Coltivazione del tè: come viene prodotta la bevanda più consumata al mondo?

Matteo Garuti
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    Sono poche le produzioni alimentari che possono vantare una storia antica quanto quella della coltivazione del tè, consumato e diffuso già nel millennio precedente alla nascita di Cristo. Oggi, pur essendo in gran parte industrializzato, il sistema conserva tratti coloniali e latifondistici, con serie criticità specialmente riguardo alle condizioni di lavoro. Ma come viene coltivata questa pianta? Quali sono le fasi di lavorazione e le dinamiche del mercato? Dopo aver analizzato le caratteristiche degli infusi a base di essenze officinali, questa volta ci occuperemo della produzione del tè e dei passaggi che lo portano dai campi alle tazzine.

    Il tè nel mondo

    Nel mondo, solo l’acqua è più bevuta dell’infuso ricavato dalle foglie della Camelia sinensis, la cui coltura organizzata inizia nell’antica Cina intorno al 400 d.c, mentre in Giappone la pianta viene esportata circa quattro secoli dopo. Grazie ai commerci portoghesi e olandesi, nella seconda metà del Cinquecento il tè giunge in Europa, inizialmente in veste di essenza medicale, riservata ai più ricchi. La grande popolarità in Inghilterra, invece, comincia sul finire del Seicento, in seguito al matrimonio di Carlo II con la portoghese Caterina di Braganza, che porta oltremanica questa bevanda e ne apre il consumo anche alle donne, ovviamente dei ceti più alti.

    Il nome inglese “tea deriverebbe dal cinese “tay” o “tee”, usato a Xiamen, città portuale cinese dalla quale partivano le navi commerciali britanniche cariche di questo nuovo prodotto, destinato ad acquisire grande valore sui mercati di tutto il mondo.

    Consumi e prezzi

    Oggi i quattro quinti della produzione mondiale del tè – complessivamente vicina ai 6 milioni di tonnellate – vengono realizzati in Cina, India, Sri Lanka, Kenya e Turchia, ma volumi significativi provengono anche da Indonesia, Giappone, Tanzania, Camerun, Vietnam e Argentina. I primi tre Paesi produttori ne consumano grandi quantitativi, con la Cina ad assorbire circa 1,5 milioni di tonnellate, in un trend di crescita. Rispetto allo stile di consumo occidentale, peraltro, nei Paesi di più antica tradizione il tè conserva un aspetto sociale e rituale.

    Nel Regno Unito il consumo si attesta intorno ai 2,2 chilogrammi annui pro capite, in calo rispetto all’epoca imperiale. Il dato è leggermente superiore in Turchia e si ferma a 1,3 chilogrammi in Russia, che risulta essere comunque la prima nazione importatrice al mondo, alla luce del numero di abitanti. I consumatori italiani, più avvezzi al caffè, sono invece molto lontani da queste quantità, con 0,07 chilogrammi pro capite, circa una tazza ogni dodici giorni.

    I prezzi risentono molto dei marchi, oltreché della varietà di tè e del tipo di confezionamento. Il prodotto in bustina costa indicativamente 15 centesimi di euro al pezzo (2 grammi), mentre lo sfuso – economicamente più vantaggioso – può variare da 20 fino a oltre 100 euro al chilo, per le qualità più rare e pregiate. Com’è facile intuire, i prezzi alla fonte sono notevolmente più bassi rispetto ai negozi specializzati. Il tè, infatti, è una merce che subisce molto il rincaro causato dai passaggi intermedi, prima di arrivare al cliente finale.

    La coltivazione del tè

    diffusione tè

    Hien Phung Thu/shutterstock.com

    La diffusione del tè si deve agli inglesi, che negli anni Trenta dell’Ottocento esportano la coltivazione – fino ad allora praticata estesamente solo in Cina e Giappone – in India e nell’isola di Ceylon, l’odierno Sri Lanka. All’inizio del secolo successivo la produzione si espande ulteriormente e si avvia il sistema delle grandi piantagioni, che ancora oggi dominano il mercato, anche se i piccoli produttori, non di rado riuniti in consorzi o cooperative, sono una realtà rilevante.

    La pianta del tè

    La Camelia sinensis è un arbusto legnoso sempreverde, che genera piccoli fiori bianchi e foglie di forma affusolata, lunghe 2-8 centimetri. Il clima ideale per la coltivazione è quello subtropicale, con temperature dai 12 ai 32 gradi centigradi, piogge regolari e umidità elevata, mentre i terreni dovrebbero essere drenati e possibilmente ad altitudini comprese fra i 500 e i 2000 metri. Il ciclo produttivo della pianta inizia tra il terzo e il quinto anno di vita e può superare i quarant’anni, ma il massimo rendimento si ottiene tra l’ottavo e il nono anno.

    Esistono 81 specie di Camellia sinensis, ma solo tre hanno valore commerciale:

    1. la varietà cinese (Camellia sinensis sinensis), coltivata in Cina, Tibet, Giappone, Russia, Iran e Turchia, più resistente al freddo e dalle foglie piccole;
    2. la varietà assamica (Camellia sinensis assamica) tipica dell’India (regione di Assam) con foglie più larghe e adatta al clima caldo;
    3. la varietà cambogiana (Camellia sinensis cambodiensis).

    Anche in Italia, su piccola scala, si è provato a coltivare il tè. I tentativi che hanno dato i risultati migliori sono stati sperimentati lungo le rive del Lago Maggiore e, più recentemente, nella provincia di Lucca. La pianta, inoltre, viene destinata al giardinaggio ornamentale, sia in vaso che in terra.

    Le fasi della produzione

    fasi coltivazione tè

    My Good Images/shutterstock.com

    La coltivazione del tè prevede diverse fasi, eccole presentate in sintesi.

    1. Piantumazione. Le piante sono generalmente prodotte in vivaio e in seguito messe a dimora, con una densità di circa 10.000 unità per ettaro, distanziate di circa un metro, con protezioni per ripararle dal vento. In base alla varietà coltivata e alle condizioni climatiche, possono essere installate anche coperture contro il sole diretto. Allo scopo di migliorare la produttività dei terreni, è largamente diffusa la concimazione con fertilizzanti chimici, a base di azoto e potassio.
    2. Raccolta. Nelle zone più miti questo operazione avviene durante tutto l’anno, ma all’aumentare dell’altitudine la frequenza scende a 3-4 volte l’anno. La crescita lenta e la minor quantità di germogli della pianta favorisce la ricchezza aromatica, mentre i tempi e le modalità di raccolta possono cambiare in base alle specie, all’altezza delle piante e alla qualità delle foglie. In linea di massima, quelle giovani e tenere hanno un pregio superiore e quantitativi inferiori, ma anche la posizione e la forma determinano il valore. Il raccolto più abbondante si ottiene in estate-autunno, ma la qualità migliore si ha in primavera. Come per la vendemmia dell’uva, i momenti indicati per questa operazione sono le ore più fresche, prima dell’alba e dopo il tramonto. Questa fase dura circa due settimane ed è effettuata a mano, soprattutto da donne, che mediamente prelevano 25-30 chilogrammi di foglie al giorno. La meccanizzazione si sta diffondendo, ma ancora non garantisce lo stesso livello di accuratezza. Molto importante è anche la potatura, per mantenere la giusta forma e degli arbusti e un’altezza di circa un metro, che favorisce il prelievo e la corretta ricrescita di gemme e foglie.
    3. Trasformazione. Per non disperdere troppo gli aromi, il raccolto viene trasportato rapidamente e lavorato in stabilimenti vicini alle piantagioni. Il trattamento delle foglie, infatti, deve essere effettuato nello stesso giorno in cui vengono raccolte. Il procedimento cambia in base alla tipologia di prodotto che si vuole ottenere, e per il tè nero, più popolare e consumato rispetto al tè verde, la trasformazione prevede l’essiccamento (naturale o artificiale), per dimezzare il valore dell’umidità, al quale segue l’avvizzimento per 16-24 ore, la rullatura e l’arrotolamento (tradizionale o meccanizzato), per far uscire oli e succhi di vegetazione e conferire la forma desiderata, la fermentazione, per altre 2-3 ore a una temperatura compresa fra 20 e 40 gradi centigradi con il 90-95% di umidità. Dopo queste operazioni, le foglie assumono un colore ramato, grazie alla reazione tra gli enzimi della pianta e l’ossigeno. L’ultimo delicato passaggio è l’essiccamento finale a 90 gradi centigradi per 20-30 minuti, per bloccare la fermentazione e portare all’1-5% l’umidità delle foglie, che diventano nere e secche come comunemente le conosciamo.
    4. Selezione e confezionamento. Quest’ultima fase, specialmente negli stabilimenti più industrializzati, viene effettuata da macchinari, che separano le foglie in base alla forma e alle dimensioni (intere, spezzate, piccoli frammenti e polvere). Il prodotto viene quindi confezionato in sacchi e selezionato dagli assaggiatori per i vari marchi, un passaggio non previsto per i produttori che vendono direttamente al pubblico. A seconda delle tipologie che si vorranno ottenere, le varietà di tè potranno essere miscelate o commercializzate in purezza, come abbiamo visto nel nostro approfondimento sulle bibite fatte in casa.

    Per ogni ogni chilogrammo di foglie fresche, indicativamente, si ottengono 250 grammi di tè secco, mentre le rese per ettaro, molto variabili, cambiano in base alle condizioni climatiche e alle proprietà del terreno, con minimi di 4 tonnellate annue e picchi massimi di 15.

    Lavoro, mercato e commercializzazione

    raccolta tè

    Hari Mahidhar/shutterstock.com

    Essendo un prodotto deperibile, non conservabile nei magazzini per più di un anno, le riserve di tè sono ridotte, aspetto che rende i prezzi alla produzione molto variabili. Per più di tre secoli, fino al 1998, il mercato si è basato su valori costituiti in un sistema di vendita all’asta di Londra. Oggi non esiste un mercato unico di riferimento, i prezzi sono stabiliti da vendite all’asta organizzate nei Paesi di origine, e più di tre quarti della produzione mondiale del tè viene commercializzata in questo modo. In sostanza, il sistema è cambiato poco rispetto all’epoca coloniale. Il mercato è controllato da poche multinazionali: la produzione si realizza nelle nazioni sopra citate – in genere povere o in via di sviluppo – mentre l’elaborazione delle miscele, il marketing e la distribuzione avvengono nei Paesi occidentali. Il coinvolgimento di intermediari, rivenditori e fornitori, inoltre, contribuisce a far lievitare le tariffe, a discapito dei lavoratori e dei consumatori finali.

    Per correggere le storture e le ingiustizie di questa situazione, il commercio equo e solidale cerca di assicurare un prezzo giusto e stabile per le piccole aziende, coordinandosi con gli enti certificatori della produzione, delle condizioni di lavoro e dell’agricoltura biologica. Pur essendo minoritari in termini di volumi di vendita, i prodotti Fair Trade sono già diffusi e stanno acquisendo mercato nel mondo occidentale. Non a caso, la crescente sensibilità dei consumatori per i temi sociali e ambientali è riuscita a spingere le multinazionali a migliorare logiche produttive che, come stiamo per vedere, non possono essere accettate.

    Condizioni lavorative e sfruttamento

    piantagioni tè

    Nicram Sabod/shutterstock.com

    Le principali criticità della coltivazione del tè sono legate alle condizioni dei lavoratori – in gran parte si tratta di lavoratrici – specialmente nelle grandi piantagioni gestite dalle compagnie multinazionali. Questa coltura, oltre a richiedere parecchia manodopera, comporta infatti uno sforzo fisico notevole, protratto per molte ore, e nei Paesi produttori, perdipiù, le tutele per il personale non sono paragonabili a quelle europee.

    In India, secondo produttore al mondo, circa 3,5 milioni di persone sono impiegate nella coltivazione del tè in condizioni di grave sfruttamento. Questo lavoro si tramanda di generazione in generazione ed è affidato alle donne dalit, il gruppo fuoricasta detto degli “intoccabili”, il più povero e vessato della gerarchia sociale indiana. Il guadagno ammonta a poco più di due dollari al giorno per dodici ore di lavoro, e le raccoglitrici vivono isolate in agglomerati di baracche senza servizi igienici, all’interno delle piantagioni, dipendendo completamente dalle imprese, che gestiscono vitto, alloggio, educazione e sanità. Questi servizi, di pessima qualità, vengono persi immediatamente in caso di chiusura delle aziende o cessazione della continuità familiare del lavoro.

    Come se non bastasse, i sindacati spesso sono corrotti e complici del sistema. Per ribellarsi a questa situazione, nel 2015 le donne del Kerala hanno organizzato un grande sciopero, portando alla luce le terribili condizioni di vita nelle piantagioni, affiancate dalla ong Dooars Jagron.

    Fortunatamente, non tutti i produttori impongono queste condizioni, infatti le piccole aziende e i consorzi – ancor meglio se di tipo equo e solidale, come sottolineato precedentemente – possono essere una garanzia di migliori situazioni di vita e lavoro. Resta ai consumatori, quindi, la scelta di preferire il tè prodotto da queste realtà.

     

    Conoscevate le dinamiche legate alla coltivazione del tè?

     

    Fonti:

    Rivista di Agraria
    Twining’s
    Dethlefsen & Balk
    Vahdam
    Dooars Jagron

    Matteo è nato a Bologna e vive a San Giorgio di Piano (Bo), è giornalista, sommelier e assaggiatore di olio d'oliva, ha collaborato con il Dipartimento di Scienze e Tecnologie agro-alimentari dell'Università di Bologna. Per Il Giornale del Cibo si occupa di attualità, salute, cultura e politica alimentare. Apprezza i cibi e le bevande dai gusti autentici, decisi e di carattere. A tavola ama la tradizione ma gli piace anche sperimentare: per lui in cucina non può mancare la creatività, "perché è impossibile farne a meno!"

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