mulino di comunità

Il primo mulino di comunità: la ricetta pugliese per un pane più equo

Giulia Zamboni Gruppioni Petruzzelli
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    Esistono cibi che fanno bene. Ma non nel senso di valori nutrizionali, apporto calorico o proprietà nutritive. Non solo, almeno. Si tratta, piuttosto, di un bene più profondo e diffuso, un bene comune, che vi racconteremo grazie a un recente progetto. Il 31 marzo 2019, infatti, è stato inaugurato il primo mulino di comunità della Puglia. Anzi, d’Italia. Un progetto ideato dall’associazione Casa delle Agriculture Tullia e Gino e gestito dall’omonima cooperativa, con lo scopo di incentivare l’agricoltura biologica locale e arginare il fenomeno tristemente attuale dello spopolamento delle campagne.

    Siamo a Castiglione d’Otranto, una frazione in provincia di Lecce che conta sì e no 1.200 abitanti in cui, spiega il presidente della cooperativa Donato Nuzzo, non ci sono più né la scuola elementare, né l’ufficio postale. Qui, nel Salento che Carmelo Bene definiva “il Sud a Sud dei santi”, la democrazia alimentare si pratica anche attraverso la “restanza”, come la chiamano da queste parti, ovvero la scelta di rimanere o tornare a viverci. Questa è la storia del mulino di comunità di Castiglione d’Otranto e di un Meridione che prova a farcela.

    Il mulino di comunità, esempio di economia solidale

    “Il mulino di comunità è stato concepito come patrimonio di tutti”:  sono le parole di Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia, tra le istituzioni finanziatrici del progetto – anche per garantire un servizio di molitura a costi equi e sostenibili per famiglie, contadini, piccole e medie aziende”. Contadini e produttori locali possono infatti accedere al mulino e utilizzarlo per ogni fase di lavorazione (non solo molitura, ma anche pulitura, decorticatura e confezionamento) a una tariffa agevolata. A patto però che le loro sementi siano frutto di coltivazioni naturali e biologiche, così come esplicitato nel protocollo d’intesa che sono chiamati a firmare a tutela della biodiversità del territorio. “In questo modo” – ha raccontato Donato Nuzzo in un’intervista sul magazine online Valori – possono vendere un prodotto di qualità certificata, i cui passaggi di lavorazione e i relativi costi sono inferiori, e il cui prezzo finale può quindi essere più alto. Così facendo si assicura un doppio vantaggio: per gli agricoltori, che non sono più costretti a vendere il grano a 16 o 17 euro al quintale, e per il cliente finale, soprattutto se appartenente alle fasce più deboli “che per ragioni di costi, finora, sono state dirottate verso l’acquisto di cibi spazzatura”. Insomma un vero progetto win-win, in cui da un lato si restituisce dignità e valore al lavoro dei campi e, dall’altro, si istituisce un processo virtuoso di economia solidale e accesso condiviso al cibo sano. Non solo, a queste si aggiungono infatti ulteriori considerazioni (e conseguenze) di tipo sociale, ambientale e alimentare:

    • migliorando le condizioni di lavoro se ne incentiva l’attività sia nelle terre già coltivate, che in quelle abbandonate o improduttive, garantendo così nuove opportunità di impiego ai giovani e al resto della comunità;
    • favorendo la biodiversità cerealicola e leguminosa locale si sviluppa un modello di agricoltura equilibrato e diversificato, che recupera e conserva tradizioni e sapori rari e antichi;
    • la peculiarità funzionale del mulino fa sì che dalla sua macina venga ricavata una farina integrale molto diversa da quella ottenuta attraverso la molitura industrializzata, e per questo, unica nel gusto e nelle proprietà.

    Per tutti questi motivi, il mulino di comunità di Castiglione d’Otranto ha saputo attirare l’interesse e i finanziamenti di numerosi soggetti pubblici e privati, coinvolgendo nella sua realizzazione cooperative, associazioni, cittadini e istituzioni secondo un esempio di collaborazione trasversale che conferma la necessità e la portata di progetti come questo.

    inaugurazione

    Crowdfunding e finanziamenti pubblici: chi ha creduto nel progetto

    “Chi semina utopia, raccoglie realtà” si legge all’esterno del mulino, e a ragione. Perché l’utopia generata in seno alla Casa delle Agriculture Tullia e Gino si è poi diffusa a macchia d’olio tanto che nel primo mese di crowdfunding l’associazione, insieme a Rete Salento Km0 di cui fa parte, ha raccolto 37 mila euro donati da cittadini e agricoltori per la ristrutturazione dei locali del mulino. A questi si sono aggiunti altri 50 mila euro stanziati dalla Regione Puglia e utilizzati per l’acquisto dei macchinari. 15 mila euro sono invece stati elargiti dalla Fondazione Con il Sud, mentre l’acquisto dell’immobile e il resto delle attrezzature è stato garantito dal mutuo concesso all’omonima cooperativa Casa delle Agriculture da Banca Etica.

    Non solo trasformazione polivalente dei grani, ma anche formazione e cultura: “il mulino prima di essere un’architettura è un atto politico, una sfida a cogliere le esigenze di tutti”. L’ha interpretata così Mauro Lazzari, direttore dei lavori e architetto dello studio Metamor che ha eseguito l’opera di ammodernamento del tutto gratuitamente. Oggi l’utopia di Nuzzo e la sfida di Lazzari, sono un posto, con un indirizzo preciso in cui, oltre al mulino in sé, si trovano anche un giardinetto comune con alberi di frutti minori e la little free library donata dalla Cianfrusoteca di Salice Salentino. Ma come funziona, esattamente, il mulino di comunità pugliese?

    primo mulino di comunità

    Biodiversità e grani antichi: la farina integrale che valorizza il territorio

    Quello di Castiglione d’Otranto è un mulino a pietra austriaco in cui le due macine, di pietra appunto, sono sovrapposte tra loro a distanza regolabile. Quando il mulino è in funzione, attraverso le macine vengono fatti passare i semi che, a differenza di quanto avviene nei più moderni mulini a cilindro, nella spremitura conservano anche il germe, ovvero la parte più nobile, che si fonde così anche agli oli essenziali portandosi dietro tutta la crusca. Il risultato è quindi una farina integrale con proprietà organolettiche uniche. Ed è questo, insieme alla sua particolare consistenza, a fare la differenza. Infatti, se nei mulini industriali i cilindri consentono di ottenere una farina raffinatissima di tipo 00, qui si ricava invece un prodotto di tipo 0, 1 o 2, non bianchissimo ma sicuramente ricco di profumi, fibre e vitamine.

    Al momento, il mulino è al lavoro su tutta la filiera dei grani antichi ed è impegnato nella ricerca dei cereali del futuro con un occhio attento ai cambiamenti climatici in atto. Donato Nuzzo alla biodiversità e al patrimonio agronomico crede molto, tanto che, tra le attività dell’associazione che presiede, rientra oggi anche il primo vivaio della biodiversità. Inaugurato nel 2014 a seguito della bonifica delle campagne del basso Salento da oltre 100 tonnellate di rifiuti, il vivaio è oggi piantumato a frutti minori provenienti da semi biologici e biodinamici selezionati dai contadini. Il vivaio, esperienza unica nella regione, si colloca all’interno del più ampio progetto del Parco dei Frutti Minori, “parco diffuso in continua espansione della biodiversità locale e della bellezza partecipata”.

    mulino

    La solidarietà passa dal pane: il caso friulano

    Diverso, ma somigliante a quello pugliese, è il friulano “Patto della farina”, un accordo di filiera che ha coinvolto, a partire dal 2016, numerose entità locali, tra cui il Forum dei Beni comuni ed Economia solidale FVG, il Molino Tuzzi, il panificio Jordan, le aziende agricole Grinovero e Tavano e i consumatori del Friuli Orientale. Tutti soggetti che si sono uniti con lo scopo di produrre farine e derivati di alta qualità ma con prezzi contenuti e accessibili a tutti. Anche in questo caso, la parola d’ordine è partecipazione dei diversi attori di categoria e dei consumatori finali che, per la prima volta, hanno contribuito al rischio di impresa anticipando quantità e costi del prodotto finito a sostegno degli agricoltori coinvolti. I cereali provengono da agricoltura biologica ma non certificata: alla base di questa scelta c’è infatti il desiderio “di creare un nuovo rapporto di fiducia tra le parti attive del patto” (come si legge sulla pagina Facebook dell’iniziativa) e di contenere il prezzo del prodotto finito. Non si tratta di un mulino di comunità, ma l’intento è del tutto simile: creare una filiera trasparente, solidale e condivisa in cui territorio e persone, da entrambi i capi della catena, sono valorizzati e protetti.

    Tanto la formula friulana che quella pugliese dimostrano quindi come, da nord a sud, sia in atto un sentimento di rivincita e di resistenza in cui le distanze tra produttori e consumatori si accorciano a favore di entrambi. Chissà che esperienze come queste non possano aiutare nella sensibilizzazione dell’opinione pubblica anche a più ampio raggio, restituendo la giusta considerazione a terre ancora troppo vittime di fenomeni come lo sfruttamento dei lavoratori e il caporalato. In fondo, non dimentichiamolo, non sono passati molti anni da quando il Salento fu candidato, nel 1999, al Premio Nobel per la Pace per via della sua storia di accoglienza e ospitalità. Probabilmente, oggi, per un riconoscimento simile serve più di un mulino di comunità, ma sicuramente è un segno che qualcosa sta cambiando: il seme della legalità e della fratellanza sta finalmente germogliando.

     

    Conoscete altri casi simili al mulino di comunità leccese o al sodalizio friulano? Fatecelo sapere scrivendoci nei commenti, siamo curiosi di scoprirne di più.

     

    Foto di Alexander Corciulo.

    Giulia è nata a Bologna ma geni, pancia e cuore sono pugliesi. Scrive principalmente di tendenze alimentari e dei rapporti tra cibo e società. Al mestolo preferisce la forchetta che destreggia con abilità soprattutto quando in gioco c'è l'ultima patatina fritta. Nella sua cucina non deve mai mancare... un cuoco!

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