uno spazio dove si può ancora vivere una dimensione di socialità e convivialità, ma allo stesso tempo anche di intimità, a maggior ragione in una grande città grande come Parigi. Sono luoghi dove ci si prende ancora il proprio tempo, come se qui qualcosa si fosse fermato, come in una fotografia. Ma il fulcro dei bistrot è indiscutibilmente uno: il comptoir, il bancone del bar, le zinc, quello di cui vi parleremo oggi. 

    Origine, storia e caratteristiche dei bistrot parigini 

    Foto di Carlo Manzo

    Qualsiasi definizione troppo stretta e rigida di “bistrot” rischierebbe di ridurre tutto il mondo infinito che racchiudono e rappresentano. Iniziamo dall’origine, che già risulta varia e incerta: la parola “bistrot”, infatti, significava osteria, ma successivamente ha iniziato a indicare anche un piccolo caffè. Sulla sua etimologia ci sono varie teorie: secondo alcuni deriva da bistraud o bistroquet, che nel nord della Francia si riferisce ai vignaioli o ai commercianti di vino. Secondo altri viene dal russo bistro, che vuol dire “rapido”, quando al tempo dell’occupazione russa di Parigi (1814-1818) i soldati russi, che non erano autorizzati a bere alcolici, temevano di essere sorpresi dagli ufficiali e quindi dicevano spesso “bistro, bistro!”. 

    Qualsiasi sia l’origine del nome, i bistrot si sono diffusi prima che in tutta la Francia a Parigi nel corso del 1800, diventando sempre di più parte della conformazione della città, legandosi indissolubilmente ad essa. Negli anni sono stati il rifugio di tantissimi artisti e scrittori, tant’è che oggi molti bistrot sono conosciuti per essere “quello dove veniva Hemingway” e così via. Ma contemporaneamente anche di tanta gente comune, che oggi come ieri continua a frequentarli per vari motivi, per trovare calore, convivialità, e scambiare conversazioni leggere (le famose breves du comptoir di cui vi parleremo), ma anche per ritagliarsi un po’ di tempo per sé, in solitudine. Perché i bistrot sono soprattutto questo: luoghi dove in un’era sempre più online, si privilegia il contatto con le persone, luoghi dove in un mondo che va sempre più veloce ci si può ancora fermare. Anche perché i bistrot sono sempre aperti dalla mattina più o meno presto alla sera più o meno o tardi, senza interruzione, dove si può mangiare (e ovviamente bere) a qualsiasi ora. 

    E a proposito di cibo, attenzione: non sono bistrot quelli che rivendicano palesemente un’origine geografica chiara e netta, come ristoranti asiatici, creperie bretoni o pizzerie italiane. I bistrot sono i templi della cucina francese tradizionale, il simbolo di un modo di vivere alla francese. Ma sono soprattutto spazi dove ogni giorno va in scena il “quotidiano teatro della vita”, una naturale animazione del quartiere, dove la vitalità dipende da quelli che lo frequentano e ci lavorano, ma allo stesso tempo anche il contrario è ugualmente vero. Perché i bistrot diventano “casa” per molti, anche se in realtà sarebbe più corretto parlare di “spazi transitori”, di passaggio: perché non si è più a casa, ma non si è nemmeno totalmente altrove. Possiamo concludere dunque che sono spazi rituali, dove si ripetono sempre le stesse cose ma in modo diverso, e dove al fulcro di questo rito c’è proprio il comptoir, ovvero il bancone. 

    Al comptoir: 10 cose da sapere 

    I veri intenditori e habitué dei bistrot li riconosci subito: sono quelli che, entrando in un bistrot, vanno dritti al comptoir, dove si accomodano e si ritagliano il loro spazio. Sedersi al tavolo significa già marcare una distanza, scegliere e dichiarare che si vuole un tipo di esperienza diversa, cioè uno spazio privato. Infatti, nonostante i tavolini dei bistrot francesi siano tutti notoriamente vicini, è difficile che scatti una conversazione come invece accade al bancone. Il luogo del comptoir, invece, è dove avviene tutto: è il comptoir a fare il bistrot. E in passato molto di più, perché erano sempre gremiti di gente. Oggi un po’ meno, ma comunque resistono: ed è per questo che abbiamo deciso di raccogliere dieci cose da sapere sul comptoir.  

    Foto di Carlo Manzo

    1. Il materiale e le zinc, attenzione a non fare confusione 

    Storicamente i comptoir dei bistrot di Parigi venivano fatti in étain, cioè in peltro, un materiale molto diffuso negli anni Trenta, che ha marcato l’immagine dei locali parigini per eccellenza. L’étain veniva utilizzato per vari motivi: in primis per la sua malleabilità, è infatti un materiale che si lavora molto bene e che permette di dare tutte le forme desiderate con una varietà di bordi multipli e di decorazioni, ogni volta diverse, come ad esempio nell’epoca dei bistrot à vin si usava farlo con i grappoli d’uva. In secondo luogo per il suo bel colore argentato e per la sua patina su cui restano le tracce delle demi biere e dei bicchieri di vino consumati negli anni. E infine per la sua facilità di manutenzione nel tempo, che rende i comptoir adatti all’uso professionale. 

    In seguito, con la Seconda Guerra Mondiale, molti di questi banconi in peltro furono requisiti dai nazisti durante l’occupazione per le loro munizioni (ai tempi contenevano anche piombo, poi vietato) ed è in questo periodo che si inizia a diffondere la parola zinc, confusa con zinn che in tedesco significa étain. Quando negli anni Sessanta e Settanta si ritorna a costruire banconi per i bistrot, siamo nell’epoca della formica, quindi molti comptoir vengono realizzati con questo materiale, come quello di Au Petit Bar. Ma la parola zinc ha ormai segnato la storia dei comptoir, e dei bistrot in generale, per cui si continua ad utilizzarla per indicare il bancone, anche se questo viene fatto con altri materiali quali marmo, legno, granito, acciaio, vetro o appunto in formica. Dunque, dobbiamo ringraziare tutti quei bistrot a Parigi così come nel resto della Francia che ancora oggi continuano a realizzare il loro comptoir in peltro, mantenendo così vivo questo antico mestiere tradizionale, portato avanti ormai da pochi, ma indissolubilmente legato alla storia. 

    2. Posizione, forma e grandezza

    Appena si entra in un bistrot, ci sono degli elementi che permettono subito di farsi un’idea del locale in cui ci si trova e del tipo di esperienza che lì si potrebbe vivere, ovvero la posizione, la grandezza e la forma del comptoir. Perché il comptoir è il fulcro del bistrot, è il centro di uno spazio pensato, progettato, studiato. Ad esempio, se è troppo piccolo o senza agio intorno, non permetterà a più persone di poter stare al bancone insieme; o ancora, se si trova abbandonato in fondo al locale, si avrà più la sensazione di essere di fronte a un tribunale che a un luogo da condividere con altri. C’è un bistrot nel quartiere Marais di Parigi che si chiama Le Petit Fer a Cheval, nome che deriva dal suo bancone a forma di ferro di cavallo, che consente ai vari clienti che si siedono di stare l’uno di fronte all’altro, di guardarsi, con al centro chi vi serve da bere. Ma ricordatevi, c’è una regola fondamentale: al bancone bisogna sempre lasciare sempre spazio a chi potrebbe arrivare dopo di voi, a chi deve poter continuare a parlare con il personale e accedere al bancone. Il tutto senza mai lamentarvi che siete stretti: al comptoir si sta stretti, si viene per quello. E poi oggi siete fortunati, perché purtroppo i comptoir non sono più pieni affollati e accalcati di persone come un tempo. 

    3. Cosa si beve?

    Al comptoir, ma questo in generale in un bistrot, non si va per bere champagne o kir, l’aperitivo con crema di Cassis e vino bianco tipico della Borgogna. Anzi, farlo demarca già una linea netta tra un habitué e un turista, ovvero chi non sa “che cosa si beve” in un bistrot. Dunque che cosa si beve al comptoir? Di certo il caffè espresso, chiamato anche le petit noir, per molti un vero e proprio rito prima di andare al lavoro, che sia al bistrot vicino casa o prossimo al luogo di lavoro. Questo può essere serré, cioè ristretto, o allongé, più lungo, a volte con un croissant in accompagnamento di quelli posti nel cestino sul bancone. “Anni fa, succedeva una cosa che ora non accade più così spesso: al mattino presto, già verso le 8, gruppi di operai venivano al bancone a prendere un caffè con un petit calva, cioè con un bicchierino di Calvados in accompagnamento. Oggi avviene raramente, anche se ogni tanto capita ancora”, ci racconta un nostalgico a un bistrot. Altro rituale per molti è une demi alla fine della giornata di lavoro, che sarebbe una birra piccola da 25 cl o une pinte da 50 cl; in alternativa un bicchiere di vino, che sia bianco, rosso o rosé. D’estate, invece, si aggiunge tra le scelte il pastis, anche a partire dal mattino presto, ma attenzione: rigorosamente come aperitivo e non come digestivo. 

    4. La differenza di prezzo

    Foto di Giulia Ubaldi

    Al comptoir costa sempre tutto molto meno, tant’è che anche per questo motivo alcuni bistrot hanno deciso di rimuovere il bancone. Non al bistrot Le Lutétia di cui vi avevamo parlato a proposito delle tappe imperdibili da fare sull’Île Saint-Louis dove il proprietario Francis ci dice: “non potrei mai lavorare in un locale dove non c’è il comptoir”. Qui, ad esempio, un caffè espresso costa 1.20 euro al bancone e 2.90 euro seduti, quindi più della metà, come la birra 2.50 euro al comptoir e 5.10 al tavolo; un calice di vino, invece, 3.70 in piedi e 4.70 seduti. Sempre Francis ci spiega che è così solo a Parigi, che nel resto della Francia è diverso e non c’è una differenza di prezzo così grande: “questo perché qui a essere molto caro è il diritto alla ‘terrazza’, cioè la tassa che pagano i bistrot per avere i famosi tavolini in terrasse, all’aperto”. In ogni caso, che sia in piedi o seduti, non si va mai direttamente in cassa a pagare come in molti altri paesi, ma il conto arriva sempre direttamente, anche se non è mai gradito sentirsi reclamare subito il pagamento. Ma il prezzo più basso è solo uno dei motivi per cui si sceglie il bancone, anche se è grazie a questo che il comptoir si configura come un luogo estremamente popolare e accessibile a tutti. 

    5. Una clientela diversificata senza classi sociali e frontiere economiche

    Foto di Giulia Ubaldi

    “Non potrei mai lavorare in un locale dove non c’è il comptoir anche perché è un luogo che azzera le differenze economiche e dove si ritrovano persone diverse, di differenti classi sociali”, continua Francis del bistrot Le Lutetia. “Puoi trovare dall’operaio alla persona più ricca, dallo scapolo alla coppia”. Forse in passato si poteva restringere il campo a una questione di genere, in quanto era frequentato più da uomini, ma oggi non è più così, ci sono ugualmente anche donne, sia da sole che in gruppo. E tra amici e habitué, les copins, non è obbligatorio darsi appuntamento: “ci si trova lì”. Inoltre, il comptoir non marca più nemmeno una linea netta tra habitué e turisti, poiché gli ultimi si accomodano al bancone tanto quanto i primi. “Spesso per chiedere consigli sulla zona, sul quartiere, magari su dove andare a mangiare” continua Francis. E infine al comptoir si siedono tanto le persone che vogliono un po’ di silenzio, così come quelle che vengono per fare conversazione. Come scrive l’antropologo Marc Augé a proposito dei bistrot parigini: “che sia inconscio, illusorio o superficiale il desiderio di relazione in questo contesto, ciò che spinge a entrare in un bistrot e a restare al bancone, non solo chi è solo ma anche chi è con amici, o con il proprio compagno o compagna, così come chi non soffre per forza di solitudine ma cerca solo un luogo per lavorare o riflettere… È che hanno tutti bisogno di una forma di presenza-assenza modulabile a seconda di chi c’è e si incontra, di sentirsi a casa loro ma anche altrove, accolti e ignorati”. Arduo compito che spetta a chi sta dietro il bancone. 

    6. L’importanza fondamentale di chi sta dietro al comptoir 

    Per tutti questi motivi, la persona che sta dietro al comptoir finisce per avere un ruolo ben più importante che semplicemente servire quanto richiesto. Innanzitutto sta a lui ricordarsi i volti noti e di casa, i loro nomi e che cos’hanno l’abitudine di prendere; in secondo luogo deve avere sempre un’intuizione sottile, da vero e proprio psicologo, nel capire qual è l’esigenza di ogni singolo cliente, se la persona che ha davanti al bancone ha più voglia di essere lasciato in pace o di chiacchierare (problema che ad esempio non si pone affatto se uno si siede al tavolo). “Lo capisco subito se una persona che arriva ha voglia di parlare o di stare in silenzio… Perché ci sono giorni che nemmeno io ho voglia!”, ci racconta Priscillia del bistrot L’Escale. Ma ancor più difficile è cogliere entrambe le esigenze, trovando un equilibrio tra l’essere comunque caldo e accogliente, ma allo stesso tempo rispettoso dello spazio e della solitudine ricercata dal cliente. Chi si mette al comptoir, infatti, lo può fare per vari motivi: che sia per godere della sua intimità ostentata con il barista preferito, per aspettare qualcuno con cui parlare, o semplicemente per bere da solo. Per questo a far la differenza sono i bistrot che non cambiano troppo spesso e di continuo personale, in modo da dare i clienti quel senso ricercato di casa, continuità e, è il caso di dirlo, comfort zone. Lo stesso vale quando ci sono più persone al bancone, quando la convivialità diventa “troppa” e la difficoltà di chi gestisce sta nel limitare il tono di voce di alcuni, per tutelare comunque il resto dei clienti seduti al tavolo. Ma di che cosa si parla al bistrot? E se si sta in silenzio che cosa si fa? Si legge il giornale!

    Foto di Carlo Manzo

    7. Il giornale e la tv 

    I comptoir sono luoghi di attualità per elezione. Per questo su tutti i banconi trovate un giornale, che nel caso dei bistrot a Parigi sono sempre le Parisien o L’Équipe, per i più sportivi. In alcuni bistrot trovate anche altri quotidiani, come Le Monde, ma più per i turisti. Quest’usanza, però, è cambiata con la pandemia, quando sono stati vietati per ovvie ragioni. Oggi molti bistrot sono tornati ad averli sempre, ma non tutti. In ogni caso, non sono cambiate le regole: mai monopolizzare il giornale, leggetelo per un po’ ma poi pensate che è lì per essere condiviso e qualcun’altro potrebbe essere in attesa di volerlo leggere come voi. Al contrario, non spazientitevi se volete usufruirne ed è occupato, ma aspettate che si liberi: i bistrot sono luoghi dove non c’è fretta, dove si dà spazio e importanza al tempo. Anche la televisione è quasi sempre presente, perché al comptoir si è sempre aggiornati; di solito è posta in alto, ma la maggior parte delle volte è spenta o accesa senza auto per permettere più l’incontro e le chiacchiere tra le persone. “Ovviamente tranne quando ci sono partite importanti di calcio di o di rugby!”, aggiunge il barman Fabrice.

    8. Brèves de comptoir: di che cosa si parla quando si è al bancone? 

    Quando si sceglie il comptoir, è come se si desse agli altri il tacito consenso a una conversazione. Ma il comptoir spesso risponde all’esigenza di relazioni superficiali, di momenti leggeri, spensierati, evasivi… Una sorta di fuga da casa e dal lavoro, di spazio transitorio e di passaggio, come abbiamo già accennato. Le parole scambiate al bancone, infatti, sono spesso più importanti per il fatto di essere scambiate che per il loro contenuto. Per questo, al centro delle conversazioni ci sono temi come il meteo, lo sport o l’oroscopo giornaliero, e se si tocca la politica lo si fa spesso in un’atmosfera rilassata e apolitica, dove ognuno è libero di esprimersi. C’è un’espressione che indica proprio questo tipo di conversazioni, ovvero brèves de comptoir, che significa appunto “chiacchiere da bancone”, pervase sempre da una certa ironia e humor di fondo, da cui è stato anche tratto un film comico che vi consigliamo di guardare: Brèves de comptoir, realizzato nel 2014 dal regista francese Jean-Michel Ribes. Ma un altro degli argomenti più affrontati in assoluto è il cibo, perché vi ricordiamo che i francesi sono dei grandi goderecci a tavola! 

    9. Al comptoir si mangia? 

    Foto di Giulia Ubaldi

    Assolutamente sì! I veri habitué anche per mangiare non si siedono al tavolo, ma si accomodano al bancone dove consumano sia taglieri di formaggi o charcuterie, i salumi; sia i piatti del giorno, sempre consigliati, soprattutto a pranzo, come ad esempio quiche (torta salata) e insalata, o blanquette de veau (uno spezzatino di vitello in salsa bianca) o più semplicemente alcuni intramontabili sempre presenti come omelette e panini. In questo caso non si tratta di una questione di prezzo, poiché il costo rimane invariato (nei veri bistrot è comunque basso a pranzo), ma sempre di un modo per marcare la propria intimità con il locale e con il bistrotier. “In realtà”, continua sempre Fabrice, “questo cambia molto da quartiere a quartiere: le zone dove ci sono più uffici sono quelle dove chi lavora come businessman o imprenditori hanno l’abitudine di mangiare più velocemente al comptoir; diverso è nelle aree più turistiche, dove magari ci si può concedere una pausa pranzo più lunga anche al tavolo. Ma ovviamente non c’è una regola!” Quel che è certo è che in passato i comptoir avevano quasi tutti un distributore automatico di cacahouette, le noccioline simbolo dell’aperitivo francese, quello che ancora oggi troviamo in alcuni bistrot come, ancora una volta, Au Petit Bar… D’altronde ci sarà un motivo se ve ne abbiamo parlato per essere uno dei pochi posti rimasti dove si respira ancora l’atmosfera della vecchia Parigi! 

    10. A ognuno il suo comptoir, l’importanza del quartiere

    Forse adesso in conclusione a questo articolo vi aspettereste una lista di bistrot parigini dove trovare i migliori comptoir… E invece no, perché si tratta di una selezione impossibile da fare. Di certo ce ne sono alcuni che si differenziano per bellezza e storia, ma “il miglior comptoir” è sempre diverso per ogni persona: è quello dove vi sentite a casa e accolti ogni volta, dove vi chiamano per nome, dove sanno già che cosa prendete, chi siete e che cosa cercate. Insomma, quello che ogni abitante di Parigi ha stretto e caro nel suo quartiere. 

    E a voi è mai capitato di vivere un’esperienza al comptoir?


    Immagine in evidenza di: Carlo Manzo

    Antropologa del cibo, è nata a Milano, dove vive e scrive per varie testate, tra cui La Cucina Italiana, Scatti di Gusto, Vanity Fair e le Guide Espresso. Il suo piatto preferito sono gli spaghetti alle vongole, perché per lei sono diventati un'idea platonica: "qualsiasi loro manifestazione nella realtà sarà sempre una pallida copia di quella nell'iperuranio". Nella sua cucina non mancano mai pistilli di zafferano, che prima coltivava!"

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