Vino cotto

Tutto quello che non sapete sul vino cotto marchigiano, tra storie, leggende e usi in cucina

Giulia Ubaldi
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    Se vi trovate in una casa in provincia di Ascoli Piceno, così come di Fermo o Macerata, è molto difficile che non vi offrano un bicchiere di vino cotto, soprattutto in campagna. Si tratta, infatti, di un prodotto che si fa da sempre, di una tradizione ancora molto viva, all’origine della quale c’è una forma di “fare necessità virtù”, cioè di compensare con la pratica dell’ebollizione le limitate capacità di conservazione del vino. Ma da tale bisogno ne è derivata una bevanda straordinaria, che racconta una viticoltura di altri tempi, proprio quella di cui vi parleremo oggi anche grazie all’incontro con una produttrice.

    Che cos’è il vino cotto (e la sapa)

    Il vino cotto è un una bevanda tipica della tradizione marchigiana, che rimanda a tempi lontani, quelli in cui nelle campagne del Piceno venivano raccolte anche le uve di fine vendemmia, quelle a bassa gradazione alcolica, per poi essere cotte. Il vino cotto, infatti, si ottiene facendo bollire lentamente del mosto di uve bianche e/o rosse pigiate in una caldaia di rame a fuoco diretto. In seguito, viene lasciato fermentare e riposare in botti di legno anche per anni. Ogni volta si conserva la madre, alla quale viene aggiunto il nuovo vino cotto. Il risultato finale è un vino di colore ambrato, tendente a sfumature nocciola, limpido e dal profumo fruttato, con un sapore perfettamente in equilibrio fra acidità e dolcezza.

    Vino cotto pentole di rame

    FrattiniLauraAziendaAgraria/facebook.com

    Ma sempre nelle Marche c’è anche altro prodotto molto simile, la sapa: il procedimento è lo stesso, solo che la cottura viene prolungata, anche per giornate intere. Diciamo che si tratta di una riduzione ulteriore, per cui il risultato non è una bevanda, ma un succo molto concentrato, con un rapporto che è di circa venti litri di sapa per cento di mosto.

    Pare che i Piceni ereditarono questa antica tecnica di produzione dai Greci che, partendo dalla cottura del mosto delle uve autoctone prodotte dalle alberate, effettuavano la riduzione a caldo del volume di un terzo del mosto iniziale. Si otteneva così un prodotto che, messo poi in botti di legno, subiva una lenta fermentazione e invecchiamento. Grazie a questo procedimento, il vino cotto e la sapa sono due prodotti che hanno dato origine a storie e leggende, con centinaia di componenti complesse, alcune anche molto importanti per la salute.

    Le proprietà magiche e benefiche del vino cotto, tra storie e leggende 

    Recenti studi hanno dimostrato come la caramellizzazione degli zuccheri e la reazione di Maillard (si intende una serie di fenomeni che accadono a seguito dell’interazione di zuccheri e proteine durante la cottura) conferiscono al vino cotto un potere antiossidante superiore a quelle del vino bianco, che permette di catturare i radicali liberi e combattere l’invecchiamento cellulare. Per anni, infatti, il vino cotto è stato il ricostituente naturale delle cure dei vecchi medici marchigiani: caldo e aromatizzato con chiodi di garofano era un ottimo rimedio per il raffreddore, mentre con il rosmarino per i dolori reumatici. In generale, è sempre stato considerato una preziosa fonte calorica, soprattutto in vista dei tempi più difficili, quando l’alimentazione era povera.

    Ma il vino cotto accompagna – ed è presente – anche nei momenti più importanti come la vita e la morte: quando nasceva un bimbo, si usava riempirsi la bocca di vino per riscaldarlo e cospargerlo sul neonato, in modo da dargli forza; sempre lo stesso giorno si riempiva un barile di vino cotto per poi aprirlo nel giorno del suo matrimonio. Allo stesso modo, dopo il decesso, il corpo del defunto veniva lavato con il vino cotto. Il tutto nella credenza che questa bevanda avesse il potere di tenere lontani gli spiriti maligni, le fatture, i malocchi, cacciando via qualsiasi sortilegio. Ma non solo per gli umani: questa bevanda serviva anche come rinforzante per gli animali più deboli o stanchi, così come disinfettante nella preparazione degli insaccati.

    Per tutti questi motivi, non sono pochi i personaggi che nel corso della storia hanno osannato il vino cotto: Plauto, ad esempio, lo riteneva la più ricercata delle bevande, consigliandolo in ogni banchetto ad Annibale, che durante la guerra punica contro i Romani rifocillò i propri uomini e i cavalli proprio con del vino cotto. Ma senza andare troppo indietro nel tempo, anche Mario Soldati quando passò per il Piceno rimase colpito da questo prodotto, tant’è che lo citò in un testo del 1971: “come vino da dessert lo trovo ottimo, di un bel colore rosso mattone e riflessi di oro cupo, il sapore strano affumicato e ruvido nella sua moderata dolcezza, corregge ed evita quella dolcezza vischiosa e a volte nauseabonda di tanti passiti o marsalati. C’è qualcosa di affascinante, di profondo rustico e montano in questo vino cotto di 60 anni…”.

    Dove trovare un buon vino cotto: la storia di Laura “la milanese”

    Vigneti Azienda Frattini Laura

    Foto di Frattini Laura – Azienda Agraria

    Se avete la fortuna di conoscere un piceno, state certi che prima o poi vi regalerà con orgoglio una bottiglia di vino cotto. In alternativa, ci sono varie aziende in zona che hanno ripreso questa antica tradizione e hanno iniziato a commerciare vino cotto. Tra queste c’è l’Azienda di Simone Forti, di Massimo Germani di Lapedona (in provincia di Fermo) o di Laura Frattini, originaria di Milano, di cui vi parleremo oggi perché ha una bellissima storia.

    Laura nasce e cresce a Milano, “convinta che le olive fossero quelle Saclà!”. Insomma, del mondo dell’agricoltura non sapeva poco, ma proprio niente! Finché un giorno suo papà, originario di Novafeltria, nelle alte Marche del Montefeltro, da tempo cercava un pezzo di terra nella sua regione d’origine; ed è così che per puro caso lo trova proprio a Ripatransone, un piccolo paese del Piceno, dove decide di prendervi casa. “Mi ricordo ancora il giorno in cui mio padre mi disse di prendere il treno, scendere a San Benedetto del Tronto e percorrere quella strada verso l’interno; ho guardato l’atlante per vedere dove caspita fosse e, da buona milanese, mi sembrava un paesino sperduto, troppo a sud e troppo lontano!” scherza e continua Laura. “Poi, invece, appena scesa dal treno mi sono innamorata subito”. E come non ci si fa a innamorare di Ripatransone? Così, da quando ha 25 anni Laura si è trasferita lì con la sua famiglia, non senza alcune difficoltà iniziali. Come anticipato, non sapeva praticamente nulla di agricoltura: “non era il mio mondo, ma lentamente lo è diventato, eccome se lo è diventato! Mi è entrato dentro grazie a vari corsi di anni, tra cui di potatura, ai mille libri, agli studi continui, e soprattutto alle visite dai vicini di casa”. È proprio andando a casa delle persone che Laura scopre e conosce il vino cotto: “te lo offrono sempre come prima cosa, spesso anche al posto del caffè! Sono rimasta subito molto colpita da questo prodotto, soprattutto perché non ha bisogno di conservanti”.

    Il Centurione: il vino cotto di Laura Frattini

    Centurione Vino cotto

    Foto di Frattini Laura – Azienda Agraria

    Solo dopo anni di studio e approfondimento, nel 1992 Laura apre finalmente la sua azienda agricola, con una produzione di olio e vino, tra cui appunto quello cotto. È suo figlio a battezzarlo con il nome di Centurione, dopo un viaggio a Roma: “ricordiamo che tra gli antichi greci e romani il vino cotto non era un prodotto povero o di scarto, anzi; era quello bevuto dall’elite degli imperatori, ritenuto prezioso anche perché diventava sempre più buono con il passare del tempo, senza bisogno alcuno di spezie o conservanti”. Così, continua Laura, “il soldato romano, appunto il Centurione, è stato iconizzato nella simbologia stilizzata del brand di prodotto che emula la cresta degli elmetti tipici indossati dai membri esercito. I rispettivi nomi, associati ai 3 gusti del Centurione, indicano a loro volta tre gradi dell’esercito e di stato gerarchico”.

    Il vino cotto si può fare con qualsiasi vitigno, ma Laura ha preferito utilizzare quelli autoctoni. “Per molti è uno spreco utilizzare il pecorino, visto che poi il vino viene appunto cotto. In generale, è rimasta l’idea che sia un prodotto di scarto, cioè che si fa con le uve di fine vendemmia. Io invece ho fatto vari esperimenti e oggi uso un mix di Pecorino, Passerina, Sangiovese e Montepulciano, che raccolgo in tempi diversi al giusto grado di maturazione, che poi assemblo. Credo che sia questa attenzione al bilanciamento di vitigni diversi, e quindi del giusto livello di dolcezza, a fare la differenza”. Per il resto seguono l’antica ricetta della tradizione: “il frutto viene diraspato, subito dopo pigiato con l’utilizzo del torchio in legno a gabbia tradizionale, per poi essere successivamente portato alla temperatura di ebollizione nelle caldaie di rame, con una cottura a legna a fuoco diretto molto lenta. Durante la bollitura, viene eliminata la schiuma che man mano si forma e la ‘feccia’ che si separa dal mosto. Una volta terminata la fase di cottura, il mosto è trasferito nelle botti di legno di rovere, in cui avviene la fermentazione. Dopo l’invecchiamento, prima di imbottigliarlo, noi filtriamo il vino cotto per ottenere il giusto grado di limpidezza, mentre molte aziende non lo fanno” continua Laura. “Per questo abbiamo anche cercato di tutelarlo con un disciplinare e con un’Associazione dei produttori del vino cotto di cui ero la presidente, ma per ora è tutto in stand-by”.

    Oggi Laura è l’unica produttrice di vino cotto a Ripatransone e per tutti è ancora “la milanese”. Sarà per questi motivi che nel 2015 il loro Centurione è stato insignito della medaglia d’oro nella sezione vini da dessert al Concorso Internazionale per i vini bio ad Amburgo. Ma in realtà, ci spiega, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il vino cotto non si può considerare solo come un vino da dessert, cioè come qualcosa da bere a fine pasto, anzi. Vediamo perché.

    Il vino cotto e la sapa in cucina

    Carne con vino cotto

    stockphoto for you/shutterstock.com

    Il consumo classico del vino cotto è sì a fine a pasto, di solito con i cantucci. In alternativa, si può bere anche come aperitivo, meglio se diluito con acqua frizzante, in modo da risultare sia dissetante che efficace nel preparare il nostro stomaco al pasto.

    Ma il vino cotto, nel tempo, si è rivelato ottimo anche come ingrediente in cucina: ad esempio, per mantecare al posto del vino crudo sughi e risotti; o nella cottura di carne rossa, bianca, selvaggina e verdure, così come condimento per formaggi freschi o stagionati. Da tempo, Laura sta sperimentando gli abbinamenti migliori con un chef, Loris Coccia del ristorante Lu Cuccelò di Ripatransone. Dopo varie prove con il vino cotto sono giunti ad alcune certezze, come gli spaghetti conditi con sua riduzione, o la sua presenza nell’impasto delle tagliatelle; oppure con carne e pesce, come ad esempio nell’arrosto di vitella bagnato al vino cotto o nei gamberoni al flambé (di vino cotto). Ma il nostro protagonista si è rivelato perfetto anche nei dolci, come ingrediente di torte e biscotti, o su gelati, macedonie di frutta fresca o sciroppata, o ancora sulla loro ultima creazione: il cottomisù, cioè un tiramisù a base di vino cotto. Insomma, come vedete ce n’è davvero per tutti i gusti, a maggior ragione se il prodotto di partenza in questione è di buona qualità e, soprattutto, dolce al punto giusto.

    Lo stesso vale per la sapa: molto nota e diffusa è la pasta con la sapa, di solito nel formato dei vucculotti, simili alle mezze maniche, e con l’aggiunta delle noci tritate. Ma la sapa si conserva per anni ed è dolce come un caramello. Per questo si usa come base di moltissimi dolci, in particolare di frutta cotta; in alternativa, si aggiunge in poche dense gocce sulla polenta o, come il vino cotto, sul gelato. Un ulteriore condimento si ottiene si ottiene tagliando il mosto acidulo con la sapa: ne risulta una salsa agrodolce molto piacevole, scura e sciroppata, ottime sulle cipolle cotte sotto la cenere come vuole la tradizione, o sullo sformato di patate, o ancora sul petto d’anatra.

    Ma adesso vi lasciamo con queste due ricette dello chef Loris Coccia, elaborate in collaborazione con Laura… Buon appetito!

    Spaghetti “ubriacati” al Centurione

    Questa è una ricetta della tradizione marchigiana, in cui però la pasta è “ubriacata” con il vino cotto.

    Spaghetti con vino cotto

    Foto di Frattini Laura – Azienda Agraria

    Ingredienti per 2 persone

    • 250 g spaghetti di grano duro, trafilati al bronzo
    • 1 spicchio d’aglio
    • 1 peperoncino fresco
    • 0,20 cl di vino cotto Centurione
    • 70 g guanciale
    • q.b. di olio extravergine d’oliva
    • q.b. di sale

    Procedimento

    1. Preparate un trito di aglio e cipolla e lasciatelo soffriggere in una padella con olio d’oliva extravergine.
    2. Aggiungete il vino cotto al soffritto in padella e portate a ebollizione.
    3. Tagliate, nel contempo, il guanciale a listarelle lasciandolo sciogliere in un pentolino senza aggiungere olio. Appena croccanti, scolate le listarelle con un cucchiaio dal padellino e adagiatele su carta assorbente.
    4. In un bollitore a parte mettete a cuocere gli spaghetti.
    5. Quando la pasta è a metà cottura, mettetela in padella insieme al vino cotto e mantecatela, aggiungendo il peperoncino a piacimento. A questo punto, il nostro primo della tradizione, rivisitato con il vino cotto, è pronto per essere servito e gustato.

    Ricetta dei Gamberoni flambati al Centurione

    Per chi invece cerca un insolito abbinamento tra pesce e vino cotto, ecco un antipasto originale che fa per voi.

    Gamberoni flambè vino cotto

    Foto di Frattini Laura – Azienda Agraria

    Ingredienti per 2 persone

    • 4 gamberoni di mare
    • 1 aglio
    • 1 rametto di rosmarino
    • 1 spruzzo abbondante di vino cotto
    • 1 spruzzo di brandy
    • q.b. pomodori pachino (facoltativo)
    • q.b. di rosmarino (facoltativo)

    Procedimento

    1. Pulite e preparate i 4 gamberoni per la cottura.
    2. In una padella antiaderente, dopo averli lavati e puliti, fate soffriggere un battuto di aglio e rosmarino per qualche minuto. Aggiungete i gamberoni lasciandoli rosolare adeguatamente.
    3. A metà cottura sfumatele a più riprese con il vino cotto, lasciando mantecare a dovere sino a completa cottura.
    4. Infine, flambate con brandy e presentate su pietra lavica da portata. A piacimento, guarnite con pachino e una pioggia di rosmarino. A questo punto il nostro antipasto è pronto per essere servito e gustato in tutta il suo straordinario sapore.

     

    E voi avevate mai sentito mai parlare di questa prelibatezza?

    Antropologa del cibo, è nata a Milano, dove vive e scrive per varie testate, tra cui La Cucina Italiana, Scatti di Gusto, Vanity Fair e le Guide Espresso. Il suo piatto preferito sono gli spaghetti alle vongole, perché per lei sono diventati un'idea platonica: "qualsiasi loro manifestazione nella realtà sarà sempre una pallida copia di quella nell'iperuranio". Nella sua cucina non mancano mai pistilli di zafferano, che prima coltivava!"

    Una risposta a “Tutto quello che non sapete sul vino cotto marchigiano, tra storie, leggende e usi in cucina”

    1. chiara petrucci ha detto:

      brutto a raccontrsi, ma il vino cotto veniva fatto bere alle pecore prima di macellarle, mai capito se per dare sapore alla carne o -più probabilmente- per “rimpupirle” e renderle più gestibili…

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