Una volta l’uomo cucinava solamente per necessità o per passione. La cucina maschile “da necessità” si realizzava in casi sempre eccezionali e sempre indipendenti dalla libera scelta dell’uomo. E ciò in caso di febbre a trentanove della moglie (perché fino a 38 e mezzo la donna sta ai fornelli), di celibato senza mamma, di emigrazione, di vedovanza.
Come è facile intuire, si trattava di una cucina soprattutto triste, sia per gli eventi che la determinavano, sia perché era un ibrido tra l’improvvisazione e l’imitazione a memoria di osservazioni infantili delle procedure materne. D’altra parte c’era l’appassionatoche affrontava l’alta cucina una volta all’anno con la stessa incoscienza di chi pretende di correre il Gran Premio di Formula Uno con la Panda nel garage: un delirio. Un incubo fatto di pareti schizzate, di libri imbrattati, di imprecazioni, di anatre all’arancia all’inevitabile sapore di caramella, di sorbetti sciolti come pozzanghere o duri come iceberg.
Sempre riservato agli ospiti era il patema d’animo sul destino del soufflè: “si gonfierà o non si gonfierà? E chi lo consola se non si gonfia? E non è che se prima si gonfia e poi si affloscia gli viene un infarto?”. Ansie, preoccupazioni e soprattutto bugie appassionate ma indispensabili a consacrare chef di livello mondiale quel cuoco da una volta all’anno. Poi di corsa a casa a farsi di Alka Seltzer. Tempi che furono. Ora l’uomo vuole essere in grado di cucinare tutti i giorni se occorre o se ne ha voglia, e bene. Eccellente proponimento, dal quale guadagnerebbero tutti, uomini e donne, e ottime possibilità di riuscita purché l’aspirante cuoco quotidiano riesca a liberarsi dai sette vizi capitali che ancora l’affliggono. Eccovi, cari futuri cuochi, i sette veleni della cucina al maschile con i relativi antidoti.
1. Vanità
Se i complimenti non arrivano, rinunciateci. O almeno aspettate prima di sollecitarli che la forchetta del vostro ospite raggiunga almeno le sue labbra. Quando finalmente ve li fanno, magari con un semplice “è buono”, non stimolate un rincaro di dose con autocelebrazioni travestite da distaccate osservazioni sulla oggettiva qualità di quel piatto come se l’avesse cucinato qualcun altro.
2. Plagio
Se non sapete fare una pietanza non copiatela “a occhio” da ciò che vi servono al ristorante. Quello di “creare imitando” è un vizio tipico maschile che sortisce risultati sempre pessimi. Anche se non sembra, la cucina richiede competenza diretta, esperienza e studio. E poi, salireste su un aereo pilotato da un tipo che si dice capace di farlo solo perché una volta è stato all’aeroporto? Questo vizio ci porta direttamente al prossimo.
3. Vergogna di chiedere
Molti temono che scambiarsi le ricette sia “roba da donne” e non osano chiedere una ricetta a un’amica perché temono venga messa in dubbio la loro virilità. Prendete il coraggio a due mani e chiedete alla portinaia come fa quel benedetto ragù il cui odore vi fa svenire per le scale. Sarà lietissima di insegnarvelo.
4. Spreco
Dovete anche imparare a fare la spesa senza farvi fregare, a capire qualcosa di stagionalità di verdura e frutta (che è come dire miglior qualità e miglior prezzo), a conservare correttamente in frigo e in freezercibi freschi e cibi avanzati, a riciclare una pietanza sapendola trasformare in qualcos’altro di altrettanto buono. Lo so che è dura imparare tutte queste cose, ma la vera cucina è anche questo.
5. Pregiudizi maschilisti
Non è vero che “quando ci si mettono” gli uomini in cucina sono più bravi delle donne. E il fatto che tutti i grandi chef siano uomini è semplicemente dovuto alla circostanza che, come tutte le carriere di prestigio, anche quella dello chef è stata arraffata dagli uomini.
6. Disordine
Ma sarebbe più appropriato parlare di caos primordiale. Nove volte su dieci, l’uomo che ha cucinato lascia una cucina che sembra bombardata. Non fatelo più: è un pessima abitudine che le donne non mancano mai di rinfacciarci e una fama, purtroppo meritata, dalla quale dobbiamo liberarci. Non permettiamo più che le nostre compagne ci mortifichino con un “Sì era buono, ma ci ho messo due giorni a ripulire tutto”.
7. Perfezionismo
Il perfezionismo vi fa diventare ansiosi e mette a disagio gli ospiti. Riflettete sul fatto che la gente non cena tutte le sere alla “Tour D’Argent” e che è abituata a mangiare lo stesso una pietanza anche se non ha raggiunto il massimo del risultato. Infine puntate sulla semplicità, specialmente quando comincerete a sentirvi esperti. Cucinare è, ancora una volta, un po’ come guidare: le fesserie si combinano soprattutto quando ci sente troppo sicuri.
di Martino Ragusa