Una cucina povera ma ricca: la tradizione di Pisa a tavola

Roberto Caravaggi
3 minuti

     

    Pisa è città nota soprattutto per la sua torre pendente, incastonata in quel gioiello che è Piazza dei Miracoli, patrimonio UNESCO dal 1987. Ma lo è anche per il suo passato di Repubblica Marinara, una delle quattro più importanti insieme a Genova, Amalfi e Venezia. Pisa è quindi storia e arte in riva al fiume Arno, che l’attraversa e le regala anche un tocco di romanticismo. Ma se volessimo parlare di cosa mangiare a Pisa? Quali sono le specialità tipiche e i piatti che raccontano della sua gente e del suo territorio? Armatevi di forchetta e acquolina e scopritelo con noi in questo articolo.

    I doni della terra, qualcosa dal mare, con pochi sprechi e tanta sostanza: ecco cosa mangiare a Pisa

    Nella cucina pisana è evidente l’impronta contadina: ortaggi e legumi sono protagonisti di molti piatti e tante sono le specialità figlie di una cultura votata a non sprecare nulla. Due esempi su tutti sono la trippa e la francesina, tipica “ricetta del recupero”. Non mancano però il richiamo del mare e una tradizione di dolci fortemente identitari, come la famosa torta co’ bischeri. In generale, girando per forni, trattorie e locali di Pisa troverete soprattutto sapori semplici ma decisi, che sembrano parlare proprio la lingua schietta della toscanità. Eccovene dunque un assaggio!

    Cecina

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    Può essere un antipasto, uno sfizio da aperitivo o – perché no? – anche un’ottima colazione salata: tra le specialità regionali italiane a base di ceci c’è anche la cecina. Similmente alla farinata ligure, si prepara a partire da un composto di farina di ceci, acqua, sale e olio EVO. Lo si versa su un testo o comunque in una teglia di forma rotonda, bassa e larga col fondo unto d’olio e si cuoce in forno ad alta temperatura. In città ci sono pizzerie al taglio ma anche locali dedicati che la cuociono in forno a legna, come da tradizione. Alta non più di mezzo centimetro, con una doratura croccante in superficie e dal cuore piacevolmente farinoso, si serve calda, tagliata in fette ed eventualmente condita da una grattugiata di pepe e del rosmarino. A Pisa si usa molto consumarla come farcitura della locale focaccia all’olio, alla maniera del pane e panelle siciliano e della “cinque e cinque” livornese.

    Bordatino 

    Il bordatino è un piatto povero in cui confluiscono il passato di Repubblica Marinara che ha contraddistinto Pisa e la sua sempre viva anima contadina. Pare infatti che questa zuppa fosse un pasto che i marinai dei mercantili preparavano con quanto c’era a bordo (da qui il nome) delle navi. E in genere si trattava di granturco e brodo di pesce. Oggi la versione più diffusa è però quella contadina, in cui il brodo di pesce è sostituito da fagioli e cavolo nero, mentre il granturco – più precisamente la farina che se ne ricava – resta elemento centrale.

    Si lessano i fagioli, tipicamente i cannellini, dopo averli opportunamente ammollati, si tiene da parte l’acqua di cottura e se ne passa una parte al setaccio o col passatutto. Poi si procede con un soffritto di aglio, olio, sedano, carota e cipolla, cui si uniscono il cavolo nero e il concentrato di pomodoro. Dopo circa mezz’ora si aggiungono i fagioli, prima quelli passati poi quelli interi, e si copre con la loro acqua di cottura. Quando si arriva al bollore, si versa la farina di mais a pioggia, mescolando bene per non creare grumi, alla stessa maniera della polenta. Ne risulta una zuppa ricca di gusto e dalla consistenza densa, che dà il meglio di sé calda e con un giro d’olio EVO a crudo.

    Pallette

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    La farina di mais è protagonista anche di un altro piatto tipico pisano, le pallette. Nonostante il nome faccia pensare a tutt’altro, si tratta di una polenta dalla consistenza piuttosto liquida alternata a strati di ragù di carne di maiale e manzo, rigaglie di coniglio e funghi, perlopiù morecci o pioppini. Non mancano le varianti, come l’aggiunta di porri e di una grattata di parmigiano, o le versioni condite con soli funghi. A questa specialità viene dedicata una sagra, che si tiene ogni anno nel mese di agosto.

    Pasta alla renaiola

    La pasta alla renaiola è un primo piatto legato alla presenza del fiume Arno. Pare infatti che fosse il pasto tipico dei cosiddetti “renaioli”, ovvero gli operai un tempo addetti a cavare sabbia e ghiaia dal letto del fiume. Cime di rapa e un soffritto di aglio, olio EVO, peperoncino e aringa sono il sapido condimento di base in cui far saltare una pasta lunga, tipo le trenette. 

    Baccalà coi porri

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    Come abbiamo visto più volte, le ricette della tradizione col baccalà protagonista sono innumerevoli e toccano praticamente ogni regione d’Italia. E Pisa non fa certo eccezione: qui il modo più tipico di cucinarlo è in umido. Si cuoce in un tegame insieme a olio EVO, pomodori e porri, completandolo con una grattata di pepe nero.

    Trippa alla pisana

    Espressione della cosiddetta “cucina povera”, la trippa è una specialità largamente diffusa pressoché a tutte le latitudini d’Italia. Nel pisano si usa farla a partire da frattaglie di stomaco del vitello rosolate su una base di soffritto d’olio EVO, aglio e pancetta, sfumate poi con vino bianco e portate quindi a cottura in un sughetto costituito da passata di pomodoro e da un ricco bouquet di erbe aromatiche. A completare tutto, una generosa spolverata di Parmigiano Reggiano grattugiato.

    Mallegato

    Il principio secondo cui del maiale non si butta via niente è alla base di questo insaccato, che rientra nella famiglia dei sanguinacci. Realizzato con sangue e cubetti di grasso suino, eventualmente sfumati nel vino, cui si aggiungono sale, aromi, spezie e in alcuni casi anche uva passa e pinoli, si insacca in un budello lasciandolo un po’ lasco. Questo aspetto, da cui deriva il nome, è fondamentale: se riempito troppo, infatti, l’insaccato rischierebbe di scoppiare nel successivo passaggio, ovvero la bollitura in pentola finché la temperatura al cuore non raggiunge i 90 °C. Scuro e complesso nel gusto, dove alla dolcezza del sangue fanno da contraltare gli aromi e le speziature, è tipico tagliarlo in fette spesse circa due centimetri e servirlo cotto, talvolta anche leggermente infarinato e fritto, magari accompagnato da cipolle o dai tipici fagioli all’uccelletto. Il mallegato di San Miniato (comune della provincia pisana), in particolare, è presidio Slow Food

    Mucco pisano

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    Con “mucco pisano” si fa riferimento a una razza bovina tipica della provincia di Pisa, ottenuta attraverso incroci di bovini autoctoni con quelli di altre razze. Lo scopo era di ottenere animali adatti al lavoro nei campi e con una spiccata adattabilità a vivere allo stato brado o semibrado. Ne consegue una muscolatura robusta e carni generalmente povere di grassi. Nella cucina pisana il mucco trova spazio sia nei primi piatti, come i tortelli al ragù, sia soprattutto nei secondi. In questo caso, la carne tenera degli esemplari più giovani trova la sua massima espressione nella tagliata, mentre quelle più scure e compatte degli adulti sono protagoniste di stracotti e brasati. Un esempio, in questo senso, è il peposo, specialità fiorentina che consiste in una lunga cottura a fuoco lento irrorata da un corposo sughetto di vino rosso piuttosto strutturato (tipo Chianti) e abbondante pepe.

    Francesina alla pisana

    Altro esempio di piatto del recupero, la francesina alla pisana è una ricetta molto semplice. I pezzi di carne di manzo del giorno prima, quindi già cotti, sono cucinati in un tegame con un soffritto di olio EVO e abbondante cipolla, cui si aggiungono pomodori pelati e aromi come salvia e prezzemolo. Pronta in venti minuti, si serve calda e in genere ben pepata.  

    Seppie con le bietole

    Il passato di Repubblica Marinara si ritrova in questo piatto che ricorda da vicino le seppie in zimino della tradizione ligure e seppie e piselli, che abbiamo annoverato tra le specialità tipiche di Ravenna. Anche in questo caso il pesce è tagliato a listarelle o comunque in piccoli pezzi e fatto rosolare insieme alle bietole su una base di olio EVO, cipolla, aglio e peperoncino. Si bagna tutto con del brodo e opzionalmente un po’ di passata di pomodoro e si cuoce fino a far restringere bene il sughetto. È un piatto che dà il meglio di sé gustato caldo e accompagnato con del pane bruschettato.

    Torta co’ bischeri

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    La torta coi bischeri è il dolce più noto e diffuso a Pisa, anche se nasce più precisamente a Pontasserchio, frazione del vicino comune di San Giuliano Terme. Venne infatti concepita agli inizi del ‘500, in occasione della festa del SS. Crocifisso del Miracolo, che il 28 aprile di ogni anno richiamava centinaia di pellegrini. Si tratta di una crostata di pasta frolla con una ricca farcia di cioccolato e riso, arricchita di cacao, uva passa, pinoli, frutta candita e da una bagna di liquore, tipo Strega, rum o maraschino. A caratterizzarne la forma e il nome sono gli spuntoni di pasta frolla che orlano il bordo della torta, i “bischeri” appunto. Oggi si prepara in particolare in occasione dell’Agrifiera di Pontasserchio, che si svolge annualmente intorno alla fine di aprile, anche se le pasticcerie cittadine la propongono tutto l’anno. Dal 2007 poi i comuni di San Giuliano Terme e di Vecchiano hanno depositato un marchio, con tanto di disciplinare di produzione, a tutela di questa specialità. 

    Kinzica

    Altro dolce legato alla storia della città è la Kinzica, così battezzato in onore di Kinzica de’ Sismondi, eroina pisana che intorno all’anno Mille salvò Pisa dall’invasione saracena. In questo pasticcino da forno, di forma rotonda e in genere avvolto in un pirottino di carta, salta subito all’occhio l’ingrediente principe, ovvero il pinolo. Nella fattispecie si tratta dei pinoli del Parco di Migliarino San Rossore Massaciuccoli, appena fuori Pisa. Tritati insieme a zucchero, miele e con l’aggiunta di albume d’uovo, vanno a costituire il cuore morbido e dolce della Kinzica, che genera un piacevole contrasto di consistenze coi pinoli lasciati interi a tempestarne la superficie.

    Schiacciata di Pasqua

    Contrariamente a quanto il nome lascia intendere, la schiacciata di Pasqua è in realtà un dolce lievitato dalla forma simile al panettone. Secondo tradizione dovrebbe lievitare ben cinque volte prima di essere infornato. Si presenta con un colore bronzeo e una cupola tendenzialmente liscia, con al più qualche increspatura. All’interno la pasta è soffice e finemente alveolata. Qui il colore è giallognolo, più o meno intenso a seconda delle uova utilizzate. Proprio le uova sono un ingrediente importante, insieme a farina, lievito, burro, zucchero, scorza d’arancia e semi d’anice. Quest’ultimi, in particolare, ne definiscono il gusto, che risulta quindi dolce e aromatico, con una sfumatura alcolica dovuta all’aggiunta di Vin Santo o liquore Strega all’impasto. Specialità tanto semplice e povera nella composizione quanto complessa nella preparazione, è immancabilmente sfornata dalla maggior parte dei forni e delle pasticcerie cittadine durante il periodo pasquale.

     

    Mentre concludiamo questo menù della tradizione pisana con cantucci e Vin Santo, chiediamo a voi: da quale delle specialità descritte vi lascereste volentieri tentare?


    Immagine in evidenza di: FVPhotography/shutterstock.com

    Nato a Milano, vive da sempre a Locate di Triulzi, nella provincia sud del capoluogo lombardo. Oltre a collaborare con alcune testate giornalistiche locali è food blogger per storiedifood.com, dove racconta soprattutto di specialità e piccole realtà artigianali. Il suo piatto preferito è la piadina romagnola perché, nella sua semplicità, sa appagare come poche altre cose.

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