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Il mistero del silfio, l’antica spezia scomparsa di Cirene

Giulia Zamboni Gruppioni Petruzzelli
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    “Nel mortaio, sbriciolate pepe, cumino, coriandolo, radice di laser, ruta, inumidite con aceto, aggiungete datteri e il fondo del fenicottero brasato…”: recita così una delle ricette dell’antica Roma tramandateci da Apicio, autore latino vissuto tra il I secolo a.C e il I secolo d.C. E, per quanto ci possa sembrare strana l’abitudine di mangiare fenicotteri, c’è almeno un altro dettaglio di questo breve estratto che noi lettori contemporanei fatichiamo a comprendere: cos’è esattamente la radice di laser? Per scoprirlo, bisogna fare una vera e propria operazione di archeologia gastronomica, andando a scavare indietro nei secoli fino all’epoca in cui esisteva, sulle tavole greche e romane, una spezia oggi scomparsa: il silfio, il cui nome latino era appunto laser o laserpitium

    Citata in molti scritti storici, quest’erba aromatica era particolarmente ricercata e apprezzata per le sue numerose proprietà anche in ambito medico, eppure la sua diffusione durò relativamente poco e attualmente è considerata estinta. Su come sia accaduto e se sia davvero così, ci sono però diverse opinioni e, di fatto, quello del silfio rimane un mistero ancora irrisolto della cucina (e della botanica) antica. Motivo in più per ripercorrerne la storia e l’inatteso sviluppo: ecco ciò che sappiamo.

    Il silfio: com’era fatto e dove si trovava? 

    silfio pianta

    Ferula tingitana o finocchio gigante: il silfio apparteneva alla stessa famiglia nastaszia/shutterstock.com

    Apicio non è l’unico ad averci lasciato testimonianza scritta del silfio: la letteratura comprende infatti anche Teofrasto, noto come il padre della botanica greca, Dioscoride, un medico, Sorano di Efeso, il “ginecologo” dell’epoca, Plinio il Vecchio, ma anche Catone il Vecchio, Strabone e Columella. È grazie a loro – e ad alcune fonti figurative – se oggi conosciamo l’aspetto, la provenienza e gli usi di questa pianta. 

    Teofrasto fu il primo a riconoscerla come parte della famiglia delle Ombrellifere Apiaceae del genere delle Ferule, di cui fa parte ad esempio, anche la Ferula Tingitana o il finocchio gigante, pianta piuttosto alta e perenne ancora presente nella zona di Cipro e nell’area mediterranea della Spagna, del Marocco e della Siria. Ma la varietà più pregiata di silfio cresceva solamente a Cirene, attuale Shahat, in Libia orientale, in una striscia di terra lunga 200 e larga 50 km circa. Colonia greca e poi romana, questa zona divenne presto famosa proprio per la sua produzione, al punto da fondare tutta la sua economia sul commercio di silfio. In virtù della sua rarità e molteplicità di utilizzo, il laser raggiunse presto prezzi stellari: “un denario d’argento alla libbra”, secondo quanto riportato da Plinio il Vecchio, e venne persino impresso sulle monete cirenaiche (basta vedere la dracma d’argento del 450 a.C. circa tuttora conservata al British Museum). Ma che aspetto aveva e come veniva utilizzata? 

    silfio moneta

    www.britishmuseum.org/collection

    Come il sedano, anche il silfio era dotato di una grande radice, da cui si sviluppava uno stelo piuttosto robusto, con fogliame e fiorellini dorati, “il bulbo tondeggiante, e pieno” (Teofrasto, Storia delle piante). La qualità era data, secondo le parole di Dioscoride, dal loro colore rossastro e traslucido, simile a quello della mirra. Pare inoltre che dal suo seme, così prezioso, a forma di cuore, derivi il simbolo amoroso che ancora oggi adoperiamo. 

    Leggenda vuole che la comparsa del silfio si debba a una pioggia scura risalente a oltre due millenni fa, a seguito della quale iniziò a comparire e a moltiplicarsi questa pianta spontanea, che né i greci, né i romani seppero mai coltivare, nonostante i numerosi tentativi. Questo però non li fermò dal farne ampio uso, sia in cucina che in medicina: i gambi venivano tostati, arrostiti o bolliti e mangiati come verdure; le sue radici erano invece gustate fresche, condite con l’aceto; e dal fusto se ne estraeva un succo – particolare perché in pochi secondi passava dallo stato liquido a quello solido – con cui si preparavano salse e condimenti per la carne, specialmente la trippa, o che poteva essere grattugiato. Se data da mangiare alle pecore, che ne andavano ghiotte, la loro carne diventava estremamente tenera e saporita; mentre dal fiore si ricavava un profumo. Infine, molti erano i suoi utilizzi come infuso a scopi medicamentosi o anticoncezionali. 

    Laserpitium, l’erba aromatica dai mille usi

    spezia antica

    StockImageFactory.com/shutterstock.com

    Non solo in cucina, nei modi che abbiamo accennato e che probabilmente oggi non risponderebbero ai nostri gusti, ma anche in ambito scientifico il laserpitium trovava una grande applicazione. 

    Vera panacea di tutti i mali, il silfio era particolarmente indicato per curare i morsi di serpenti e cani, per le emorroidi, per la digestione e come afrodisiaco per stimolare l’eros. Con effetto contrario, pare che sia stato anche uno dei primi anticoncezionali naturali, capaci di inibire il concepimento prima e dopo l’atto. E ancora, il suo succo era l’ideale per la gotta, l’impotenza maschile, la regolarizzazione del flusso mestruale, il tetano, la cataratta e l’epilessia, oltre che per le verruche. Insomma, davvero un antidoto universale per ogni necessità. 

    Stanti così le cose, non è difficile immaginare che sia andato presto a ruba, tanto che – racconta sempre Plinio il Vecchio – quando se ne volle fare omaggio all’allora imperatore Nerone, non fu possibile trovarne che una sola pianta. Tempo prima, pare invece che Cesare potesse contare su un approvvigionamento più cospicuo, dato che utilizzò proprio 111 libbre di silfio per pagare, insieme a oro e argento, le spese di guerra. L’importanza capitale di questa spezia è confermata – se ancora non bastasse – anche dalla raffigurazione della famosa coppa di Arkesilas (560 a.C.) in cui viene ritratta la pesatura del silfio, alla presenza del sovrano stesso.  

    3 ipotesi sulla sua estinzione

    Se il silfio era così importante, quasi miracoloso, all’epoca dei romani, perché non è stato preservato? Come nei migliori gialli, qualche indizio lo abbiamo già sparso qui e là, ricapitoliamoli: i romani, così come i greci, non sono mai riusciti a coltivarlo. Per quanto siano stati capaci di isolare i semi e di piantarli, infatti, il risultato non era mai come l’originale. Le ragioni potrebbero essere molteplici: dalla qualità del suolo, alla genesi delle prime piante, alle modalità di piantumazione. Fatto sta che, una volta esauriti gli esemplari spontanei, del silfio non se ne ebbe più traccia. 

    E sull’esaurimento ricade il secondo indizio: abbiamo visto come dal silfio dipendesse l’economia fiorente di Cirene. Come in altri casi prima e dopo (ricordate il tonno rosso?), è facile immaginare che l’avidità umana e la spietatezza delle regole del mercato abbiano contribuito alla sua totale scomparsa. Ma le ipotesi sono svariate e nessuna è stata accreditata come quella definitiva: 

    • la prima, più semplice, è appunto quella di uno sfruttamento intensivo, più o meno legale e senza controllo delle risorse che finì per esaurirle in poco tempo, escludendo ogni possibilità di ricrescita;
    • la seconda, in qualche modo correlata alla prima per quanto più improbabile, incolpa invece gli allevatori di pecore che, per rendere la carne del bestiame più appetibile, le fecero pascolare senza remore sul territorio di coltura del silfio; 
    • Strabone, storico e geografo greco, individua la causa in un presunto conflitto tra i raccoglitori e commercianti: i primi, infuriati per i prezzi stellari con cui il silfio veniva rivenduto a totale profitto dei mercanti, per potesta ne strapparono via una quantità tale da comprometterne definitivamente il destino. 

    Teorie, queste, tutte abbastanza credibili, che spiegherebbero il perché di questa misteriosa sparizione, databile già intorno al V secolo d.C. Anche se c’è chi non ne è del tutto convinto: secondo alcuni, infatti, il silfio potrebbe ancora trovarsi in Libia, zona non facile da esplorare, senza che nessuno lo sappia. Fatto sta che da quando, nel 1800, la Società Francese di Geografia istituì un premio per chi avesse ritrovato una sola pianta di silfio, ancora non si è fatto avanti nessuno per reclamarlo. 

    E voi, conoscevate la storia del silfio e della sua misteriosa scomparsa?

     

    Giulia è nata a Bologna ma geni, pancia e cuore sono pugliesi. Scrive principalmente di tendenze alimentari e dei rapporti tra cibo e società. Al mestolo preferisce la forchetta che destreggia con abilità soprattutto quando in gioco c'è l'ultima patatina fritta. Nella sua cucina non deve mai mancare... un cuoco!

    Una risposta a “Il mistero del silfio, l’antica spezia scomparsa di Cirene”

    1. Marinella ha detto:

      Non conoscevo la storia del silfio e ti ringrazio per avermi delucidato, saluti dalla Puglia 😉

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