App contro il caporalato, quando la tecnologia diventa un alleato
La lotta contro il caporalato trova nella tecnologia un nuovo alleato per promuovere modalità di lavoro legali e rispettose dei diritti dei braccianti. Verrà avviata nel 2020, infatti, la sperimentazione di una applicazione per smartphone, su iniziativa dei ministeri dell’Agricoltura, del Lavoro e dell’Interno. L’app contro il caporalato è soltanto l’ultimo degli strumenti che enti, associazioni e realtà del mondo dell’agricoltura hanno adottato per contribuire alla riduzione di un fenomeno che continua a coinvolgere migliaia di persone di origine italiana e straniera. L’obiettivo? Facilitare l’incontro tra i braccianti e le aziende, promuovendo la legalità e la sostenibilità del lavoro agricolo.
Gli strumenti contro il caporalato
A partire dall’approvazione della Legge n. 199 del 2016 contro il caporalato, sono molti gli strumenti di cui le realtà presenti nei vari territori italiani si sono dotate per un’opposizione sempre più determinata – e determinante – contro il fenomeno. Si è assistito, progressivamente, a un aumento delle azioni messe in atto dagli enti locali, come ad esempio quella congiunta delle regioni del Sud contro il caporalato, per realizzare insieme programmi di garanzia delle tutele dei lavoratori agricoli. La Regione Lazio, invece, ha promosso nel 2019 una norma regionale che rafforza le iniziative di contrasto allo sfruttamento in agricoltura attraverso un riconoscimento del ruolo svolto dal terzo settore, proprio a supporto dei braccianti.
Iniziative sui territori
Interessante anche l’iniziativa del Centro per l’Impiego di Foggia – uno dei territori dove il caporalato è più pervasivo – che ha istituito sempre nell’estate del 2019, CaporAlt!, uno sportello informativo per braccianti e lavoratori stagionali. In questo caso, l’obiettivo è facilitare l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro valorizzando i canali legali che permettono un rispetto dei diritti dei lavoratori, tra cui una busta paga coerente con quanto prevede il contratto nazionale di categoria.
Arresti, denunce e processi
Tra gli strumenti contro il caporalato, è cresciuto in questi anni anche il peso delle forze dell’ordine. Secondo i dati del Rapporto Agromafie 2018, infatti, nei primi sei mesi dell’anno analizzato sono state denunciate 561 persone con l’accusa di sfruttamento della condizione di illegalità dello straniero, impiego di lavoratori privi di permesso di soggiorno, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
La prima filiera etica
Ecco una mobilitazione che ha portato anche all’avvio di una prima filiera etica contro il caporalato in agricoltura, su iniziativa dell’associazione No Cap, fondata da Yvan Sagnet, sindacalista, scrittore e tra i promotori del primo grande sciopero dei braccianti nelle campagne pugliesi nel 2011. Il progetto permette di contrattualizzare in maniera corretta oltre 100 lavoratori tolti dai ghetti, a cui è stato offerto non soltanto un lavoro, ma anche uno spazio dove poter vivere in condizioni dignitose. I prodotti distribuiti a marchio “IAMME” sono già disponibili nei supermercati gestiti dal gruppo Megamark.
App contro il caporalato: nuovi strumenti di contrasto
Come dicevamo, in futuro la tecnologia sarà sempre più un “alleato” nella lotta al caporalato. Nel 2020, infatti, si aggiungerà un nuovo innovativo strumento: si tratta di una app per smartphone, che si pone l’obiettivo di facilitare i contatti tra i braccianti stagionali e le aziende che cercano lavoro legittimamente. Il progetto, promosso dai ministeri dell’Agricoltura, del Lavoro e dell’Interno, dovrebbe partire in via sperimentale durante la raccolta dei pomodori in Puglia, quindi a partire dai mesi estivi.
La novità è stata anticipata da Giovanni De Angelis, direttore generale di Anicav, l’Associazione degli Industriali Conserve Alimentari Vegetali che ha commentato così lo sviluppo dell’app: “Come aziende, da anni abbiamo un codice etico. Esistono le leggi per combattere duramente il caporalato, ma vogliamo fare di più. Oltre all’app per incrociare domanda e offerta legata alla lavorazione nei campi, con la tracciabilità di chi lavora e di chi assume, vogliamo arrivare a una certificazione volontaria che sia di garanzia del prodotto, che metta in evidenza l’eticità del ciclo produttivo e pure l’utilizzo di fitofarmaci.”
“Fair labor”, un esempio di sperimentazione nel Lazio
Il programma che diventerà operativo da quest’anno riprende una sperimentazione avviata nel Lazio nel 2019. A partire dal mese di luglio è stata attivata “Fair Labor”, sviluppata dalla Regione Lazio in collaborazione con LAZIOCrea e i centri per l’impiego territoriali: attraverso l’app, infatti, è possibile iscriversi alle liste di prenotazione da cui le aziende possono attingere per le mansioni temporanee. Il primo contatto tra lavoratore e datore di lavoro avviene, dunque, tramite un’applicazione e, in seguito, attraverso i Cpi che garantiscono la stipula di un contratto di lavoro, ma anche la fornitura di servizi fondamentali, tra cui il trasporto pubblico e sicuro verso e da i campi.
La digitalizzazione dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro parte dalla consapevolezza che molti caporali utilizzano strumenti online, come WhatsApp, per reclutare i braccianti che, quindi, hanno una certa dimestichezza con il mezzo. In questa maniera, quindi, sarà più facile tenere traccia dei contatti ed evitare il proliferare di lavoro nero e grigio.
Lotta contro il caporalato, la strada è ancora lunga
Le buone notizie che provengono da Puglia, Sicilia o Lazio non devono tuttavia far pensare che il fenomeno sia già debellato. Il giro d’affari di caporalato e agromafie è stato, nel 2018, di 24,5 miliardi di euro, in crescita rispetto all’anno precedente, secondo quanto rileva sempre il Rapporto Agromafie 2018. È ancora alto, d’altro canto, anche il costo in termini di salute e vite umane dello sfruttamento: un articolo pubblicato sul British Medical Journal denuncia come in sei anni siano state 1.500 le persone decedute a causa del caporalato. Orari di lavoro estesi ben oltre le otto ore giornaliere, l’assenza di giornate di pausa, la mancanza di infrastrutture adeguate e di tutele dei diritti basilari comportano, infatti, conseguenze tangibili sulla salute del braccianti: a confermarlo anche “La cattiva stagione”, rapporto di Medici per i Diritti Umani, ong che da anni ormai opera sui territori più colpiti, da Rosarno alla Capitanata, per offrire supporto sanitario e legale ai braccianti.
Il percorso per l’eliminazione di ogni forma di sfruttamento sul lavoro è ancora molto lunga, ma gli strumenti di contrasto sono sempre di più. Li conoscevate?