Trattoria il latini

Adriana Angelieri

Conosco “Il Latini” fin da quando, studente, investivo i miei pochissimi risparmi nelle opere liriche del Maggio Musicale Fiorentino. Non nel biglietto, che riuscivo, non so ancora come, a procurarmi sempre gratis, ma nel viaggio in treno da Bologna e in una cena alla trattoria di Latini. Crostini con i fegatini e milza, ribollita, una fiorentina divisa in quattro compagni di passione lirica e povertà. Tutto su grandi tavole comuni fianco a fianco a sconosciuti che dopo un po’ diventavano amici e alla fine si beveva insieme il Vin Santo con i Cantucci, i biscottini nati per tuffarsi nel vino. Ci sono tornato dopo un quarto di secolo ed ero pronto alla delusione. Sono passati troppi anni e troppi turisti americani perché ci sia ancora quella atmosfera caciarona e soprattutto quella cucina toscana pura, senza compromessi. Ricordo che non si poteva richiedere a Narciso Latini il grado di cottura della carne. Rispondeva che la bistecca era cotta per tutti “alla fiorentina”, cioè sulla brace di legna e al sangue e che nel suo locale non si servivano suole di scarpe.
Ricordo anche che ci faceva qualche sconto anche se non lo chiedevamo e che
le nostre porzioni erano sempre un po’ più grandi, specialmente quelle che avevamo l’abitudine di dividerci per risparmiare.
Non ci crederete, e non ci credevo neppure io, ma il Latini è rimasto com’era. Stesse bistecche, stesse ribollite, stessa fila di persone in piedi ad aspettare il turno. Non tristemente, ma felici, con un bicchiere di vino rosso in mano e qualche crostino di fegatini allungato dai camerieri incaricati di consolare l’attesa degli avventori. Il fondatore Narciso non c’era, ora è un attivo signore novantenne impegnato con un altro ristorante a Certaldo e ha passato Il Latini al nipote Torello, che ha la mia età e ricordo serviva ai tavoli.
Ma come diavolo avrà fatto Torello a non montarsi la testa?
La sua trattoria è diventata un’istituzione e lui non si è minimamente venduto né agli americani né alla ristorazione paludata. È riuscito a non distruggere niente della fiorentinità sua e del locale. “È vero che qui la gente è cocciuta”, ho pensato vedendolo invecchiato di venticinque anni come me. “Ed è anche vero che talvolta la testardaggine può essere una grande dote”.
Torello è riuscito in un’impresa impossibile: accogliere americani e fiorentini insieme facendo in modo che l’antica fiaschetteria di Narciso Latini non diventasse uno dei tanti ristoranti con menu extraterritoriale per turisti.
Qui gli stranieri non trovano quello che piace a loro, ma quello che piace a lui e ai fiorentini.
“Se non ti piace, puoi andare da un’altra parte, tanto Firenze è piena di ristoranti che servono spaghetti alla bolognese scotti al punto giusto per il palato straniero”. Era questo il principio di Narciso e ora di Torello.
Il Latini è sempre una trattoria familiare ma con una cucina da ristorante filologico di alto livello, con prezzi contenuti e aperta solo a chi vuole mangiare fiorentino. È vero che l’ambiente rustico sembra fatto apposta per impressionare i turisti, ma io posso testimoniare che è così da quando è nato. Se qualcosa è cambiato è in meglio e senza mai tradire le radici.
“Le novità le ha portate soprattutto mia moglie Sonia”, mi ha detto Torello, “Lei è di una famiglia di ristoratori e ha una formazione più ‘aristocratica’ della mia. Così ha introdotto nel menu le antiche preparazioni della cucina storica toscana come il dolceforte. Ci prepara il cinghiale, la lepre, la lingua di bue e il baccalà”.
Nel corso dei secoli la cucina toscana ha volentieri smarrito i fastosi piatti medicei. L’unica che sia arrivata ai giorni nostri è proprio il dolceforte, una preparazione dolce e salata che accanto agli ingredienti normali per un umido accoglie cioccolato amaro, miele, pinoli, uvetta, cedro candito, garofano e cannella.
È il solo testimone superstite di un’epoca raffinata e carica di una leziosità ormai estranea alla cucina toscana attuale. La cuginanza con la cucina francese, vantata da molti e dovuta ai matrimoni di Caterina de’ Medici con Enrico II re di Francia e di Maria de’ Medici con Enrico IV, si è persa con i secoli a vantaggio di una semplicità tutta italiana e specialmente toscana.
Ora il glamour francese non frequenta più le cucine della Città del Giglio ed è meglio cercarlo a Napoli e a Palermo.
Oltre alla ribollita e alla bistecca, da Latini troverete le fettine di vitello trippate, lo stracotto alla fiorentina, il baccalà e la trippa alla fiorentina, il coniglio alla vernaccia, il fritto misto alla fiorentina, l’arista di cinta senese steccata e i dolci casalinghi fatti da Sonia.
Andate a trovare Torello e dategli i miei saluti. Io non ho avuto il coraggio di ringraziarlo per gli sconti che Narciso faceva a me e ai miei amici. Se vi ricordate, fatelo voi per me.

Siciliana trasferita a Bologna per i tortellini e per il lavoro. Per Il Giornale del Cibo revisiona e crea contenuti. Il suo piatto preferito può essere un qualunque risotto, purché sia fatto bene! In cucina non devono mancare: basilico e olio buono.

Lascia un commento