Dall’acquacotta allo Scaveccio di Orbetello: ecco cosa mangiare in Maremma

Alessandra Corsetti
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    È l’antica terra degli Etruschi, si estende tra la Toscana e il Lazio, è caratterizzata da sinuosi colli ornati di cipressi, dove poter ammirare panorami incantevoli. Ci sono il mare, la collina e la montagna, e in questa zona non lo chiamano formaggio ma “cacio”… dove siamo? Ma certo, siamo in Maremma! 

    Oggi percorreremo questo splendido territorio e lo conosceremo un po’ meglio attraverso i suoi piatti tipici e i sapori della cucina maremmana più autentica, in particolare quella del Grossetano. Seguiteci per non perdervi neanche una di queste prelibatezze! 

    Un viaggio nella cucina maremmama, tra mare e montagna

    Prima di addentrarci nella sua cucina tipica, è bene fare una piccola digressione. La Maremma è una vasta regione geografica compresa tra la Toscana e il Lazio suddivisa in tre macro-aree: Alta Maremma (Livorno), Maremma Grossetana e Maremma Laziale, dalla provincia di Viterbo fino a Civitavecchia. Una curiosità è che Dante Alighieri identificava questa regione tra i confini di Cecina e Tarquinia, e sembrerebbe che il nome “maremma” derivi dal termine latino maritima, per la sua adiacenza al mare. 

    Ed è proprio questo rapporto diretto e costante tra terra e mare ad aver influito sulla gastronomia, dando vita a una proposta ricchissima, semplice e saporita al tempo stesso. “Paese che vai, cucina che trovi”, ed è proprio il caso di dirlo per la cucina maremmana, poiché ogni paese – anche il più piccolo borgo – ha la sua specialità, la sua storia, la sua versione della ricetta.

    Tra i piatti tipici troviamo soprattutto le zuppe, di verdure e di pesce, le pietanze a base di cacciagione, in particolare di cinghiale, ma anche formaggi, pasta all’uovo in tutte le sue forme, dalle pappardelle ai tortelli. E come non citare il vino e l’olio d’oliva?   

    Pane sciapo o “sciocco”

    pane toscana

    LongJon/shutterstock.com

    Tra i prodotti più famosi in tutto il mondo della tradizione maremmana c’è senza dubbio il pane sciapo o sciocco, così chiamato in quanto completamente privo di sale. Grazie alla lunga lievitazione e a una buona cottura, questo pane si conserva fino a una settimana, ma una volta raffermo viene comunque utilizzato come base per realizzare diverse pietanze, come ad esempio la pappa al pomodoro. Ma perché senza sale? Sono diverse le storie che si celano dietro questa tradizione: una di queste racconta che il sale sia stato eliminato perché il pane doveva solo essere un accompagnamento e non coprire o aumentare la sapidità di una cucina già ricca di sapori robusti e molto saporiti. Un’altra leggenda farebbe risalire questa tradizione alla fine del XI secolo nella rivalità tra Firenze e Pisa: i cittadini di quest’ultima città, infatti, aumentarono in un primo momento le tasse sul sale, poi bloccarono ogni commercio di questo prezioso ingrediente con Firenze. Pare sia per questa ragione che i fiorentini iniziarono allora a produrre il pane senza utilizzare il sale.

    Crostino toscano

    Grazziela/shutterstock.com

    È l’antipasto maremmano per eccellenza, il più celebre in assoluto, al punto che probabilmente non esistono ristori maremmani che non abbiano anche solo una rivisitazione di questa antipasto. Pane sciapo, generalmente tostato o raffermo, con paté di fegatini di pollo. L’origine dei crostini toscani si pensa risalga addirittura all’epoca degli antichi Romani. Nei banchetti, infatti, era usanza servire la carne e il pesce in grandi vassoi dove i commensali si servivano e con l’aiuto del pane raccoglievano salse, oli e sughi. Nacque così il primo antenato del crostino come li conosciamo al giorno d’oggi. 

    In Maremma, il crostino era un modo per le persone povere di ottimizzare al massimo il consumo del pane e di quello che c’era a disposizione per non sprecare niente. Si abbrustoliva il pane o si utilizzava quello raffermo per poi bagnarlo con un paté ottenuto dai fegatini di pollo o frattaglie di altri animali. Una combinazione così vincente da essere apprezzato anche dalla nobiltà, e per questo ancora oggi è presente nelle tavole maremmane soprattutto nei pranzi delle feste.  

    Acquacotta o zuppa alla grossetana

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    Quella maremmana è una cucina fatta di pochi ingredienti. L’acquacotta ne è forse l’esempio più significativo: si tratta di una zuppa dalle umili origini e talmente antica che sembrerebbe addirittura risalire ai tempi degli Etruschi. Un piatto semplice che, in tempi più recenti, viene attribuito ai Butteri maremmani, ossia i pastori a cavallo che, quando trascorrevano lunghi periodi lontano da casa per pascolare il gregge, consumavano questa zuppa. I butteri erano soliti raccogliere le erbe che trovavano lungo il loro cammino, le facevano bollire e aggiungevano un soffritto di cipolla e, secondo le disponibilità, del lardo. Dentro, facevano poi ammorbidire il pane raffermo sciocco che portavano sempre con sé. La ricetta variava quindi in base al periodo dell’anno e secondo quello che offriva la natura, ma anche secondo le disponibilità economiche: ad esempio, la variante più ricca prevede l’aggiunta dell’uovo. 

    Tortelli maremmani 

    Passiamo a un primo piatto di pasta fresca. I tortelli maremmani sono un piatto della cucina tradizionale toscana che vanta sempre origini molto antiche e che prevede l’utilizzo di pochi ingredienti quali verdure, farina e uova. Si tratta di una pasta sfoglia ruvida ripiena e quadrata, realizzata con uova a pasta gialla, che ne conferisce il caratteristico colore. Il ripieno è a base di ricotta ovina, formaggio grattugiato, sale, noce moscata, spinaci oppure bietole sminuzzate finemente. I tortelli vengono generalmente conditi con ragù di cinghiale o serviti con burro e salvia o salsa di pomodoro. Questo piatto tipico rappresenta un elemento estremamente radicato nella cultura popolare. Pare, infatti, che in passato le donne in procinto di sposarsi dovessero imparare a realizzare questi tortelli proprio come le madri dei loro futuri mariti. Ma, di solito, nessuna suocera restava soddisfatta delle prestazioni culinarie della nuora…

    Cinghiale in umido o alla maremmana 

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    La Maremma – oltre che terra di butteri – era terra di cacciatori, non a caso la cacciagione è un elemento importante della sua cucina. Tra le ricette più famose c’è senz’altro il cinghiale in umido. Tra il Medioevo e il Rinascimento, questa carne era facilmente reperibile nelle aree boschive e per questo divenne pietanza di utilizzo comune per la popolazione delle campagne.

    Anche in questo caso la ricetta varia negli ingredienti a seconda della disponibilità stagionali, infatti c’è chi aggiunge il pomodoro, le olive o il ginepro. La ricetta è semplice ma richiede un po’ di tempo per essere realizzata, in quanto la carne viene lasciata marinare nel vino rosso e odori anche una notte intera per eliminare l’odore caratteristico delle carni selvatiche. Successivamente viene cotta a fuoco lento per ottenere la giusta morbidezza. Generalmente il cinghiale in umido viene servito con legumi bolliti o verdure saltate in padella.  

    Scaveccio di Orbetello

    Lo scavecio è un piatto a base di anguilla tipico della laguna di Orbetello. La sua origine sembrerebbe spagnola e risalente al XVI secolo, periodo in cui la Spagna dominava l’Argentario. Il nome deriva dalla modalità di trattare il pesce nell’aceto, tipica della cultura gastronomica spagnola, chiamata escabece, tipica dei pescatori che avevano necessità di conservare a lungo il pesce. 

    Ma come si prepara? Lo scaveccio viene tagliato a rocchi (a tocchi), fritto e immerso in una soluzione di aceto, peperoncino aglio e rosmarino. L’anguilla non viene spellata ma privata solamente delle interiora. Un altro modo per mangiare l’anguilla è quello di affumicarla e successivamente marinarla.  

    Guttus, il “Gorgonzola di pecora” 

    Il guttus era un oggetto etrusco in ceramica destinato ai bambini, in quanto aveva una doppia funzione: da una parte, grazie al beccuccio, poteva essere considerato l’antenato del biberon, dall’altra invece quella di giocattolo ma che dà il nome al tipico formaggio della tradizione maremmana. Conosciuto anche con il nome di “Gorgonzola di pecora”, è preparato esclusivamente con latte ovino pastorizzato. Si tratta di un formaggio a pasta compatta di colore bianco, privo di crosta e con la peculiare presenza di muffa che caratterizza il gorgonzola. Si ottiene grazie a metodo di produzione lungo e che si rifà all’antichità, seguito da una fase di  stagionatura minima di 4 mesi. Viene prodotto esclusivamente da febbraio a maggio.

    Questo formaggio può essere utilizzato per insaporire salse o come condimento per pasta, per fare la pasta ripiena, ma anche riso e gnocchi, o ancora sciolto e servito con pane raffermo abbrustolito. È perfetto anche come dessert, in accompagnamento al miele o al cioccolato fuso o a un passito.

    Castagnaccio 

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    Anche questo è un piatto povero di origine contadina. Le castagne erano particolarmente diffuse nelle campagne, poco costose e nutrienti. Le prime notizie di questo dolce risalgono al ‘500, ma solo a partire dall’800 pare sia stato poi arricchito con uvetta e pinoli. Il castagnaccio è una torta bassa, in cui si mescola la farina di castagne con acqua, olio, uvetta e pinoli, e cosparsa con le foglie di rosmarino. Si diceva che queste ultime fossero usate nel castagnaccio come filtro d’amore: il ragazzo che avesse mangiato il dolce offertogli da una fanciulla si sarebbe innamorato di lei e l’avrebbe sposata.

    Il castagnaccio è una torta semplice, senza uova e burro, ottimo accompagnato da ricotta di pecora fresca. 

    E voi, conoscevate questi piatti tipici della Maremma? 


    Immagine in evidenza di: Grazziela/shutterstock.com

    Nata in Brasile, di adozione italiana, espatriata nella Ville Lumière per studiare e lavorare. Diventata mamma da poco, ha deciso di tornare nella sua città natale, tra le colline toscane. Il suo cibo preferito è la pizza: versatile, completa e buona anche fredda!

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