filiera etica contro caporalato

Nasce la prima filiera etica contro il caporalato nell’agricoltura

Angela Caporale
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    “Un sogno che si avvera”: con queste parole Yvan Sagnet, attivista di origine camerunense e fondatore dell’associazione No Cap, commenta l’avvio della prima filiera etica contro il caporalato nel settore agricolo presentata ieri a Foggia, in Puglia. Per quest’anno, saranno circa 100 i braccianti letteralmente tolti dalle mani dei caporali, impiegati con regolare contratto di lavoro in circa 20 imprese agricole in provincia di Foggia, nel Metapontino in Basilicata e nel ragusano in Sicilia. “Abbiamo scelto tre aree fortemente infettate dal caporalato e dall’illegalità – ci spiega Yvan Sagnet – per dare avvio a questo progetto che si pone l’obiettivo di liberare tutte le oltre 400.000 persone che oggi, in Italia, sono incastrate nel sistema del caporalato. Un’utopia forse. Partiamo oggi con cento persone: è una piccola goccia, ma un grande passo avanti che mi auguro avrà un futuro”.

    filiera no caporalato

    Facebook.com/YvanSagnet

    La prima filiera etica contro il caporalato: i prodotti a marchio “IAMME”

    A guidare e promuovere la realizzazione della filiera etica è l’associazione No Cap, fondata appunto da Yvan Sagnet e impegnata da anni in vari territori del Mezzogiorno per promuovere la legalità nel settore dell’agricoltura. L’innovazione, per ora sperimentale, risiede nella capacità di integrare e promuovere la collaborazione tra tutti gli attori e gli enti che realizzano la filiera di un prodotto, dal campo fino agli scaffali dei supermercati. Il progetto è frutto dell’intesa tra il Gruppo Megamark di Trani, che si occupa di distribuzione, No Cap, che si batte per promuovere e valorizzare le aziende agricolo che rispettano la legalità, e Rete Perlaterra, un insieme di imprese che seguono pratiche agroecologiche di lavoro della terra.

    Nascono così i prodotti a marchio “IAMME”, disponibili presto nei supermercati gestiti dal gruppo ovvero A&O, Dok, Famila, Iperfamila e Sole365, soprattutto nelle Regioni del Sud Italia. La produzione realizzerà 12 referenze a partire dal re dell’agricoltura del mezzogiorno: il pomodoro, biologico. Saranno disponibili, dunque, passata, pelati, datterini, ciliegini e pomodori gialli in bottiglia e in latta, ma anche altra verdura e frutta di stagione dai carciofi ai peperoni fino all’uva. “Sicuramente la proposta crescerà – aggiunge il presidente di No Cap – sempre seguendo la stagionalità e proponendo prodotti di alta qualità”.

    presentazione no cap

    Facebook.com/YvanSagnet

    Rispetto dei diritti dei lavoratori

    I cento giovani braccianti selezionati sono pronti a lavorare. Vengono da Ghana, Senegal, Mali, Burkina Faso, Gambia e Costa d’Avorio e sono stati letteralmente tolti dai ghetti, dagli operatori di No Cap. Da oggi potranno trovare un impiego regolare nel settore agricolo, utilizzare gli strumenti in sicurezza, ottenere il giusto riconoscimento delle ore di lavoro, vivere in condizioni dignitose. Si tratta di persone che fino a poco tempo fa erano sfruttate e direttamente coinvolte nel fenomeno del caporalato e per cui oggi inizia una nuova fase di emancipazione e integrazione.

    Grazie alla collaborazione con l’associazione “Ghetto Out – Casa Sankara”, i braccianti vivono in alloggi dove luce, acqua, elettricità sono garantite, e potranno recarsi nei campi in sicurezza grazie a un bus navetta sostenuto anche dalla Regione Puglia. “L’errore – spiega Sagnet – è talvolta quello di mettere a disposizione delle foresterie, ma senza poi creare delle vere opportunità di lavoro creando nuovi ghetti. Noi, invece, abbiamo subito messo in contatto queste persone con le imprese disposte ad assumerle, a garantire loro i diritti base tra cui anche le visite mediche e un contratto di lavoro equo”. Parallelamente è stata affrontata anche la questione del trasporto: “l’anno scorso ci sono stati due terribili incidenti nel foggiano in cui hanno perso la vita 16 braccianti che stavano andando al lavoro. Viaggiavano sui furgon-killer dei caporali, spesso a pagamento e poco sicuri. Vogliamo dare l’esempio anche su questo aspetto e abbiamo voluto fortemente prenderci carico di una navetta che porti i braccianti da casa al lavoro e viceversa, rafforzando un circolo virtuoso”.

    Dare il “giusto prezzo”: l’accordo tra aziende e Megamark 

    Ciò è stato possibile anche grazie all’accordo e alla collaborazione di Megamark, una delle aziende che si occupano di distribuzione e commercializzazione di prodotti alimentari più diffusa nel Sud Italia. Questa è una novità poiché, come spiega Yvan Sagnet, oggi è la Grande Distribuzione Organizzata a dettare il prezzo del prodotto andando a “strozzare” gli agricoltori e facendo sì che a pagare le conseguenze del sottocosto siano i braccianti.

    “Sono rimasto colpito quando Luigi Conese di Megamark ha chiesto a noi e alle aziende della rete quale fosse l’effettivo costo di un pomodoro, di un’arancia, di un carciofo rispettando l’ambiente e i diritti dei lavoratori”. Il processo di definizione e determinazione del prezzo è stato, dunque, inclusivo, partecipato e dal basso: “non hanno voluto imporre nulla, insieme abbiamo individuato un prezzo giusto, riferito a Megamark, che ha accettato sia la proposta in sé che il metodo seguito”.

    iamme no cap

    Facebook.com/YvanSagnet

    L’obiettivo concreto è produrre cibo di qualità sia dal punto di vista del gusto che del lavoro, mentre la finalità è strappare alle mani dell’illegalità tutte le persone che oggi sono sfruttate. “Può sembrare utopico – conclude Sagnet – ma penso che questo approccio alla filiera fondato sulla trasparenza e sulla legalità possa diffondersi anche in altre regioni italiane. E sono convinto che per sconfiggere definitivamente il caporalato in agricoltura sia necessario costruire filiere controllate dal campo allo scaffale, proprio ciò che abbiamo  fatto, intervenendo in profondità e partendo dalla base, dai ghetti, per risalire tutta la catena e arrivare dal consumatore”.

     

    Proprio il ruolo di quest’ultimo, in conclusione, può fare concretamente la differenza perché, nella visione di Sagnet, il cambiamento deve essere innescato anche culturale. “L’operazione funzionerà se, e solo se, i consumatori prenderanno consapevolezza di quello che comprano e inizieranno a chiedersi da dove viene e come è stato prodotto ciò che mettono nel carrello. Altrimenti continueremo ad alimentare inconsapevolmente il sistema di sfruttamento e a sostenere un sistema distorto e illegale”.

    Angela, con passaporto friulano e cuore bolognese, vive a Udine e si occupa di giornalismo e comunicazione in ambito culturale e sociale. Ha pubblicato due libri e dal 2016 collabora con Il Giornale del Cibo, dove scrive di sostenibilità, sociale e food innovation. Il suo comfort food sono i tortelloni burro e salvia, per i quali ha imparato a fare la sfoglia, condividendoli ogni volta che ne sente il bisogno.

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