Gastrofisica: cos’è la nuova scienza del mangiare e in che modo supporta tecnologie e marketing?

Matteo Garuti
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    La gastrofisica è entrata da poco nel vocabolario scientifico, ma potrebbe gettare le basi per una piccola rivoluzione in ambito alimentare, specialmente grazie all’incontro con le nuove tecnologie. Questo campo di ricerca, che studia il rapporto tra il cibo e i nostri sensi, apre infatti degli spazi finora inesplorati per il marketing a servizio della ristorazione e dell’industria alimentare. Ma cosa ci dice questa nuova scienza e quali sono le possibilità che grazie all’informatica – e non solo – si stanno creando per soddisfare le percezioni sensoriali dei consumatori? 

    Approfondiremo questi temi considerando i recenti sviluppi di questo filone di ricerca e le applicazioni promettenti per le molteplici realtà del food e ai fini della sostenibilità.

    Cos’è la “gastrofisica”?

    Oltre al gusto, all’olfatto e alla vista, mangiando o bevendo attiviamo anche percezioni sensoriali legate al contesto nel quale ci troviamo. L’ambiente che ci circonda, i colori, i suoni e le persone assieme a noi, ma anche il nostro umore e il nostro livello di comfort, determinano l’esperienza finale e il gradimento del pasto.

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    Queste evidenze, apparentemente semplici e intuitive, sono le basi della gastrofisica, e da qui partono gli studi di una disciplina recente e innovativa, che vuole indagare la complessità che si cela dietro il consumo di cibi e bevande. Il professor Charles Spence, psicologo e docente dell’Università di Oxford, è considerato uno dei padri della gastrofisica, e al di fuori dell’ambito accademico la sua fama è legata al saggio Gastrophysics: the new science of eating, pubblicato nel 2017 e recentemente tradotto anche in italiano.

    Considerando che oltre al palato la percezione avviene nella mente, si possono studiare strategie per aumentare l’apprezzamento di un prodotto o di un’esperienza. Potrà trattarsi di uno snack di un marchio della grande distribuzione, ma anche di un piatto in un ristorante o di un locale che serve cocktail: ecco perché questa scienza è importante per l’intero mercato dell’enogastronomia.

    Cosa ci dice la gastrofisica sulla percezione sensoriale?

    Sono molti i dettagli che, sommati, contribuiscono a creare il gradimento: dall’ambiente dove si svolge l’esperienza gustativa ai particolari dell’apparecchiatura, compresi forma e colore di piatti e posate. In sostanza, tutti e cinque i sensi vogliono la loro parte, di conseguenza ristoranti e aziende alimentari, con i giusti accorgimenti, possano migliorare le valutazioni e favorire gli acquisti.

    Nei suoi studi, Charles Spence ha provato che, ad esempio, il giudizio su un vino cambia in base alle luci dell’ambiente in cui lo si degusta, ma anche dalla musica di sottofondo e dal comfort complessivo che si percepisce. Lo stesso vale per i cibi, che possono sembrare più buoni se consumati in un luogo suggestivo, e quasi sempre i pranzi all’aria aperta con panorami scenografici sono i più apprezzati. Anche la compagnia è fondamentale per il consumo alimentare, infatti essere insieme a un’altra persona, che sia un partner o un amico, ci porta a mangiare il 35% in più. Da non trascurare la dimensione e la forma di piatti e bicchieri, con quelli piccoli che portano a ridurre i consumi, una leva peraltro già sfruttata nelle diete dimagranti.

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    Ai suoi studi scientifici sulla gastrofisica, iniziati nei primi anni Duemila, Spence ha aggiunto una lunga esperienza da consulente per diverse multinazionali dell’alimentare e della ristorazione. Nella collaborazione con un ristorante italiano di Londra, ha misurato l’influenza positiva sui consumi della creazione di un ambiente che facesse pensare all’Italia. La multisensorialità, con tutte le sue sfaccettature e le possibilità che offre, può essere sfruttata in modo scientifico dai ristoranti per attirare, coinvolgere e stupire i clienti. Nel ristorante inglese “The Fat Duck”, che si fregia di tre stelle Michelin e di cui Spence è consulente, per accompagnare l’emulsione di molluschi proposta dal menu ci si è spinti fino a posizionare sui tavoli una finta conchiglia dotata di auricolari, per ascoltare il rumore dello onde e il richiamo dei gabbiani.

    Il cibo ci porta a viaggiare e a condividere il piacere

    Tra i vari ambiti nei quali la gastrofisica può essere applicata fruttuosamente, il turismo enogastronomico sembra essere uno dei principali sbocchi. Secondo un’indagine svolta in Inghilterra su 2.000 individui, per il 50% del campione la gastronomia è determinante per la scelta della meta, specialmente per i giovani tra i 18 e i 34 anni. Il 33% degli uomini, inoltre, decide dove andare solo per quello che la cucina del posto può offrire. Nella visione di Charles Spence, nei prossimi anni sarà sviluppata ulteriormente l’interattività delle esperienze. Bevendo un vino, ad esempio, potremo scansionare l’etichetta e scaricare la playlist più adatta all’abbinamento, per migliorare l’umore e il piacere nella degustazione. Altrettanto futuribile potrebbe essere il consiglio di determinati svaghi e divertimenti plasmati in base alle proprie preferenze gastronomiche. A rimanere fondamentale, secondo lo psicologo britannico, sarà il valore della socializzazione a tavola, sulla quale costruire proposte anche di tipo personalizzato.

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    La gastrofisica incontra le tecnologie più avanzate

    Nell’epoca che viviamo, l’informatica e le tecnologie digitali rivestono un ruolo fondamentale per il mondo dell’agroalimentare, dalla produzione al consumo. Si possono distinguere due momenti: quando i cibo sono gestiti dalle aziende e quando, dopo l’acquisto, passano nelle mani dei consumatori. Nella prima fase, in supporto all’agricoltura, all’allevamento e alla logistica, sono diversi i possibili interventi dell’informatica, della robotica e dell’illuminotecnica, come abbiamo visto ad esempio occupandoci di colture fuori suolo. Anche durante tutto il periodo successivo all’acquisto – quando si cucina, si presenta il piatto, si mangia, e infine si smaltiscono e poi si gestiscono i rifiuti – le tecnologie entrano in gioco più volte e in modi diversi. Nel complesso, quindi, le si sfrutta per efficientare tutto il ciclo alimentare e ridurre l’impatto ecologico ed energetico, senza dimenticare il contributo e l’utilizzo che se ne fa nella preparazione e nel consumo del cibo, compresa la socializzazione, reale o virtuale, che favoriscono.

    In quest’ultima fase, le tecnologie informatiche più avanzate si esprimono anche in possibilità che attualmente ci appaiono avveniristiche ma che sono già realtà: dalla stampa di alimenti in 3D alla costruzione di realtà virtuali legate al cibo – anche con un valore economico come nel caso del cyber food e degli NFT – fino ad altre innovazioni significative come il rilevamento informatizzato delle caratteristiche del cibo, la sensoristica informatizzata e il ricorso alla robotica nella distribuzione.

    In questo contesto, la gastrofisica contribuisce nell’indagare i modi di vivere il cibo per formulare nuove proposte di food design, strategie di marketing e cura dei clienti. Ma non ci si limita a questo, perché la stessa creazione di elettrodomestici intelligenti per realizzare ricette per piatti e cibi con caratteristiche attraenti si avvale degli studi sopra citati. La diffusione e il successo dei social network, con la condivisione di foto e video di pasti e del cosiddetto “foodporn”, si appoggiano proprio su molti degli aspetti studiati dalla gastrofisica.

    La gastrofisica favorisce l’interdisciplinarità nella ricerca sul cibo e può essere utile ai fini della sostenibilità

    Partendo dalla psicologia, le ricerche della gastrofisica coinvolgono diverse competenze scientifiche – antropologia, scienze mediche, sociologia, ecc. – fungendo anche da ponte tra le diverse discipline e le tecnologie. Pertanto, questo approccio intreccia differenti prospettive attorno alle scienze gastronomiche, favorendo la costituzione di un’unica modalità di indagine. La gastrofisica, quindi, non deve essere intesa solo come figlia delle scienze comportamentali – psicofisica, neuroscienze cognitive, economia comportamentale, antropologia, arti culinarie, marketing e design del cibo, ecc. – ma come una disciplina che incorpora anche conoscenze derivate dalla chimica, dalla biofisica e dalle tecniche di derivazione medica.

    Questa scienza, inoltre, non è finalizzata solo alla soddisfazione del piacere e al mercato che ne deriva, ma mira anche ad avere un ruolo a favore della sostenibilità. Un obiettivo da perseguire aumentando la consapevolezza sulle dinamiche che ruotano attorno al cibo, ai fini di un cambiamento comportamentale, e per suggerire nuove strategie per l’innovazione nell’industria alimentare. In supporto alla gastrofisica, si parla di food computing e “gastronomia computazionale”, ovvero dell’elaborazione informatica sfruttata per analizzare contenuti online e sui social media, recensioni di ristoranti online, menu, ricette e immagini di cibo. Questi strumenti consentono di comprendere la percezione sui cambiamenti rispetto alla stagionalità e alla complessità culturale e multisensoriale della cucina, e quindi il sentimento nei confronti dei cibi – tradizionali, innovativi, popolari, industriali, ecc. – ma anche come e quando questi vengono consumati.

    La gastrofisica e le tecniche citate, operando in modo sinergico, possono perciò essere utilizzate anche per supportare strategie di marketing per favorire la diffusione di modelli di consumo alimentare più corretti e sostenibili. Come abbiamo visto nei nostri articoli, il sistema alimentare è interessato da tecnologie emergenti che lo stanno rimodellando, soprattutto a livello industriale, dalla genomica alla robotizzazione. Molte di queste sono già in uso, mentre altre sono ancora in fase di studio o di messa a punto. Il futuro ci riserverà ulteriori evoluzioni che, auspicabilmente, potranno contribuire in modo positivo nelle sfide dettate dalle emergenze climatiche e sociali.


    Immagine in evidenza di: Breslavtsev Oleg/shutterstock.com

    Matteo è nato a Bologna e vive a San Giorgio di Piano (Bo), è giornalista, sommelier e assaggiatore di olio d'oliva, ha collaborato con il Dipartimento di Scienze e Tecnologie agro-alimentari dell'Università di Bologna. Per Il Giornale del Cibo si occupa di attualità, salute, cultura e politica alimentare. Apprezza i cibi e le bevande dai gusti autentici, decisi e di carattere. A tavola ama la tradizione ma gli piace anche sperimentare: per lui in cucina non può mancare la creatività, "perché è impossibile farne a meno!"

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