scarola dei colli

La Scarola Gigante dei Colli di Bergamo: chiara, dolce e croccante

Giulia Ubaldi
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    Siamo rimasti solo in quattro a farla.

    Intorno alle mura di Bergamo Alta esiste un’insalata che è diversa da tutte le altre. A produrla sono rimasti solo in quattro: Giuseppe e Michele Bonacina, padre e figlio, i loro cugini Martino, Franco e Angelo Viscardi. A rendere unica la Scarola dei Colli, oltre ai quattro mesi in campo necessari alla sua maturazione, è il particolare e tradizionale metodo di produzione dopo la raccolta, che la porta a stare al buio in buche nel terreno o sotto “materassi di fieno” per circa una decina di giorni, durante i quali subirà il cosiddetto processo di imbianchimento.

    Ma le cose sono cambiate molto nel corso del tempo, vediamo come.

    La Scarola Gigante dei Colli di Bergamo

    campi di scarolaArrivare in via San Martino della Pigrizia nel periodo invernale è un vero e proprio spettacolo. È qui, infatti, sui Colli, in questo particolare punto di Bergamo Alta appena fuori dalle mura, vicino Borgo Canale, che si produce ancora la Scarola Gigante bergamasca. Si percorre una stradina tutta di antichi ciottoli, per altro costruita proprio da Giuseppe Bonacina, produttore e memoria storica, e ci si ritrova di fronte a un museo naturale a cielo aperto, con meravigliosi campi verdi di indivia. È il Parco dei Colli di Bergamo.

    Ol parch di Còi de Bèrghem, il polmone verde, caldo e luminoso della città

    Il Parco dei Colli di Bergamo è un’area naturale protetta, situata tra i fiumi Brembo e Serio, parte della collina di città alta. Questa zona, di quasi 5.000 ettari, è caratterizzata da terrazzamenti con orti e vigneti, tant’è che infatti viene chiamata “il polmone verde della città”. Sempre qui si trova anche L’Orto Botanico Lorenzo Rota con tanto di percorso didattico e pista ciclabile, un museo che fa parte della Rete degli Orti Botanici lombardi, che ha come scopo la tutela, la conoscenza, la promozione e la valorizzazione del patrimonio culturale vegetale della Lombardia.

    Il Parco dei Colli di Bergamo è sempre stato molto ospitale all’uomo e alle sue coltivazioni, in particolare per il suo microclima: “è la zona climatica che fa la differenza, perché qui, a differenza ad esempio della bassa, abbiamo luce dalle 8 fino alle 17. Siamo baciati dal sole dalla mattina alla sera!” Oltre alla scarola, infatti, hanno anche altri ortaggi quali zucchine, fagiolini, cetrioli bianchi e cornetti gialli. Una volta, un produttore ha provato a piantare in un’altra zona la stessa scarola seguendo lo stesso procedimento, ma ha ammesso che il risultato è stato decisamente differente.

    Inoltre, alla riuscita dei raccolti contribuisce anche il tipo di terreno che, ricco di sassolini, è sempre più caldo di altri in provincia di Bergamo, (come ad esempio quello argilloso di Scanzo, ideale per il noto Moscato), motivo per cui qui questa invidia può stare a lungo nel terreno senza ghiacciare.

    Oggi la Scarola dei Colli, essendo in via d’estinzione, è tutelata da un disciplinare che parla chiaro: la provincia di Bergamo è l’unico territorio eletto per la sua produzione, così come la dizione aggiuntiva “dei colli” si può utilizzare solo se il prodotto viene coltivato all’aperto sui colli della città.  

    La Scarola dei Colli di Bergamo: storia e produzione

    La Scarola Gigante dei Colli di Bergamo è originaria della Francia, probabilmente della zona di Bordeaux. È stato nel Dopoguerra, ci racconta Giuseppe Bonacina, che si è iniziato a trattare la Scarola in questo modo particolare, perché “con la guerra non importava se era verde o croccante. Poi, con i miei zii, abbiamo iniziato a fare delle buche nel terreno e a metterla sotto, coperta da teli, e abbiamo scoperto che veniva molto più buona”. Così in passato tutti avevano iniziato a produrla in questo modo, ovvero seguendo un procedimento più lungo e manuale ma dai grandi risultati: “un tempo era pieno di ortolani qui in collina, poi sono tutti invecchiati e si è persa la tradizione”.

    Oggi sono rimasti solo in quattro a produrla, come Giuseppe appunto, conosciuto da tutti come Bepi: è stato lui infatti, sempre appoggiato dalla paziente moglie Maria (60 anni di matrimonio), a lottare per far sì che la Scarola di Bergamo, con tutta la sua antica tecnica di produzione a mano, non andasse perduta. “Ho passato 75 anni della mia vita a lavorare nei campi, svegliandomi sempre alle 4 di notte e producendo fino a 60 kg di scarola al giorno”. La stessa passione e gli stessi orari sono quelli di suo figlio Michele, che senza dubbio alcuno, ha scelto la via del padre: “le cose uno le impara solo se ha passione; se non hai passione, non ti resta niente”.  

    scarola

    Il metodo di produzione

    La Scarola di Bergamo ha bisogno di tanto freddo, per questo si pianta tra fine agosto, settembre e inizio ottobre, a seconda del clima dell’anno e per almeno quattro mesi non si tocca dal terreno. È già questa una delle sue peculiarità, ovvero stare così tanto tempo nella terra, all’aperto, periodo durante il quale inizia ad acquisire il suo sapore profondo. Una volta raccolta, si potrebbe mangiare anche così, ma sarebbe un’indivia come le altre, un po’ amara, “pota così è erba” dice Giuseppe. Invece la Scarola Gigante dei Colli di Bergamo si differenzia proprio perché dopo essere stata raccolta, viene messa a cespi in delle cassette per trascorrere dieci giorni al buio: c’è chi ancora la mette sotto terra, coperta da teli, come una volta anche se così, secondo Giuseppe, c’è troppa umidità; o chi, invece, come loro, la ripone sotto materassi di fieno, cioè dei teli imbottiti di fieno, all’interno di una serra o di una cantina. Perché? Perché durante questi giorni di imbianchimento, la Scarola acquisisce quelle caratteristiche che la rendono un’insalata speciale: diventa più dolce, più chiara e più croccante. “Il suo segreto è restare al freddo il più possibile, infatti quella di gennaio o di febbraio, dopo mesi di gelo, è sempre la più buona”. Infine viene lavata e venduta all’ingrosso, a circa 3 euro al kg.

    Come mangiare la Scarola dei Colli

    come mangiare la scarola

    Per gustare al meglio il sapore della Scarola bergamasca, bisogna mangiarla così: cruda, solo con olio, sale e aceto. In accompagnamento “sempre un po’ di formai”, dice Giuseppe, perché ricordiamo che a Bergamo e provincia la bóca l’è mia straca se la sènt mia de aca, ovvero la bocca non è mai stanca, cioè non si è finito di mangiare, se non sa di vacca, cioè di latte, di formaggio, prodotto d’eccellenza di questa terra. Altrimenti si può gustare anche cotta, quando rilascia quel suo gusto così deciso: dalle torte salate, alle minestre, fino a ripiena o sulla pizza.

    Dove trovarla

    Tutti i produttori rimasti la vendono al Mercato Ortofrutticolo di Bergamo, aperto al pubblico ogni sabato o alla Cooperativa degli Agricoltori dei Colli di Bergamo. A cucinarla sono solo alcuni ristoranti di Bergamo, come lo storico Mimmo che da città alta ha appena aperto Da Mimmo ai Colli; o la Pizzeria Capri Da Nasti che la invece la mette sulla pizza; o ancora, quell’istituzione della famiglia Cerea Da Vittorio che la usa solo quando di stagione nel periodo invernale; oppure cruda nel piatto “Insalata d’inverno” (con finocchi, arancia, radicchio trevisano tardivo, melograno, cavolo, boccioli di tarassaco e semi) della Trattoria Visconti, di cui vi avevamo già parlato a proposito della polenta con i mais autoctoni.

    In alternativa, potete andare al mercato di Torre Boldone tutti i mercoledì mattina, oppure recarvi direttamente da chi la produce come la famiglia Bonacina, in modo da poter godere anche voi dello spettacolo che questa insalata assolutamente unica è in grado di regalare.

    Insomma, possiamo proprio concludere che quello della provincia di Bergamo è davvero un territorio enogastronomicamente ancora tutto da scoprire.

     

    Tutte le foto sono di Stefano Triulzi.

    Antropologa del cibo, è nata a Milano, dove vive e scrive per varie testate, tra cui La Cucina Italiana, Scatti di Gusto, Vanity Fair e le Guide Espresso. Il suo piatto preferito sono gli spaghetti alle vongole, perché per lei sono diventati un'idea platonica: "qualsiasi loro manifestazione nella realtà sarà sempre una pallida copia di quella nell'iperuranio". Nella sua cucina non mancano mai pistilli di zafferano, che prima coltivava!"

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